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Kashmir, i cittadini schiacciati fra forze di sicurezza indiane e militanti separatisti: «Qui ormai siamo tutti morti»

10 Novembre 2019 10 min lettura

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Kashmir, i cittadini schiacciati fra forze di sicurezza indiane e militanti separatisti: «Qui ormai siamo tutti morti»

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Dal 31 ottobre lo Stato di Jammu e Kashmir ufficialmente non esiste più. È stato diviso in due territori separati: uno che manterrà lo stesso nome, e un altro, confinante con la Cina, che si chiamerà Ladakh.

A prestare giuramento, lo stesso giorno, come vice Governatore di Jammu e Kashmir il funzionario dei servizi amministrativi Girish Chandra Murmu e per la stessa carica a Ladakh l'ex segretario alla difesa Radha Krishna Mathur. Mentre per il territorio di Jammu e Kashmir è prevista un'assemblea legislativa con poteri ridotti, il Ladakh sarà amministrato direttamente da Nuova Delhi.

Questa decisione, proposta dal partito nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) del premier in carica Narendra Modi, fa parte di una mossa controversa annunciata all'inizio del mese di agosto che mira a rafforzare il controllo sulla parte del Kashmir amministrata dal governo indiano.

Il 5 agosto, infatti, il ministro dell'Interno indiano Amit Shah ha annunciato alla Camera alta del parlamento federale indiano la revoca dell'articolo 370 della Costituzione che ha privato, dopo 70 anni, lo Stato di Jammu e Kashmir della sua autonomia.

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Nel provvedimento pubblicato nella Gazzetta ufficiale indiana si legge che tutti i distretti che si trovavano sotto la giurisdizione di Jammu e Kashmir fino al 30 agosto fanno attualmente parte del territorio di Jammu e Kashmir ad eccezione di Kargil e Leh, che appartengono a quello di Ladakh. Ad oggi, quindi, l'India è una federazione composta da 28 Stati e nove Territori.

A inasprire un clima teso ormai da decenni ha contribuito la diffusione, il 2 novembre scorso, da parte del ministero dell'Interno indiano, della mappa politica aggiornata dell'India in cui Jammu e Kashmir appaiono divisi da Ladakh e i tre distretti amministrati dal Pakistan nel Kashmir - Mirpur, Muzaffarabad e Punch - inclusi nel territorio di Jammu e Kashmir mentre Gilgit-Baltistan, un altro territorio amministrato dal Pakistan, in quello di Ladakh.

La mossa di includere le aree amministrate dal Pakistan nei territori indiani ha sollevato varie proteste sia in Pakistan che in Cina. Il governo pakistano non ha voluto riconoscere le ultime mappe politiche diffuse dall'India, definendole "errate e giuridicamente ingiustificate".

In una dichiarazione rilasciata il 3 novembre, il ministero degli Esteri pakistano si è così espresso: «(Le mappe politiche) che mostrano la regione di Jammu e Kashmir e che raffigurano parti di Gilgit-Baltistan e Jammu e Kashmir sotto la giurisdizione territoriale dell'India sono errate, giuridicamente ingiustificate, non valide e in completa violazione delle relative risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite».

Il Pakistan ha affermato, inoltre, che nessun passo intrapreso dall'India potrà cambiare lo status speciale dello Stato "conteso" di Jammu e Kashmir (che sia India che Pakistan rivendicano come proprio dal 1947, al termine della dominazione dell'impero britannico) che è stato "riconosciuto dalle Nazioni Unite" e che le misure adottate dal governo presieduto da Modi non possono pregiudicare il diritto inalienabile all'autodeterminazione della popolazione del Jammu e del Kashmir dall'occupazione indiana.

A seguito della separazione sancita dall'India quasi il 98% della popolazione dell'ex Stato di Jammu e Kashmir rimarrà nel territorio che ne mantiene il nome con otto milioni di persone per la maggior parte di religione musulmana che vivono nella valle del Kashmir e sei milioni di persone per la maggior parte di religione indù che vivono nel distretto di Jammu. La terza regione, quella di Ladakh, per buona parte occupata da un deserto d'alta quota, è abitato da circa 300.000 persone di religione musulmana e buddista.

Qualche giorno prima che il governo, guidato dal Bharatiya Janata Party, annunciasse la decisione di abolire lo status speciale, il Kashmir è stato completamente isolato dal resto del mondo attraverso il blocco totale dei servizi telefonici e di Internet. Contemporaneamente vari leader politici della regione sono stati posti agli arresti domiciliari.

Da allora ad oggi si sono susseguite numerose proteste in cui sono avvenuti scontri tra forze di sicurezza e civili. Si ritiene, inoltre, che siano migliaia gli attivisti prelevati dalle proprie case nei giorni successivi l'inizio del blackout.

Dopo tre mesi, la situazione è lontana dal tornare alla normalità.

