La verità su L’Aquila, per favore!
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Ma a L’Aquila non era tutto risolto? E allora perché a un anno dal terremoto gli aquilani scendevano in piazza, occupavano le strade al grido di L’Aquila, L’Aquila? Ci siamo messi viaggio per capire da vicino, per guardare con i nostri occhi, per parlare con i cittadini da cittadini, senza la mediazione di nessuno e soprattutto di un’informazione pubblica di cui non ci fidiamo più. Noi siamo quelli della valigia blu, 207mila firme per chiedere una rettifica al TG1 di Minzolini perché prescrizione non è assoluzione. Siamo arrivati a L’Aquila da tutta Italia, non ci eravamo mai visti prima, anche se gestiamo insieme il gruppo su Facebook “La dignità dei giornalisti e il rispetto dei cittadini” da mesi ormai. Ma fino ad ora era tutta una chat tra skype, fb, google e twitter. Alla stazione ci aspetta Tommaso, anche lui è di valigia blu, studia e lavora a Bologna, ma è aquilano. Ci farà da guida. È stato lui a organizzare con i vigili del fuoco la nostra visita nella Zona Rossa. Che poi è come dire tutta la città.
A parte quei 700 metri di corso riaperti e comunque totalmente transennati, il centro storico de l’Aquila, 800 anni di storia, è tutta una inesorabile, paurosa, inquietante Zona Rossa. Transenne e ponteggi. Lungo tutto il percorso. E quelle transenne, che proteggono da eventuali cadute di massi degli edifici, sono lì a sostenere la protesta di chi non ha più voce. Cartelli, striscioni, fogli, lenzuola scritte a mano che dicono una cosa sola: ridateci la nostra città, noi non la lasceremo morire. Un sezione a parte è dedicata proprio al TG1 reo di aver censurato il corteo di 20.000 aquilani del 16 giugno, quando in 5.000 hanno poi occupato l’autostrada A24 per attirare l’attenzione sulle loro condizioni. Il giro nella Zona Rossa parla più di mille foto e di mille immagini. Bisogna vedere per capire. Questo non è stato un terremoto, è stata una tragedia immane che ha distrutto un’intera comunità.
Tra vicoli, piazze e strade, dove domina impietosa la struttura dei ponteggi, sai che quello è un museo all’aperto del post terremoto e ti chiedi se veramente a questo punto riusciranno a ricostruirlo. A un anno e tre mesi dal terremoto, la ricostruzione non è partita, e non si vede nessun segnale di ripresa. Sembra tutto fermo alle 3 e 32 di quel maledetto 6 aprile 2009. Ma gli aquilani sono tosti e si sono messi in piazza con un presidio permanente per fare pressione sulle istituzioni, due locali storici del centro hanno riaperto proprio all’inizio del corso o nelle vicinanze, ma l’attività commerciale è ferma. Il centro è dei militari, dei vigili del fuoco e di Ringo e i suoi amici, i cani soli e abbandonati che seguono i vigili puntualmente nei loro giri dentro la Zona Rossa. Parliamo con le persone che incontriamo, cerchiamo di capire come stanno, che sta succedendo. Sono persone perbene, non sono black bloc, sono persone che vogliono ricostruire la loro città, hanno apprezzato la gestione dell’emergenza, ma dopo è stato abbandono e caos. Nessuno sa quanti soldi ci sono per la ricostruzione, se e come potranno ricostruire le loro case, non ci sono direttive, la proroga continua delle tasse da pagare è uno stillicidio psicologico, l’economia è a terra, il lavoro non c’è più.
Al di là delle polemiche e delle responsabilità si cerca di capire ora cosa fare per aiutarli davvero. Ma come si fa ad aiutarli se prima non viene fuori come stanno veramente le cose. Senza strumentalizzazioni né da una parte né dall’altra. Non c’è democrazia senza verità. Cominciamo da qui. Cominciamo a chiedere la verità su L’Aquila, per favore.