La passione di Oscar
7 min letturaLa distinzione è che chi ha un titolo di studio inferiore può, al massimo, se starà male nella vita, rubare nelle carrozze dei treni. Chi ha un master può rubare un'intera ferrovia.
Bob Arrow
Atto I – Schadenfreude
«Giornata terribile oggi, vero?»
Le due ragazze dell’ufficio stampa di Fare per Fermare il Declino sgranano gli occhi, sorridono amaramente e annuiscono con forza. «Oggi è stato abbastanza terribile, sì», rispondono in coro. Sono circa le 8 di sera del 19 febbraio e una coltre di mestizia ricopre il Teatro Orione di Roma. L’occasione di ritrovo è l’happening teatrale-elettorale «Una cena italiana», in cui Oscar Giannino interpreta Oscar Giannino che cerca di convincere una famiglia qualsiasi a votare il suo movimento politico.
Da quando l’economista Luigi Zingales (uno dei fondatori di FiD) ha sbattuto la porta e accusato Giannino di aver mentito sul master a Chicago e sui suoi titoli accademici, il mondo politico e i fogliacci reazionario-berlusconiani si sono gettati sul corpo del giornalista come una muta di cani rabbiosi, l’hanno sbranato fino a spolparlo e hanno concluso il tutto con una sfrenata orgia di Schadenfreude.
Che sarebbe stata la giornata più nera della carriera politica di Giannino lo si era capito sin dalle prime ore della mattina, quando Berlusconi ha sfoderato la trollface elettorale e dichiarato: «Giannino è andato a Chicago a prendersi una laurea che si era perso». Per rendersi conto dell’accanimento, è sufficiente leggere i titoli dei giornali. Libero: «Il declino di Giannino»; Il Giornale: «L’Oscar delle balle» (Sallusti) e «Giannino e le pressioni su Formigoni» (un’infornata di intercettazioni irrilevanti); e infine il «Buongiorno» di Gramellini («Fare per fermare il Giannino»), un autentico colpo di grazie per chiunque.
Verso il pomeriggio Giannino sembra pronto alle dimissioni, o comunque a fare un passo indietro: «Se la mia credibilità totale offusca quella di Fare per Fermare il Declino, la mia credibilità totale si separa da Fare per Fermare il Declino». Alcuni siti rivelano che Giannino non è nemmeno laureato. Circola anche la voce che il Comitato dei Garanti, formato tra gli altri da Alesina & Giavazzi, si sia sciolto. Lo scenario è quello dell’implosione del partito: una furiosa resa dei conti con retrogusto dietrologico («perché Zingales l’ha tirato fuori proprio adesso?») a una manciata di giorni dal 24 febbraio. Un’autentica manna dal cielo per tutti i drogati di politica.
Alle 21 lo spettacolo deve ancora iniziare. Capto frammenti di parole nella penombra, avverto l’incertezza delle prospettive, percepisco la rabbia latente degli «anti-declinisti»: «Se Berlusca s’è comprato uno, se tu dai le dimissioni se ne compra altri quattro. Se tu nun dai le dimissioni e dice che Berlusca s’è comprato uno, je diventa un boomerang». Mentre cerco di ricomporre il mosaico delle voci, parte qualche timido applauso d’incoraggiamento, qualcuno urla «Forza!» dalle viscere della platea e un anziano signore davanti a me sibila: «E dateve ‘na calmata…». Qualcosa mi sfugge nel quadro generale.
Passa un quarto d’ora, e il presentatore della serata – un uomo basso e pelato che non sfigurerebbe nel cast di Twin Peaks – si materializza sul palco. Dopo i convenevoli di rito, il presentatore spiega premurosamente alla platea che «è una commedia, potete ridere»; poi avverte: «da martedì Fare farà molto sul serio con i suoi deputati e gli eletti alla Regione Lazio».
Calano le luci e si apre il sipario.
Atto II – Il neoliberismo non è una cena di gala
I primi minuti di «Una cena italiana» sono a dir poco disorientanti.
