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La sinistra che vota Grillo (e fa bene)

12 Giugno 2013 7 min lettura

La sinistra che vota Grillo (e fa bene)

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La sinistra che vota Grillo (Caratteri Mobili) raccoglie dialoghi tra l'autore Domenico De Santis, «membro dell'assemblea nazionale del Pd e dell'esecutivo regionale pugliese», e neoelettori del Movimento 5 Stelle delusi dal centro-sinistra (Sel e Pd). I dialoghi si ispirano a conversazioni reali: l'autore li ha elaborati sulla base della propria esperienza politica, non ha lavorato su registrazioni o su un campione vagliato scientificamente. Ci sono precari, ma anche affermati professori universitari, e ciò mostra quanto sia vasto il bacino in cui va a pescare consensi il Movimento 5 Stelle: c'è persino l'amico di famiglia berlusconiano che però alle regionali ha votato Vendola. Sono conversazioni che in molti abbiamo sostenuto e prevedono di solito la frase «dai, hai deciso di votare per Grillo?»; dove «Grillo» qui è sineddoche (il «megafono» in luogo del «MoVimento»). Conversazioni che spesso sfociano in feroci litigate, perché in Italia è forte l'abitudine a tifare, quando si discute, per cui non ci si confronta sugli argomenti, ma sulla superiorità della propria parte, data a priori.

La prefazione di Peppino Caldarola sembra tener conto di questo vizio italico, altrimenti non si spiegherebbe la prosopopea con cui elogia un politico che, stringi stringi, ha solo deciso di parlare con amici, colleghi o conoscenti delusi dal Partito Democratico. Dovrebbe essere pane quotidiano, e invece:

Con la tenacia di un cronista instancabile e la passione di un missionario ispirato dallo Spirito Santo, Domenico De Santis ha oltrepassato tutte le barriere umane e psicologiche e si è tuffato, durante la recente campagna elettorale, nel mondo dei “grillini”.

Nel libro assistiamo a scontri o aspri confronti; di veri e propri dialoghi in cui i protagonisti cercano di arrivare a una verità non se ne hanno, se non per brevi scambi di battute. È un aspetto accentuato in questa fase politica del paese, dove le parole esprimono soprattutto ricerca di identità in mezzo allo spaesamento e al disincanto: sentimenti e pulsioni, più che idee o visioni complesse. E il sentimento predominante negli elettori del M5S è quello del dovete andare a casa, siete tutti uguali. A riguardo un atteggiamento errato - cui De Santis non si sottrae - è reagire trincerandosi dietro l'aggettivo «antipolitico», parola che sintetizza, in chi la usa, il desiderio di negare la realtà. È atteggiamento analogo a chi per anni si è nascosto dietro a «La Padania non esiste», senza rendersi conto che, nel momento in cui nel lessico quotidiano e nello stato di diritto la Padania inizia a esistere, la menzogna prende consistenza e arriva persino alla presidenza del Copasir. Perché se il «siete tutti uguali» suona riduttivo, è coerente con questa riduzione un governo che vede insieme chi doveva «smacchiare il giaguaro» e il giaguaro stesso, la rende persino profetica: ve l'avevamo detto, che siete tutti uguali, e infatti ora siete insieme al governo. Se anche il Movimento si dissolvesse, il clima di sfiducia resterebbe, per cui negazioni o riduzionismo servono solo ad alimentarlo.

De Santis è completamente inserito nell'autoreferenzialità che caratterizza gran parte del Partito Democratico: quella di chi è convinto di essere dalla parte giusta, e che nutre di «cave nebbie» quest'investitura assolutoria. Ciò nel libro produce involontari effetti umoristici: nelle intenzioni, lodevolissime, l'autore vuole capire la sfiducia degli ex elettori. Ma nella pratica si comporta come quelle compagnie telefoniche che ti vogliono convincere a non passare alla concorrenza. Solo che quelle compagnie di solito fanno delle offerte concrete e appetibili. Qui invece le argomentazioni risultano quasi esclusivamente due, nessuna delle quali in grado di confutare gli elettori delusi, o di persuaderli a cambiare idea:

  1. quello che dici non è vero... (negazione della tesi avversaria).
  2. gli altri sono peggio, vuoi che vincano? (conferma della tesi avversaria e autoassoluzione: noi rubiamo, ma loro di più).

Cito uno scambio dove è rivolta una delle accuse più comuni, circa la mancanza di credibilità della classe dirigente degli ultimi vent'anni. A rivolgerla è un «professore riformista», dunque un interlocutore colto e competente:

In politica la credibilità viene prima della pratica di governo. Il governo dopo ti rende più o meno credibile a seconda della tua capacità riformatrice. Ma la precondizione è la credibilità.

Come replica l'autore? Così:

Però in Italia il dibattito pubblico è davvero bizzarro professore, lo sa, vero? Abbiamo smesso di avere rispetto della storia collettiva e della classe dirigente che ha lavorato con fatica a costruire le fondamenta del progetto del centrosinistra, dall’Ulivo in poi.

