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Le nuovi tensioni in Kosovo, le accuse serbe ai soldati della missione NATO e le critiche di UE e USA alle autorità kosovare: cosa sta succedendo

30 Maggio 2023 5 min lettura

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Le nuovi tensioni in Kosovo, le accuse serbe ai soldati della missione NATO e le critiche di UE e USA alle autorità kosovare: cosa sta succedendo

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Quaranta militari della KFOR, la missione internazionale della NATO presente in Kosovo dal 1999 per il mantenimento della pace, e decine di manifestanti sono rimasti feriti nel corso delle proteste nel nord del Kosovo da parte di abitanti di origine serba che contestano la legittimità dell’insediamento di alcuni sindaci d’origine albanese e chiedono il riconoscimento dell'Associazione dei Comuni Serbi, previsti dall’accordo di Bruxelles

I disordini sono iniziati dopo che gli abitanti serbi del Kosovo (circa il 5% degli 1,8 milioni di abitanti del paese) hanno boicottato – con l’appoggio di Belgrado – le elezioni locali dello scorso aprile in quattro Comuni del nord a maggioranza serba. Con un’affluenza di appena il 3,47%, i candidati di origine albanese hanno potuto così prendere il controllo dei consigli comunali. 

Il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia nel febbraio 2008, dopo anni di relazioni tese tra gli abitanti serbi e quelli prevalentemente albanesi. L'indipendenza è stata riconosciuta da circa 100 paesi, tra cui gli Stati Uniti e i principali Stati membri dell'Unione Europea, ma la Serbia si rifiuta di farlo, così come la maggior parte dei serbi all'interno del Kosovo. Mentre le persone d’origine albanese rappresentano oltre il 90% della popolazione del Kosovo nel suo complesso, i serbi costituiscono la maggioranza proprio nella parte settentrionale del paese.

I peggiori episodi di violenza si sono verificati il 29 maggio a Zvecan: di buon mattino circa 300 manifestanti si sono radunati presso l'edificio comunale nella speranza di impedire al nuovo sindaco d’origine albanese di entrare nel Comune. I soldati della NATO hanno cercato inizialmente di separare i manifestanti dalla polizia kosovara, successivamente hanno disperso la folla usando scudi e manganelli, riferisce l'agenzia di stampa AFP. La polizia kosovara ha dichiarato che una delle loro auto è stata incendiata e che su altri veicoli sono state lasciate delle “scritte provocatorie con simboli serbi e russi”. I soldati della NATO hanno formato un cordone di sicurezza intorno ad altri due municipi.

Diversi manifestanti hanno lanciato pietre e bombe molotov contro i soldati della NATO, prosegue AFP. Cinque persone sono state arrestate in seguito agli scontri. Tra i quaranta soldati feriti, ci sono quattordici italiani e una ventina di ungheresi, ha comunicato la NATO. Tra gli undici italiani, tre sarebbero in gravi condizioni ma non in pericolo di vita, ha precisato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Aggredite anche alcune troupe di giornalisti che stavano seguendo le proteste nei comuni di Leposavic, Zubin Potok e Zvecan, come riporta Balkan Insight.

Il presidente serbo Aleksander Vucic ha dichiarato che più di 50 serbi hanno avuto bisogno di cure ospedaliere. A surriscaldare gli animi, secondo Vucic che lo scorso fine settimana ha spostato le unità dell’esercito vicino al confine con il Kosovo, avrebbe contribuito la rimozione delle bandiere serbe dagli edifici comunali, sostituite da quelle del Kosovo, e le azioni della polizia kosovara, munita di fucili e veicoli blindati. Vucic ha inoltre accusato il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti di aver fomentato le tensioni nel tentativo di creare “un grande conflitto tra serbi e NATO” e la KFOR di aver “fatto entrare i ‘sindaci’ di Kurti negli edifici del Comune”, e di averli “protetti dai serbi, invece di fare il contrario”.

Kurti ha invece sostenuto che le forze di sicurezza stavano garantendo che i sindaci democraticamente eletti potessero esercitare le loro funzioni: “Anche se ci sono manifestanti pacifici, il primo ministro ha valutato che non si tratta di proteste pacifiche, ma di folle di estremisti diretti da Belgrado”, si legge in un comunicato.

Questa situazione è l’eredità della “mancata vera risoluzione della guerra delle targhe, che presenta ora il conto”, ha commentato Giorgio Fruscione, analista dell’ISPI, in un’intervista a La Stampa. A novembre, sembrava essere stato raggiunto un accordo che metteva fine alla disputa iniziata almeno due anni prima con la Serbia che emetteva targhe serbe ai veicoli targati Kosovo e il Kosovo che imponeva a sua volta la re-immatricolazione dei veicoli.

I due paesi stanno portando avanti le trattative, con la mediazione europea, per un accordo definitivo sulla normalizzazione delle loro relazioni. Ma questo percorso continua a essere accidentato, rallentato da momenti di tensione che si ripetono frequentemente.  A dicembre c’erano stati nuovi scontri, con le dimissioni collettive dei funzionari serbi dell'area, tra cui personale amministrativo, giudici e agenti di polizia, poi rientrate, che avevano fatto temere il peggio.

“Oggi non assistiamo all’anticamera di un nuovo fronte di guerra per vari motivi”, spiega ancora Fruscione in un’altra intervista radiofonica. “In Kosovo c’è la più grande missione NATO al mondo che porta a escludere uno scontro militare simile a quello in Ucraina. Poi nessuna delle due parti ha risorse economiche, militari e internazionali per affrontare un conflitto. E poi manca la volontà politica: entrambe le parti hanno reciproco vantaggio dal reiterarsi di queste tensioni locali in ambiti ‘circoscritti’ piuttosto che portarlo avanti apertamente. La situazione però non va sottovalutata e potrebbe degenerare”. 

“Per Belgrado, la persecuzione verso i serbi è diventata ormai insopportabile e, anche per limitare le critiche delle frange più nazionaliste, si dice pronta a intervenire per difendere i propri cittadini. Dall'altra parte Prishtina continua ad andare dritto per la sua strada per un riconoscimento de facto della propria indipendenza. La decisione di voler imporre sindaci albanesi nei comuni a maggioranza serba appare come un'ulteriore sfida per alzare la posta al tavolo delle trattative”, osserva Marco Siragusa su Meridiano 13.

Sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti hanno criticato le autorità kosovare per aver destabilizzato la situazione nel nord del Kosovo e hanno messo in guardia da qualsiasi azione che possa ulteriormente infiammare l’area. Vucic ha chiesto il ritiro dei “falsi sindaci” come pre-requisito per preservare la pace e il ritiro delle unità speciali di polizia kosovara. L'UE ha anche chiesto la ripetizione delle elezioni.

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Intanto, la NATO ha annunciato il dispiegamento delle Forze di riserva operativa (ORF) per i Balcani occidentali “per garantire che la KFOR abbia le capacità di cui ha bisogno per mantenere la sicurezza, come previsto dal mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”.

I funzionari internazionali sperano di accelerare i negoziati e di raggiungere una soluzione nei prossimi mesi. Nessun passo avanti significativo significherebbe una prolungata instabilità, un declino economico e la reiterazione degli scontri, così come accaduto di recente.

Immagine in anteprima: Frame video BBC

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