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La scuola italiana più che fare schifo in realtà non esiste

23 Giugno 2022 7 min lettura

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La scuola italiana più che fare schifo in realtà non esiste

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Ieri agli scritti per l’esame di Stato, Francesco Intragugliemo, diciannovenne studente del liceo Farinato di Enna, si è presentato indossando una maglietta con su scritto :”La scuola italiana fa schifo”.

Francesco Intragugliemo è sì un maturando, ma non un ragazzo qualsiasi. Come infatti si presenta sull'account Linkedin, è un Content creator, molto seguito su TikTok, la piattaforma social frequentatissima dai ragazzi della sua generazione, ed è anche il fondatore di un movimento politico, Rivoluzioniamo la scuola presente sul web con un proprio sito, con tanto di programma.

Il gesto di Intragugliemo quindi non va considerato una “ragazzata” o una boutade improvvisata, ma una azione di comunicazione politica. A confermarlo il fatto che Intragugliemo ha spedito contestualmente agli organi di stampa un comunicato in cui spiegava i motivi del gesto e le sue idee politiche sulla scuola.

Il movimento Rivoluzioniamo la scuola ha una serie di precise richieste illustrate sia sul sito che nei TikTok del suo presidente e fondatore. Abolizione dei voti e delle bocciature, e soprattutto abolizione degli indirizzi di studi, dando in pratica a ogni singolo studente la facoltà di scegliere le materie di studio per crearsi un percorso personale, una sorta di portfolio che dovrebbe poi consentire di entrare nel mondo del lavoro più facilmente.

Quando uno studente pensa alla scuola i sentimenti che affiorano sono lo stress, la desolazione, la tristezza. La scuola dovrebbe invece essere un luogo ambito e piacevole. Con la riforma del sistema degli indirizzi e le scuole basate su base territoriale la scuola sarebbe anche un punto di riferimento per le comunità locali. Il pomeriggio le scuole dovrebbero essere aperte e a disposizione di tutta la comunità, si dovrebbero organizzare corsi facoltativi, dovrebbe essere data l’opportunità di praticare sport e hobby in maniera completamente gratuita. Dovrebbero essere organizzate ripetizioni e aule studio per i ragazzi che hanno difficoltà nell’apprendimento. 

Le scuole dovrebbero avere l’opportunità di stringere accordi con le aziende locali per creare corsi su misura per il territorio adatti all’immissione diretta nel mondo del lavoro.

La scuola superiore dovrebbe inoltre durare 4 anni per allinearci agli altri paesi europei. La scuola dovrebbe essere obbligatoria fino al conseguimento del diploma.

Così recita la pagina del programma del movimento. La scuola italiana, dunque, farebbe “schifo” perché oggi non è come dovrebbe.

Nei TikTok di Intragugliemo sono citati altri fattori che determinano la “schifosità” della scuola italiana, fra cui il principale sembra il fatto che gli insegnanti non siano valutati e non siano licenziabili. Altra critica feroce è contro l’uso delle mascherine in classe nel periodo della pandemia e contro la decisione di chiudere le scuole durante i picchi pandemici.

Ora, la cosa che più stupisce di questo movimento “rivoluzionario”, a leggerne le proposte, è che però poi così rivoluzionario non è. In effetti la riduzione del percorso delle superiori a quattro anni, la liberalizzazione dei piani di studio, la valutazione degli insegnanti (anche se non è mai stato chiarito con quali mezzi), le scuole legate al territorio e ai finanziamenti aziendali dei privati sono cavalli di battaglia dei governi italiani da almeno vent’anni. In questo Intragugliemo più che rivoluzionario appare molto filogovernativo.

La scuola italiana per altro, oggi come oggi, ha recepito molte di queste idee, creando licei sperimentali di quattro anni, indirizzi molto variegati oltre ai tradizionali in cui gli studenti dei vari indirizzi convivono gomito a gomito, e si è aperta ai finanziamenti privati.

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Il problema che però pare sfuggire a Intragugliemo e ai suoi sostenitori (5.000 aderenti, secondo il sito e “40 noti influencer” di cui però non viene fatto il nome) è che molte delle cose che lui contesta e che renderebbero “schifosa” la scuola italiana in realtà potrebbero essere addirittura causate o peggiorate da ciò che lui propone come cura.

La scuola italiana, attualmente, più che fare schifo, in realtà non esiste. L’autonomia scolastica portata avanti negli ultimi vent’anni ha reso in pratica ogni istituto un mondo a sé. E spesso capitare in una ottima scuola o in una pessima è da un lato legato alla fortuna e, dall’altro, solo al caso di essere nati nella provincia, nel quartiere o nella parte dell’Italia “giusta”.

