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La libertà è partecipazione: come riconquistare la fiducia dei cittadini

27 Agosto 2010 6 min lettura

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La libertà è partecipazione: come riconquistare la fiducia dei cittadini

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Abbiamo ricevuto questa lettera dal blogger Nicola Mattina. 
La pubblichiamo come avremmo pubblicato altre lettere aperte a qualsiasi partito. L'aspetto che qui ci interessa non è tanto che l'appello sia diretto al Partito Democratico ma la lettera in sè, che è un esempio di attivismo da parte dei cittadini maturo e costruttivo verso la politica e le istituzioni. Inoltre la lettera contiene proposte di coinvolgimento dei cittadini da parte delle istituzioni che potrebbero essere un monito, uno stimolo, una richiesta da rivolgere a qualsiasi partito, a tutti i politici. Da rivolgere alla politica e alla classe dirigente che oggi ci rappresenta. Come cittadini, sebbene sfiduciati e delusi, dobbiamo fare uno sforzo e riprovare a parlare con i nostri politici. Facciamo noi il primo passo affinché le nostre legittime critiche offrano anche orizzonti propositivi. La rete, i social network possono essere formidabili alleati. Siamo convinti che i cittadini e la politica abbiano un urgente, profondo, estremo bisogno di ritrovarsi. 

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Ha ragione Walter Veltroni quando, nella sua lettera agli italiani pubblicata il 24 agosto sul Corriere della Sera, sostiene che l’Italia merita di più della classe dirigente di cui lui e tanti altri sono esponenti di primo piano da decenni. Noi elettori del partito democratico meritiamo di più di un gruppo oligarchico stantio e incapace di elaborare un progetto politico che non sia una modesta ipotesi di alleanza senza alcun contenuto diverso dalla velleitaria ipotesi di sconfiggere l’avversario politico invocando lo stato di emergenza democratica. 

