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Kashmir: carta, penna e motociclette. Così i giornalisti raccontano la repressione, sfidando la censura

18 Agosto 2019 7 min lettura

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Kashmir: carta, penna e motociclette. Così i giornalisti raccontano la repressione, sfidando la censura

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Il 5 agosto, approfittando di uno stallo legislativo che durava da più di un anno, il ministro dell'Interno Amit Shah ha annunciato alla Camera alta del parlamento federale indiano la revoca dell'articolo 370 della Costituzione che priva, dopo 70 anni, lo Stato di Jammu e Kashmir (una regione contesa da decenni da India e Pakistan) della sua autonomia.

"È stato così cancellato un “errore storico”", ha twittato l'ex ministro delle Finanze Arun Jaitley del primo esecutivo del premier attualmente in carica Narendra Modi.

Questa misura, proposta dal partito nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) di Modi, determinerà la divisione dello Stato in due regioni, Jammu e Kashmir e Ladakh.

Regione del Kashmir The University of Texas at Austin via HRW

Come Ladakh, Jammu e Kashmir sarà amministrato direttamente da Nuova Delhi pur continuando, a differenza del primo, ad avere un'assemblea legislativa eletta a livello locale con poteri drasticamente ridotti.

Con l'applicazione della norma viene di fatto abolito lo status di "residente permanente" concesso dall'articolo 35A (incluso nell'articolo 370) in base al quale chi ne fosse sprovvisto non aveva il diritto di acquistare terreni, né di usufruire di borse di studio o di altri aiuti forniti dallo Stato (il provvedimento venne assunto durante il dominio britannico per impedire la migrazione dei cittadini del vicino Punjab).

Con la modifica dell'articolo 370 le leggi emanate dal Parlamento indiano riguardanti qualsiasi ambito (e non soltanto relative a difesa, esteri e comunicazioni, come avvenuto finora) entreranno automaticamente in vigore a Jammu e Kashmir senza alcuna "consultazione" preventiva, la Costituzione sarà cancellata e lo Stato non avrà più la sua bandiera.

Come racconta Matteo Miavaldi sul Manifesto si è trattato di “un golpe politico che non ha precedenti nella storia indiana e che secondo diversi osservatori sarebbe anticostituzionale. Dettaglio su cui, con ogni probabilità, la Corte suprema sarà presto chiamata a esprimersi” poiché effetto di una modifica dell’articolo 370 attraverso un decreto presidenziale, senza aver sottoposto la decisione all’assemblea parlamentare kashmira e quindi “imponendo dall’alto una svolta storica e assolutamente indigesta per la maggioranza degli abitanti del Kashmir”.

“Le opposizioni, dall’aula parlamentare, hanno parlato di «omicidio della democrazia indiana» e chiusura dell’ultimo spiraglio di risoluzione democratica della «questione kashmira» - prosegue Miavaldi - Contrariamente a quanto consigliato da una risoluzione Onu del 1948, l’India non ha mai concesso alla popolazione kashmira un plebiscito per decidere del proprio futuro, conteso da India e Pakistan, alimentando sentimenti anti-indiani sfociati dagli anni Novanta nella lotta armata”.

Era da tempo che il primo ministro Narendra Modi e il Bharatiya Janata Party si opponevano all'articolo 370, tanto che la sua modifica era stata inclusa nel programma elettorale del partito. All'indomani delle elezioni di aprile e maggio scorso e la schiacciante vittoria di BJP l'impegno è stato mantenuto, motivando la decisione con l'esigenza di integrare il Kashmir nel resto del paese, volendolo porre sullo stesso piano.

Chi ha criticato la decisione del 5 agosto è perché la considera un escamotage per distrarre l'opinione pubblica dal rallentamento dell'economia che l'India sta attualmente attraversando.

Secondo molti kashmiri, invece, come scrive BBC News, obiettivo del BJP è cambiare il carattere demografico della regione a maggioranza musulmana, attraverso l'acquisto dei terreni da parte degli indù.

«Voglio dire al popolo di Jammu e Kashmir quali sono i danni che hanno arrecato allo Stato gli articoli 370 e 35A», ha detto il ministro dell'Interno Amit Shah al parlamento. «A causa di questi articoli la democrazia non è mai stata pienamente attuata, la corruzione è aumentata nello Stato e non c'è stato alcuno sviluppo».

Contro il provvedimento governativo si sono schierati l'ex vice maresciallo dell'aeronautica Kapil Kak e il maggiore generale in pensione Ashok Mehta che hanno presentato alla Corte suprema, insieme ad altri quattro firmatari, un'istanza che contesta il disegno di legge.

Ma segnali di cambiamento si erano avvertiti durante i primi giorni di agosto con il dispiegamento di decine di migliaia di truppe indiane, l'annullamento del pellegrinaggio induista ad Amarnath (in una grotta dove si trova uno dei più importanti templi dedicati al dio Shiva), la chiusura di scuole e università, un avviso che invitava i turisti e pellegrini a lasciare il Paese, la sospensione di servizi telefonici e Internet e gli arresti domiciliari dei leader politici della regione.

Giovedì 1 agosto, infatti, alcune reti televisive indiane hanno annunciato la scoperta di un campo minato, con ordigni con marchi pakistani, sulla strada che porta ad Amarnath.