Il 29 ottobre cinque lavoratori migranti, originari del Bengala, sono stati uccisi nel distretto di Kulgam per mano di presunti militanti. Più di dieci cittadini del Kashmir sono stati arrestati ma non è stato ancora confermato se siano coinvolti negli omicidi. Secondo quanto riferito dal New York Times sei uomini sono stati fatti uscire dall'appartamento in cui risiedevano, fatti mettere in fila e colpiti in quello che è, ad oggi, l'attacco più sanguinoso contro i civili da quando il governo indiano ha revocato l'autonomia della regione. Un sesto lavoratore è sopravvissuto alla strage.

Nelle ultime due settimane e mezzo, i militanti separatisti, che da decenni, talvolta supportati da gruppi armati pakistani, portano avanti una campagna per l'indipendenza del Kashmir, hanno ucciso almeno 11 tra commercianti, operai e camionisti prendendo di mira anche gli agricoltori del Kashmir che lavorano nel settore delle mele, spingendoli a non vendere i loro prodotti.

Da settimane minacciano di attaccare chi tenta di riprendere le attività cercando di tornare alla vita normale, perché vogliono mantenere uno stato di crisi nella regione e intensificare la resistenza contro il governo indiano.

Per questo motivo da agosto, i civili si trovano in balia delle forze di sicurezza indiane e di chi cerca l'indipendenza della regione con le armi.

Lo stesso giorno in cui hanno perso la vita i 5 operai edili centinaia di manifestanti si sono scontrati con le forze di sicurezza in varie zone di Srinagar, la capitale estiva del territorio di Jammu e Kashmir (Jammu è quella invernale), dopo che si è diffusa la notizia che il governo indiano aveva permesso a un gruppo di 27 parlamentari europei provenienti da 9 paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna) appartenenti per lo più a partiti di destra e di ultra-destra - per l'Italia hanno partecipato Gianna Gancia (Lega), Giuseppe Ferrandino (PD), Fulvio Martusciello (Forza Italia), Silvia Sardone (Lega) - di visitare la città.

Nella organizzazione e programmazione della visita, voluta da Modi per cercare di mostrare all'Europa il ritorno alla normalità nella regione - in una città che ha accolto i parlamentari con strade deserte e mercati chiusi - non sono stati coinvolti né il Parlamento europeo né i vertici dell'Unione europea, sollevando alcuni dubbi diplomatici. Diverse ambasciate europee a Nuova Delhi non sono state informate di quanto sarebbe accaduto fino al giorno precedente.

«La delegazione degli eurodeputati non è in visita ufficiale in India ed è venuta qui su invito di un gruppo non governativo», ha dichiarato ad Al Jazeera un funzionario dell'UE che ha preferito mantenere l'anonimato.

«La visita a Jammu e Kashmir dovrebbe offrire alla delegazione una migliore comprensione della diversità culturale e religiosa della regione di Jammu, Kashmir e Ladakh», ha detto il premier Modi.

Lo scorso 30 agosto, l'Alto Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini aveva sollevato la questione delle "restrizioni alle libertà fondamentali" in Kashmir in occasione di un incontro a Bruxelles con il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar.

Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha espresso la propria preoccupazione sulla situazione del Kashmir prima di un incontro bilaterale avvenuto lo scorso 1 novembre con il primo ministro Modi,  dichiarando all'emittente televisiva indiana NDTV che l'attuale situazione della regione "non è sostenibile per la popolazione e deve migliorare", aggiungendo che ne avrebbe discusso col premier indiano per conoscere i piani per riportare la calma nella regione.

Per quanto il governo indiano insista sul fatto che il Kashmir stia tornando alla normalità, ai giornalisti stranieri continua a essere impedito l'ingresso nella regione.

In un'intervista rilasciata a Indian Express Satya Pal Malik, l'ultimo governatore dello Stato di Jammu e Kashmir, ha dichiarato che il territorio di "Jammu e Kashmir è un posto pacifico e migliore adesso che si trova sulla via del progresso".

Di parere diverso è Mohammad Shafi, uno dei membri più anziani del partito politico Jammu & Kashmir National Conference, i cui leader sono agli arresti domiciliari dal 5 agosto. «Anche se arriverà il giorno in cui il processo democratico sarà avviato in Kashmir, cosa potremo promettere alla popolazione?” chiede alla giornalista e scrittrice indiana Rana Ayyub che lo racconta in un articolo pubblicato dal Washington Post.

«Che Nuova Delhi deciderà per conto loro mentre rinchiudono gli abitanti del Kashmir come agnelli? Questo governo ha arrestato un'accademica di 80 anni che si era appena seduta in strada con un cartello», prosegue. Il riferimento di Shafi è all'arresto di 18 donne accademiche e attiviste, tra cui Hawa Bashir, moglie dell'ex presidente della Corte suprema, che hanno partecipato a una protesta silenziosa lo scorso 15 ottobre a Srinagar per la difesa delle libertà civili. Le donne, tra cui un'accademica di 82 anni con un pacemaker, sono state portate in prigione e rilasciate il giorno dopo a condizione che non avrebbero protestato né parlato dell'articolo 370 della costituzione indiana.