L’era Berlusconi è anche il risultato dell’incapacità dei dirigenti del centro sinistra di costruire un progetto progressista credibile e con una vera vocazione maggioritaria. 
Oggi, Pierluigi Bersani lo invoca a gran voce in un’altra lettera al direttore di Repubblica, ma non ne fa intravedere neanche un’ipotesi. Come elettore del Partito democratico, mi sento in dovere e in diritto di farne una io. 
Gli italiani non hanno fiducia nello Stato e nei partiti. Una mancanza drammatica che logora ogni giorno quel poco di senso civico residuo, quella disponibilità a cooperare per il miglioramento della società in cui si vive che tutti i cittadini dovrebbero invece desiderare di offrire per vivere meglio ed essere più felici. 
La mancanza di fiducia è la conseguenza dell’opacità dietro la quale si nascondono amministratori pubblici e politici. Una cortina di fumo innalzata da chi non vuole rendere conto ai cittadini e agli elettori. 
Vale per le pubbliche amministrazioni, che si trincerano dietro una bruttissima legge sulla trasparenza amministrativa e a interpretazioni a dir poco fantasiose delle norme, come quella del Garante per la protezione dei dati personali che ha stabilito che le informazioni pubbliche non sono necessariamente pubblicabili (un vero e proprio non-sense) e che, di conseguenza, possono essere rese disponibili nei siti web degli enti (e non è questa forse una pubblicazione?), ma non possono essere indicizzate dai motori di ricerca. Sicché, di fatto, divengono irraggiungibili. Un imbroglio! 
Vale anche per i partiti, che di fatto non hanno alcun obbligo reale di rendicontazione né delle attività e dei risultati né di come impiegano i soldi che ricevono come rimborsi elettorali o contributi da parte di privati e aziende. Senza considerare che questi ultimi, probabilmente, transitano in gran parte in fondazioni politiche finanziate da società di telecomunicazioni, farmaceutiche, petrolifere o produttori tabacco; soldi che arrivano alla politica con modalità che fanno sospettare che siano impiegati nell’interesse di singoli piuttosto che della collettività. 
Un sistema senza trasparenza non può costruire fiducia perché favorisce i furbi e costringe gli onesti in uno stato di illegalità latente; la trasparenza, al contrario, promuove la responsabilità e il merito. 
Nell’epoca della cultura digitale essere trasparenti significa adottare il modello dell’open government: le amministrazioni pubbliche devono mettere a disposizione tramite Internet tutti i dati di cui dispongono in modo che questi possano essere utilizzati liberamente dai cittadini per analizzarne funzionamento e prestazioni e per costruire innovazione. 
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, l’open government è diventato un vero e proprio movimento civico alimentato dalla crescente disponibilità di dati pubblicati senza limitazioni d’uso nei siti governativi data.gov e data.gov.uk e delle amministrazioni locali. A partire da queste informazioni sono fiorite tantissime iniziative che vedono la partecipazione attiva di cittadini che costruiscono servizi per altri cittadini e lavorano insieme con gli amministratori per rendere più efficace la gestione della cosa pubblica. Per esempio, il sito di informazioni locali Everyblock usa i dati del comune di San Francisco per informare gli utenti sui permessi rilasciati per lavori pubblici, sugli esiti dei controlli sanitari nei ristoranti, sulle richieste alla Polizia e via di seguito. Datasf.org, il sito della città dedicato agli open data, inoltre, censisce molte applicazioni sviluppate da cittadini usando e mixando le informazioni messe liberamente a disposizione dalle diverse aziende di trasporto pubblico: servizi realizzati senza alcun costo per la città.
Il movimento dell’open government - sebbene sia ancora nella sua fase germinale - mostra che, di fronte a una pubblica amministrazione che accetta di essere trasparente, i cittadini sono disposti a farsi coinvolgere, a mettere in campo il proprio senso civico, ad avere fiducia nell’impegno a favore della propria comunità. 
Nel 2010, non si può continuare a pensare alla pubblica amministrazione come se fossimo all’epoca della nascita degli stati nazionali e al welfare come se la nostra società fosse in qualche modo simile a quella uscita dalla seconda guerra mondiale. Negli ultimi centocinquanta anni, è stato creato un apparato che ha pochissima attenzione ai risultati e al rapporto tra costi e benefici. Lo Stato burocratico eroga prestazioni a cittadini che non vengono mai coinvolti nella fase di progettazione, di produzione o di valutazione dei servizi; elabora regole sempre più dettagliate, procedure di garanzia, controlli che vengono sistematicamente aggirati o derogati. 
Lo Stato del ventunesimo secolo deve puntare alla co-produzione dei servizi pubblici, riconoscendo che i cittadini hanno competenze da mettere in campo e rappresentano delle risorse da coinvolgere. Gli individui, le famiglie, i vicinati, le comunità locali rappresentano il sistema operativo sul quale funzionano i servizi assicurati dalle pubbliche amministrazioni. Quando queste ultime operano in contrasto con i primi i risultati sono performance scadenti, un basso livello di fiducia, una scarsa volontà di partecipazione.
Il riferimento al computer non è casuale perché il tipo di tecnologia che viene sviluppata e che si diffonde in una società ne plasma in modo decisivo la struttura materiale e la politica non può continuare a ignorare la cultura digitale, che sottolinea valori come la responsabilità, la collaborazione, l’innovazione e la libertà. 
Una riforma dei servizi pubblici che non tenga conto del ruolo attivo dei cittadini non è destinata ad andare troppo lontano. Pensiamo alla sfida della gestione dei rifiuti, al loro corretto riciclaggio e smaltimento: non è possibile immaginare che la raccolta differenziata produca risultati apprezzabili se i cittadini non partecipano attivamente, se non diventano co-produttori del servizio. Non è sufficiente mettere i cassonetti colorati per strada; é necessario che le persone diventino parte attiva del processo, suddividendo correttamente i materiali. E non solo: chi ha imparato come si fa, può aiutare chi incontra difficoltà (ho avuto esperienza di persone anziane che non riescono a gestire correttamente la raccolta) e può contribuire con idee e progetti all’evoluzione del servizio per renderlo migliore.
Ragionamenti analoghi valgono per tutti i servizi pubblici: occorre considerare gli utenti come risorse da coinvolgere nella progettazione, produzione e valutazione piuttosto che come destinatari passivi di processi studiati a tavolino, tenendo conto unicamente delle convenienze degli uffici o della politica. Non è solo questione di principio: gli esperimenti di co-produzione realizzati in Gran Bretagna mostrano che essa può rendere il sistema più efficiente, più efficace ed economicamente sostenibile, favorendo quell’innovazione dello stato sociale resa necessaria dai cambiamenti radicali che sono avvenuti nella nostra società negli ultimi sessant’anni. 
Fiducia, attraverso l’apertura dei dati, e coinvolgimento, attraverso la co-produzione dei servizi, sono le due parole chiave che dovrebbero stare alla base del progetto politico del Partito democratico.

Noi progressisti abbiamo bisogno di un partito contemporaneo, trasparente e in grado di coinvolgerci. Non ci serve una classe dirigente che si nasconde dietro Berlusconi nel velleitario tentativo di celare le proprie colpe e di difendere delle rendite elettorali. 

Nicola Mattina  per Valigia Blu
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