Venerdì 2 agosto il governo ha diramato un avviso in cui ha chiesto a tutti i pellegrini (e anche ai turisti che si trovavano a chilometri di distanza dal percorso del pellegrinaggio) di lasciare immediatamente la valle.

Sabato 3 agosto, le forze di sicurezza hanno preso posizione in tutto il Kashmir.

Posti di blocco a Jammu Rakesh BAKSHI/AFP

Allo scadere della mezzanotte del 4 agosto il Kashmir si è trasformato in un gigantesco campo di prigionia. Sette milioni di abitanti hanno dovuto barricarsi nelle proprie case mentre le connessioni a Internet sono state definitivamente interrotte e le linee telefoniche messe fuori uso.

Il mattino seguente, si è appreso successivamente, centinaia di persone sono state arrestate inclusi tre ex primi ministri.

Questo è il contesto in cui lavora Raja Mohi-ud-din, direttore di Tameel-e-Irshad,   uno dei pochi quotidiani del Kashmir ancora in attività.

Da quando l'autonomia del Paese è stata revocata l'uomo si sveglia alle 2 del mattino, sale in moto con una chiavetta in tasca e si dirige per le strade della capitale estiva Srinagar (quella invernale è Jammu, perché Srinagar in inverno rimane a lungo isolata a causa delle temperature molto basse) nei locali del suo giornale per mandarlo in stampa.

Poiché i dipendenti di Mohi-ud-din non possono recarsi a lavoro, vivendo in quartieri completamente isolati, l'uomo ha imparato ad usare le rotative, termina di stampare verso le 5:00 e poi va a distribuire il giornale che esce in versione notevolmente ridotta: un unico foglio, su entrambi i lati. Ma Mohi-ud-din sa che la sua è una delle poche fonti di informazione ancora disponibili e che tanti aspettano l'uscita di quel foglio.

«Le persone cercano disperatamente di leggere un giornale», ha dichiarato al New York Times che ha raccontato la sua storia. «L'altro giorno ho venduto 500 copie in cinque minuti».

Come Mohi-ud-din l'intero mondo dell'informazione del Kashmir sta cercando di resistere a una delle più severe repressioni nel Paese. Lunedì 12 agosto, una settimana dopo il blocco, giorno in cui si celebrava Eid al-Adha (una delle ricorrenze più importanti del calendario musulmano), le forze di sicurezza indiane hanno chiuso le strade principali, schierato elicotteri di sorveglianza, sgomberato strade secondarie, ordinato la chiusura della maggior parte delle moschee e allontanato i bambini dai parchi.

In questo clima, solo 5 dei 174 quotidiani del Kashmir riescono ad andare in stampa con un'edizione al massimo di otto pagine.

Lavorare è complicato, nessun accesso alle agenzie, nessun accesso ai social media. Non ci si può collegare, non si può telefonare. Come fare informazione? Alla vecchia maniera: blocchetti di carta e penne.

Tutte le mattine ci si organizza dividendosi in gruppi di sei o di otto, girando insieme in moto per cercare direttamente le notizie.

A conclusione della giornata molti restano a dormire sul pavimento della redazione perché rischierebbero di rimanere comunque bloccati sulla strada verso casa a causa dei check-point.

«Non sappiamo cosa stia succedendo lì fuori», ha detto con preoccupazione Faisel Yaseen, redattore politico del quotidiano Rising Kashmir, che pubblica circa 1.000 copie al giorno.

Le autorità indiane hanno definito le restrizioni alle comunicazioni “necessarie” per prevenire disordini, ma hanno anche affermato di non avere in programma di intervenire contro i pochi giornali che vanno ancora in stampa.

Anuradha Bhasin, direttrice esecutiva del Kashmir Times, una delle testate più antiche della regione, ha presentato un appello alla Corte suprema dell'India, dichiarando che le restrizioni violano la libertà di parola e sono quindi incostituzionali.

Venerdì 16 agosto, dopo aver accolto l'appello, la Corte suprema ha rinviato l'udienza dichiarando di voler concedere al governo indiano un po' più di tempo per rivedere la situazione.

Non si sa per quanto ancora i giornalisti del Kashmir potranno continuare a lavorare in queste condizioni con carta e inchiostro che si stanno esaurendo.

Mohi-ud-din non è poi così preoccupato. «In Kashmir, siamo abituati», ha detto. «Ho fatto la scorta per un mese».

Per lavorare, e questa purtroppo non è inusuale per i giornalisti della regione, si rischia anche la propria incolumità. Sameer Bhat, grafico di un giornale, è stato colpito al volto e ricoverato per ferite da fucile a pallettoni utilizzati dalle forze di sicurezza indiane.

Sameer Bhat Atul Loke/The New York Times

Il giorno successivo, subito dopo essere stato dimesso dall'ospedale, si presentato comunque in redazione. «Avevo un giornale da preparare», ha detto al New York Times.

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Nonostante la repressione i cittadini del Kashmir, spaventati, confusi e arrabbiati, desiderano uscire e acquistare i giornali anche per non sentirsi completamente isolati.

Greater Kashmir via Al Jazeera

Ogni mattina, Vivek Wazir, direttore d'albergo, attende con impazienza la sua copia del Greater Kashmir perché «queste due pagine sono la mia sola finestra sul mondo».

Foto in anteprima Atul Loke/The New York Times 

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