La politica non ci ascolta e giriamo a vuoto tutti
2 min letturaIl patto del rigatone di ieri sera, le sette ore di riunione che hanno portato alla nuova (definitiva?) manovra finanziaria italiana conferma un’impressione che era già largamente emersa nelle scorse settimane: i politici non (ci) ascoltano.
Perché accade?
I motivi potrebbero essere due e potrebbero tranquillamente convivere. Da un lato c’è un limite culturale: il popolo non parla durante la legislatura, il suo esercizio democratico coincide col voto e solo con quello, e allora non è necessario né utile ascoltarlo, né durante i comizi, né dentro le assemblee di partito, né tantomeno sui social media. Dall’altro lato c’è l’arroganza della classe dirigente: io sono il Ministro, ho un curriculum che mostra la mia bravura e dunque non ho bisogno dell’aiuto di nessuno.
L’elemento che fa innervosire maggiormente è la sensazione che i cittadini possano incidere sulle loro vite quotidiane (che assurda pretesa!) proponendo suggerimenti migliorativi alla manovra, voci di spesa da tagliare, settori che godono di privilegi incomprensibili. Si attivano, finiscono sui giornali, conquistano prime pagine e visibilità, per poi scoprire, tra un rigatone e l’altro, di non aver cambiato assolutamente nulla.
Il rituale della discussione sulla manovra ha seguito un ciclo iterativo beffardo e feroce.
1. Sul web nasce un movimento di opinione perché si discuta dei costi inutili di una parte di mondo (la Casta, le Province, la Chiesa);
2. Il movimento attecchisce nella discussione politica: qualcuno si schiera con il popolo o con i privilegiati;
3. I media tradizionali riprendono la discussione, offrendo visibilità nazionale. Solitamente il web è raccontato come il luogo dove i forcaioli si inferiscono, i politici invece si occupano di fare la sintesi o di usare strumentalmente i movimenti contro i propri avversari;
4. Dopo qualche giorno di pressione, la parte attaccata risponde: “contro di noi un attacco ingiusto, le spese sono altre, i problemi sono altri”;
5. La discussione si sgonfia, gli sprechi restano dove sono, si passa agli ‘altri’;
6. Si ritorna al punto 1.
Non bisogna però trascurare le nostre colpe: se i politici non ci ascoltano, forse la nostra voce non è sufficientemente forte e chiara. Per una quota sempre crescente (e la cosa mi preoccupa) di italiani, non c’è alternativa alla sospensione delle regole democratiche, ai London Riots all’italiana, alla caccia all’uomo.
Io invece ritengo che le forme della nostra protesta siano scorrette. Bisogna dirselo molto serenamente: i 400mila fan di SpiderTruman e i 120mila di Vaticano Pagaci Tu non hanno ottenuto nulla. Può essere che non ci sia nulla da fare (e l’eterna attesa in Parlamento della legge di iniziativa popolare proposta da Beppe Grillo è un punto a favore di questa tesi), ma può anche essere che sia il caso di passare dalla guerra alla guerriglia, che dovremmo occuparci di puntare a obiettivi minimi ma raggiungibili, a battaglie di comunicazione focalizzate su un solo punto, flessibili, capaci di spostarsi da una questione all’altra.
Se tutti noi fossimo stati in grado di concentrarci su una misura specifica (abolizione dei vitalizi dei Parlamentari e ritorno ai normali calcoli previdenziali; eliminazione dei privilegi fiscali per le attività commerciali della Chiesa), forse avremmo raggiunto l’obiettivo e avremmo ottenuto il risultato più importante: invertire la tendenza. E, forse, spezzare il ciclo iterativo che gira a vuoto da troppo tempo.
Dino Amenduni
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