I titoli di testa dei telegiornali si mischiano tra loro e sfociano in un pezzo techno che introduce i protagonisti della pièce, ossia una madre ex berlusconiana pentita sull’orlo di una crisi di nervi, un nonno ex Pci e convintamente Pd, una figlia precaria insopportabilmente grillina e un giovane nullafacente di 18 anni che si muove e parla come un Jovanotti degli anni Novanta dopo venti elettroshock.
Il deus ex machina Giannino (in completo gessato colorato, panciotto d’oro e 38 di febbre) compare in scena dopo una decina di minuti, e comincia gradualmente a introdurre il programma elettorale di FiD, puntellandolo con una serie di battute autoironiche legate alla stretta attualità. «Fate come se non ci fossi – dice il giornalista economico alla famiglia – tra un po’ potrebbe anche esserlo»; «Apparecchio? – chiede alla madre – Tra poco mi rimarrà da fare solo quello». Quando si parla di università Giannino si tiene le mani sulla testa, suscitando l’ilarità generale della sala.
A parte momenti genuinamente imbarazzanti, devo ammettere che lo spettacolo non è male. Funziona. C’è solo la crudeltà di vedere cinque persone mangiare sul palco e bere vino («L’unica cosa rossa che mi piace», esclama Giannino), mentre il tuo stomaco reclama pietà ed esige almeno 33cl di birra belga per placare i crampi. Quando il giovane dice che «non sa cosa fare da grande», dalla platea si leva una velenosa esortazione zingalesiana: «Fai un master!». Il professor Zingales è indubbiamente un’assenza ingombrante, anche sul palco del Teatro Orione. Giannino non lo menziona mai, ma tra le righe riesce a scoccargli alcune staffilate: «Sempre dubitare del professore che dice “o hai un pezzo di carta o non vali niente”». E ancora: «In questi giorni ho sempre il terrore dietro, pensavo fosse avanti e invece è dietro». Applausi.
Dopo circa un’ora di affabulazione e retorica anti-statalista, finalmente si approda alla conclusione. Gli attori sono tutti in piedi di fronte alla tavola. «Fino a poco tempo non volevo andare a votare – scandisce Giannino – Io e alcuni altri meno uno [Chiarissimo il riferimento a Zingales. Il pubblico apprezza e ride amaramente, nda] abbiamo messo insieme una cosa nuova che con i vecchi partiti ha a che fare zero, che con i soldi dei contribuenti, cioè i nostri, a che fare zero». Giannino si muove arzillo sul palco, cerca di convincere la «famiglia» a votarlo e grida: «Dobbiamo mandare a casa loro, dal primo all’ultimo!» Poi prende per mano gli attori, alza lo sguardo al soffitto e urla: «TUTTI INSIEME LI PRENDEREMO A CALCI!». La standing ovation sommerge la musica finale, e all’inchino di Oscar il pubblico risponde alzandosi.
Poi cala il sipario e si riaccendono le luci – e comincia il vero spettacolo della serata.
Atto III – La passione di Oscar
Giannino torna sul palco per il Botta & Risposta con il suo pubblico, e misura le assi di legno a passi nervosi, carichi di tensione. Esordisce dicendo: «Vi devo delle scuse». Quindi ringrazia attori e pubblico, e comincia la sua orazione. «Domani [oggi, nda] io ho un processo in Tribunale [si riferisce alla Direzione Generale del partito, che deciderà sulle sue dimissioni]. Perché mai avrei mai pensato – lavorando da 17 anni, venendo da un quartiere operaio e facendo tutta la mia professione sotto gli occhi del mondo – di figurare come il delinquente peggiore che la politica italiana abbia mai conosciuto!»
Giannino alza la voce, percorre il palco in orizzontale e tiene il dito puntato sulla platea. «L’impegno che mi prendo è che, se eletto, il seggio lo rifiuto. E dopodiché non voglio avere più niente a che fare con una roba rispetto alla quale quello che ho fatto nella vita sembra ovvia e suprema vergogna». È un’uscita di scena?