Ci sono istituti dove vengono attivati corsi di potenziamento, di recupero, dove al pomeriggio sono offerte ore aggiuntive alla famiglie con materie facoltative (latino, inglese o altre lingue comunitarie con insegnanti madre lingua, teatro, ceramica, sport, scrittura creativa, cineforum, incontri di approfondimento con intellettuali, e chi più ne ha più ne metta) e altri che invece non riescono ad attivare nemmeno i corsi standard. I fondi dei privati, infatti, sono in genere destinati a scuole in territori già ricchi o in quartieri chic, mentre le scuole in territori più disagiati (quartieri periferici, paesini sperduti, aree depresse) fanno fatica a reggere il ritmo, persino a trovare supplenti, e di conseguenza perdono iscritti e diventano scuole “ghetto” dove nessuno, insegnanti e studenti, vuole rimanere.

Anche la didattica è a macchia di leopardo, e dipende più che altro dal caso: ci sono scuole in cui si praticano sperimentazioni didattiche innovative, e in cui in pratica, anche se non viene detto esplicitamente, non si boccia più (in effetti bocciare non serve a nulla, serve però avere i soldi per fare i recuperi durante l’anno, e indovinate? Anche qua quelli si trovano più facilmente al nord piuttosto che al sud, e nei quartieri non disagiati piuttosto che nelle periferie abbandonate a se stesse. Anche per partecipare ai PON e ai bandi per i finanziamenti europei ci vuole uno staff docenti e impiegati amministrativi nelle segreterie in grado di compilare complicati moduli e presentare progetti, e anche qui questi si trovano più facilmente nelle scuole già efficienti: in pratica è sempre il cane che si mangia la coda).

Anche la didattica a distanza (DAD) è stata fatta per gli stessi motivi a macchia di leopardo. E non per mancanza di buona volontà da parte del corpo insegnante, ma perché è certamente più facile, se la scuola è chiusa per una pandemia, che gli alunni abbiano un tablet o un pc per collegarsi da casa, al solito, se vivono nel ricco Nord invece che nel Sud. E se gli alunni fanno parte della classe media o benestante è più facile che abbiano tablet e cellulari di ultima generazione e connessioni efficienti e non siano abbandonati da soli, a casa, in compagnia di genitori che non possono seguirli, o che a loro volta non sono in grado di usare gli strumenti informatici necessari.

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Allo stesso modo, e Intragugliemo non pare rendersene conto, è più semplice organizzare corsi di recupero in scuole in cui i casi da recuperare siano relativamente pochi, piuttosto che in istituti in cui confluiscono decine di ragazzi con seri disagi familiari, o problemi gravi di apprendimento. Così come è assai più facile che restino o chiedano trasferimento in questi istituti più tranquilli e fortunati gli insegnanti più “preparati” o almeno quelli meno a rischio burn-out. Perché insegnare per anni in scuole di frontiera e con alunni difficili consuma anche i “migliori” e più motivati.

Insomma, la scuola italiana non fa genericamente schifo, come dice Intragugliemo: ha punte di eccellenza e in alcune regioni (le più ricche) arriva agli stessi livelli di apprendimento e di efficienza delle scuole del nord Europa (che pure giova ricordarlo, investono nell’istruzione somme decisamente più consistenti che in Italia). Questo per altro è quello che confermano tutte le rilevazioni, compresi OCSE e INVALSI. E sono sempre OCSE, INVALSI e ISTAT nei loro report ad avvertire che il disagio rilevato negli apprendimenti delle scuole “pessime” non è spesso un disagio scolastico, ma territoriale e sociale. Senza contare la scarsità di finanziamenti rispetto ad altri paesi europei, inferiore alla media OCSE sia in rapporto al PIL, sia come spesa per studente.

Quello che Intragugliemo non tiene presente (e non si può nemmeno condannarlo per questo, perché lui almeno è un diciannovenne con una limitata esperienza del mondo, e quindi qualche ingenuità nella sua visione è fisiologica) è ciò che però fanno finta di non vedere e sapere anche esperti e consulenti che i vari governi e ministri hanno ascoltato in tutti questi anni. L’insuccesso formativo in Italia non è causato esclusivamente e nemmeno in massima parte da problemi interni alla scuola, ma da condizioni sociali ed economiche che condizionano pesantemente la possibilità per gli alunni provenienti dalle classi più disagiate di ottenere una buona istruzione.

La scuola italiana non funziona perché è diventata una scuola persino “troppo” territoriale. Ovvero una scuola dove nascere in un determinato territorio (oltre che in una determinata classe sociale) fa ormai davvero la differenza.

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Finché qualcuno (e se gli studenti vogliono loro stessi ragionare su questo fatto magari!) non prende coscienza di questo problema enorme e non pensa a strategie per arginarlo, tutto il resto rischia solo di allargare ancora di più la forbice fra chi è fortunato e chi no.

Forse su questo sarebbe ora che tutti quelli - studenti, insegnanti, genitori, cittadini- che trovano questa situazione (non genericamente la scuola italiana) uno schifo si alleassero per cambiare davvero qualcosa.

Immagine in anteprima via studentville.it

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