In questi giorni in rete e soprattutto su facebook gira un articolo che parla di rivoluzione islandese in riferimento alla crisi finanziaria del 2008 e a come i cittadini avrebbero sconfitto la finanza globale (senza spargimento di sangue) e di un oscuro complotto dei media per tenercela nascosta.
Lo dico subito: quello che è successo in Islanda non è una “rivoluzione”, si chiama democrazia. Quando la democrazia è in piena forma succede quello che è successo in uno dei paesi più piccoli d’Europa.
Per quanto riguarda, invece, il presunto complotto, con tutta la buona volontà, ma io proprio non ce li vedo i direttori di giornali e tv che si mettono d’accordo tra di loro perché del caso Islanda il popolo italiano deve assolutamente rimanere all’oscuro. Per di più facendo una ricerca scopri che
La Repubblica,
Corriere,
La Stampa,
Il Sole 24 ore,
LA7,
Skytg24 ne hanno parlato (e qui ho segnalato solo alcuni degli articoli che ho trovato).
Innanzitutto una premessa
L’Islanda ha circa 300mila abitanti. Potrebbero governare tranquillamente anche solo aprendo un gruppo su Facebook :D. Siamo di fronte a una delle più avanzate democrazie del mondo. Sempre tra i primi posti in tutte le classifiche: banda larga, diritti dei gay, pari opportunità, libertà di stampa, lavoro...
Cosa è successo con la crisi 2008-2011
Per avere un quadro di insieme vi consigliamo di consultare la voce di wikipedia dedicata alla
crisi islandese.
In sintesi la crisi finanziaria del 2008 portò l’Islanda sull’orlo della bancarotta. Il Paese si trovò tra l’altro con un debito di circa 4 miliardi di dollari nei confronti di 300 mila risparmiatori inglesi e olandesi colpiti dal fallimento della banca islandese on line Icesave (controllata da Landsbanki fallita appunto in quell’anno).
I cittadini si sono mobilitati, hanno protestato e hanno firmato una petizione per bloccare l’accordo del Parlamento islandese con Regno Unito e Olanda per il rimborso. E proprio in seguito alla petizione, il Presidente dell’Islanda (il Capo dello Stato per intenderci), Olafur Ragnar Grimsson, si è rifiutato di firmare l'accordo e ha indetto un primo referendum nel 2010: i no vinsero con il 93% dei voti.
Il Parlamento ha successivamente approvato con netta maggioranza un altro accordo, meno pesante per l’Islanda. Ma Grimsson si è ancora una volta rifiutato di firmare e ha indetto un secondo referendum ad aprile 2011. I no sono prevalsi di nuovo anche se per il 60%.
Secondo il Presidente era necessario ricorrere ad un referendum per soddisfare la petizione fatta da 42 mila dei 318 mila abitanti dell'Islanda. Pensate un Presidente che rispetta una petizione dei cittadini. Roba da “Incontri ravvicinati del terzo tipo”.
Il primo ministro del governo di coalizione di centro sinistra, Johanna Sigurdardottir (per la cronaca, è donna e gay dichiarata. Ditelo a Giovanardi e alla Binetti), ha fatto sapere, in ogni caso, che lo stato islandese non ha nessun problema a rimborsare i suoi debiti. E così anche il ministro delle Finanze, Steingrimur Sigfusson. «Le riserve sono sufficienti a coprire tutti pagamenti dei prossimi anni». Quindi il debito non è stato annullato come in alcuni articoli sulla “rivoluzione islandese” si lascia credere.
Il paese ora si prepara ad adottare
una nuova legge fondamentale redatta con la costante partecipazione dei cittadini attraverso internet e social network. La crisi è stata per l’Islanda una grande occasione di rilancio.
Dunque la democrazia in tutta la sua complessità e con tutti i suoi chiaroscuri ha funzionato. Partecipazione dei cittadini, elezioni, referendum. Questa è la rivoluzione islandese.
Il complotto mediatico
E veniamo al complotto mediatico per oscurare la notizia.
Semplicemente il complotto non c’è. E forse dovremmo anche smetterla di gridare un giorno sì e l’altro pure alla censura, il complottismo continuo ci logora e in qualche modo ci espone al rischio di diventare il
Roberto Giacobbo di noi stessi, per giunta nella versione di Crozza.
D’altra parte la Rete ha già dimostrato più volte di poter dettare l’agenda sulle notizie da far conoscere e da trattare. Il piagnisteo continuo sui media che ci vogliono tenere all’oscuro davvero non ci rende onore. E perdiamo di vista, casomai, la vera lezione che possiamo trarre dalla democrazia islandese.
Abbiamo una grande occasione: il referendum
Essere cittadini non significa delegare una volta e per sempre. Un bell’assegno in bianco al rappresentante politico di turno e ciao, ci si rivede alle prossime elezioni.
Essere cittadini vuol dire occuparsi e prendersi cura del nostro stare insieme. Nel nostro piccolo, ognuno può contribuire, per quel che può.
Essere cittadini significa impegno, condivisione, capacità di informarsi e prendere posizione.
Essere cittadini vuol dire partecipare. La lezione dell’Islanda sta proprio qui.
La differenza tra noi e l’Islanda è che lì la politica ha avuto rispetto della domanda che arrivava dai cittadini. Qui invece, la politica, questa politica, questi politici non prendono in nessuna considerazione le istanze che arrivano dal basso.
Gli italiani si sono indignati, si sono mobilitati. Da almeno due anni, donne, studenti, giornalisti, operai, precari manifestano. Sono scese in piazza tutte le categorie. Ma ogni volta ci si è scontrati con un muro di gomma. La piazza è solo una testimonianza. Poi c’è la politica. Ci sono le elezioni e i referendum. La gente è andata a votare, ha partecipato e ha dato un messaggio chiarissimo al Governo, che ovviamente ha continuato a fischiettare, nel migliore dei casi.
La classe politica di questo Paese non ha rispetto per i suoi cittadini. A cominciare dalla
legge elettorale. Ma in quale democrazia un politico si sarebbe permesso, ridendo, di dire "Be’ sì quella legge - da lui stessa ideata tra l’altro - è una
vera porcata”?
Come ha detto Guido Rossi sul Sole 24 ore: "Se anche in Italia la vita politica deve dignitosamente riprendersi per trascinare l'economia nella ripresa, è allora indispensabile ad esempio, che dal basso i cittadini con un referendum cambino la legge elettorale per squinternare una casta che automaticamente si coopta e una classe dirigente che culturalmente non cambia mai".
È arrivato il momento di riprenderci quello che con tanta spudoratezza e disonestà ci hanno tolto: il diritto di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento. Quella legge va cambiata, abrogata. E da qui bisogna (ri)partire.
Ecco, ora più che mai è richiesto il nostro impegno come cittadini. Vogliamo fare la rivoluzione in Italia? C’è un
referendum per abolire il porcellum. Firmiamo, sosteniamolo, promuoviamolo. Entro
fine settembre servono
500mila firme. Sarà l'inizio della rivoluzione.
Aggiornamento: A proposito di rispetto dei cittadini. Fabio Alemagna giustamente mi segnala che attualmente sono depositate dal 2007 in Senato
350.000 firme di altrettanti cittadini che hanno fatto una proposta di legge elettorale, ex art. 50 della Costituzione, che aspetta d'essere discussa in Parlamento.
Il 10 settembre ci sarà una manifestazione davanti al Parlamento italiano per chiedere ragione di quelle firme rimaste chiuse in un cassetto. (Io ci sarò) > È finita che Grillo ha fatto il
CozzaDay (una cosa tristissima) e io non ci sono andata.