Leggendo sono rimasto sbalordito. Come puoi presentarti a un elettore deluso, ricordare il progetto dell'Ulivo e tralasciare che quel progetto è caduto sotto i colpi del fuoco amico per ben due volte? È una negazione da manuale: contrapporre non è confutare.

Altrove sono usati temi da governo Monti, pensando che basti evocare indicatori numerici per ristabilire fiducia e connessione sentimentale. In questo passo troviamo entrambi i due argomenti sopra esposti (negazione + conferma e autoassoluzione):

«Quando Prodi è caduto il debito pubblico era il 106% e lo spread era a trentacinque punti. Quando è caduto Berlusconi il debito pubblico era al 121% e lo spread a settecento punti! Diciamo che in economia non siamo proprio tutti uguali.»
«Ma che cavolo me ne frega dello spread! Dovete tenere d’occhio anche l’economia del cittadino. Non me ne frega nulla dei conti pubblici, anche perché chissà per quale motivo durante Prodi si stava male!»

«Spread» e «debito» hanno caratterizzato la narrazione del governo Monti: la politica ha fallito, ci vogliono i tecnici, con l'aggiunta dell'evergreen ce lo chiede l'Europa. In un colpo solo la delusione del'interlocutore è negata - infatti questi si scalda - e confermata nel ricordo di un governo sostenuto da Pd e Pdl. Se vuoi dire che, sì, eravate al governo insieme, però mica siete uguali, devi spiegare innanzi tutto a te stesso come mai il tuo schieramento politico, ha improvvisamente modificato l'articolo 18 insieme al centro-destra, dopo averlo difeso per anni proprio dal centro-destra. In entrambi i casi è stato per salvare il Paese? Solo per questo bisognerebbe avviare una lunghissima riflessione sul rapporto tra Partito Democratico e l'idea "sinistra", che per me è un rapporto abusivo. Trovo falsa, sul piano morale prima ancora che politico, tutta quella retorica per cui sì, abbiamo fatto cose di destra, però bisognava farle, quindi siccome abbiamo avuto il coraggio di farle vogliamo essere ringraziati e votati. Se la politica è trattata come arte del compiere l'ineluttabile, allora si ammette implicitamente che qualunque confronto è una perdita di tempo: dunque si è intrinsecamente autoritari, però col volto dispiaciuto. Noi siamo di sinistra, però la realtà è di destra, mica è colpa nostra!

La debolezza di chi vorrebbe convincere gli altri dei propri errori, per meglio nascondere questi sotto il tappeto, qui è sintomatica. Non è generazionale o genericamente di "casta", mi pare invece qualcosa di trasversale, cui si assiste da spettatori del circo mediatico o da attori nella vita quotidiana. Il libro avrebbe dovuto in questo senso intitolarsi La sinistra che non sa chiedere "scusa", e con quest'ottica andrebbe acquistato e letto con interesse. Dice molto su certa presunzione che conserva il ceto politico mentre indossa la maschera del "buono". Perché non puoi presentarti al pubblico facendo, in due dialoghi, copia-incolla da un'intervista di Vice a Gian Paolo Vanoli e da uno spezzone di Ballarò dove un deputato grillino parla di Zeitgeist. Sono brani messi in bocca, rispettivamente, a un avvocato conosciuto a Milano durante il viaggio in trenino da Malpensa e a un ex elettore di Vendola. Mi domando se i due interlocutori esistano: perché se il secondo esiste ed è amico dell'autore, non capisco il bisogno di mettergli in bocca parole prese da una trasmissione tv. Se esistono, mi domando cosa porti a un errore da studente che scopiazza da Wikipedia. Un'ingenuità che chiunque abbia letto l'intervista di Vice o visionato la puntata di Ballarò può scoprire via Google in pochi secondi, e che potrebbe mettere in cattiva luce una valida casa editrice (su Valigia Blu, di Caratteri Mobili ho recensito Il corpo estraneo Voi, onesti farabutti); anche perché, mi rendo conto, in fase di editing puoi fare fact checking sui dati, ma non controllare su Google tutto il testo per vedere se ci sono brani copiati. Se non hai sospetti fondati, è difficile che venga in mente. Ma in ogni caso, davanti ai copia/incolla viene da dire «La sinistra che vota Grillo? Fa bene».

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Errori del genere, così grossolani perché è impossibile che passino inosservati, aumentano inoltre l'incredulità nel leggere quei passi in cui l'autore sfoggia un paternalismo conservatore o dove parla di «merito» (altra parola chiave nelle narrazione di destra che finisce in bocca alla sedicente sinistra):

Vedi, noi ci riuniamo per tua figlia. Noi abbiamo costruito un Paese dove persone come tua figlia, se ha talento, deve poter studiare e trovare un lavoro che sia adeguato ai suoi studi. Noi ci riuniamo per questo.
[...]
Serve che da Roma ci sia una spinta propulsiva per sovvertire l’ordine delle cose. Solo premiando il merito, potremo dare più possibilità alla nostra generazione.

Ma in fondo, dati delle amministrative alla mano, se abbiamo assistito ai festeggiamenti baldanzosi di una parte politica per la vittoria nei confronti di un imprescindibile alleato di governo, il problema forse è davvero nel lettore.

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