«Io una mano ve la darò sempre», ribadisce Giannino «e oggi pago il prezzo». Ma non ci sta ad uscire a testa bassa. Elenca tutti gli scandali di questi ultimi giorni, le tangenti, i procedimenti giudiziari di Berlusconi («ha più procedimenti giudiziari degli anni che mi rimangono da vivere») e annuncia le sue dimissioni. «Lo faccio. Sapete perché? Perché voglio avere la libertà che nella vita mi ha fatto cambiare posti di lavoro, andare fuori da aziende, parlare male di Telecom. Io pago il prezzo, ma non vi lascio soli». Giannino scuote vigorosamente la mano, e continua a consumare le assi. «La vita va avanti di esempi, di coerenza. Se credete un solo momento che io abbia detto una cosa e non la pratichi sulla mia pelle, vuol dire che non conoscete la storia della mia vita. Sono felice di farlo a patto però che voi vi ricordiate che nella politica, come nella vita, gli avversari stanno di fronte. Quando stanno alle spalle c’è qualche cosa che non va».
Il pubblico è estremamente disorientato, applaude, ma si percepisce chiaramente lo psicodramma nell’aria. Mentre Giannino risponde alle domande, i candidati alla Camera e alla Regione Lazio salgono sul palco, lo interrompono e gli implorano di restare. Il leader di FiD non si fa commuovere e non tentenna; anzi, li “caccia” gentilmente dal palco. La decisione, insomma, è irrevocabile.
Verso le 23 c’è anche lo spazio per un momento di puro freakshow. Un signore si avvicina al palco, dice di essere «uno che ha trovato grazie a te la forza di impegnarsi» e consegna a Giannino una spilla di Forza Italia del 1994, offrendogliela simbolicamente in dono. «Mi perdonerai se non me la metto», gli ribatte scherzosamente Giannino. Siamo ormai agli sgoccioli, e la sensazione è quella di trovarsi nella scena finale di Attimo fuggente.
Un giovane con occhiali e hashtag #IoStoConGiannino stampato su un foglio si alza e si presenta così: «Ho tre lauree e un master, ma non ci capisco un cavolo rispetto a te». Il giovane stringe il microfono con la mano destra ed esorta il candidato premier: «Un capitano la nave la porta in porto». O capitano, mio capitano. «Se io sono Schettino la nave la devo lasciare», gli risponde Giannino. Già, sembra proprio finita. Un signore di fianco a me si lega la sciarpa al collo e dice: «Mi sa che si è suicidato stasera…».
Si può dire che Giannino in questi giorni si sia suicidato politicamente? Sicuramente. Ma Giannino è stato suicidato anche dal livello etico e politico di questo Paese – un Paese in cui corrompere giudici è quasi un gesto eroico, mentre mentire narcisisticamente sui titoli di studio è un delitto imperdonabile. La storia di Fermare il Declino, del resto, è uno degli emblemi di questa campagna elettorale, con tutte le sue alleanze saltate, le possibili aperture/chiusure, la guerriglia tra bande, il protagonismo esasperato, la vanità, la rivincita dei professoroni, le pugnalate letali alla schiena e il caos generalizzato.
Cosa resterà di Fare per Fermare il Declino dopo le elezioni? Forse riuscirà a passare la soglia del 4%, forse non ce la farà, forse si scanneranno tra loro, forse Giannino abbandonerà veramente e scomparirà. Oppure, alla fine forse rimarrà soltanto il romantico, velleitario tentativo di un’élite di organizzare una ribellione culturale sorseggiando tè e discettando di tasse e Milton Friedman con monocoli, tube, ghette e panciotti dorati.
(Foto di Angelo Romano)
Aggiornamento: Oscar Giannino si è dimesso.
Dimissioni irrevocabili da presidente in Direzione. I danni su di me per inoffensive ma gravi balle private non devono nuocere a @fare2013!
— Oscar Giannino (@OGiannino) February 20, 2013