Sebbene all'inizio del mese di ottobre il governo indiano abbia ripristinato i servizi di telefonia mobile, Internet rimane sospeso.

Alcuni attivisti per i diritti umani di Srinagar hanno espresso preoccupazione per la rimozione di centinaia di migliaia di tweet, molti di giornalisti che criticavano la politica del governo indiano sul Kashmir.

Con la pubblicazione di un rapporto di Committee to Protect Journalists (CPJ), pubblicato lo scorso 24 ottobre, Twitter è stato accusato di reprimere la libertà di espressione in Kashmir avendo rimosso dal 2017 quasi un milione di tweet.

Secondo i dati raccolti nell'ultimo rapporto sulla trasparenza pubblicato da Twitter si legge che nella seconda metà del 2018 in India sono stati sospesi più account che nel resto del mondo.

Da quanto riportato da CPJ il governo indiano ha continuato ad inviare segnalazioni a Twitter per censurare account che condividono notizie e informazioni. Le richieste legali che sono inviate dalle autorità non sono pubbliche, ma Twitter ne inoltra alcune a Lumen, un progetto del Berkman Klein Center dell'Università di Harvard, che le pubblica in un database aperto.

Attraverso Lumen CPJ ha così recuperato alcune delle richieste inviate dalle autorità indiane a Twitter tra agosto 2017 e agosto 2019. La società di San Francisco ha dichiarato che continuerà ad inviare richieste a Lumen a meno che "non sia vietato farlo".

Escludendo le comunicazioni sul copyright, CPJ ha rintracciato 53 richieste, di cui 13 inviate dalla commissione elettorale in occasione delle elezioni generali indiane del 2019. Le restanti 40 - inclusa quella che cita l'account @KashmirNarrator (un magazine pubblicato a Jammu e Kashmir) - sono state inviate dal ministero della Tecnologia Elettronica e Informatica di cui nove ad agosto 2019, quando è iniziato il blackout delle comunicazioni in Kashmir, che hanno rappresentato il picco rispetto ai mesi precedenti.

«Ha perfettamente senso che il governo indiano colpisca gli utenti di Twitter e Twitter, perché Twitter come piattaforma è una fonte davvero importante di condivisione delle informazioni, per giornalisti, attivisti e cittadini del Kashmir», ha dichiarato a CPJ David Kaye, relatore speciale sulla promozione del diritto alla libertà di opinione ed espressione per l'Onu. Lo scorso 21 dicembre 2018 Kaye ha scritto una lettera (che non ha ricevuto risposta) a Jack Dorsey, CEO di Twitter, chiedendo trasparenza sulla decisione della società di sospendere "tweet e account quando partecipano a discussioni riguardanti il Kashmir". «Non abbiamo alcuna reale chiarezza su ciò che sta accadendo».

«Il dissenso viene criminalizzato e lo spazio viene soffocato. In questo modo, Twitter si schiera automaticamente dalla parte dell'oppressione e non dell'espressione. Questa è una violazione del diritto alla libertà di parola», ha detto ad Al Jazeera Khurram Parvez, un attivista per i diritti umani che vive in Kashmir.

Negli ultimi anni, con la diffusione di Internet nella regione del Kashmir, i social media, incluso Twitter, sono diventati il mezzo preferito per esprimere opinioni. Il governo della regione ha spesso ordinato il blocco di Internet sulla base del fatto che venisse utilizzato per incitare alle proteste.

L'ultima sospensione di Internet in Kashmir, che dura ormai da più di tre mesi, ha determinato il blocco dell'informazione.

Il rapporto di CPJ ha rivelato che i contenuti bloccati in India in base alla policy sui contenuti oscurati per paese, hanno riguardato principalmente il Kashmir.

“Tra le dozzine di account che sono stati sospesi, CPJ ne ha identificati diversi oltre a @KashmirNarrator che condividevano notizie e opinioni che sollevavano seri interrogativi su quali fossero le garanzie per tutelare la libertà di stampa e il libero flusso di informazioni", si legge nel rapporto.

Il blackout di Internet ha provocato, inoltre, ripercussioni sul commercio elettronico delle imprese che si trovano in enorme difficoltà.

Ad oggi la maggior parte delle aziende resta chiusa, per protestare contro il governo o per paura di rappresaglie da parte di militanti separatisti. Il trasporto pubblico è limitato. I mercati sono aperti solo poche ore la mattina.

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Lunedì 4 novembre militanti hanno lanciato una granata nell'affollato mercato di Hari Singh High Street, nel cuore di Srinagar, uccidendo una persona e ferendone almeno 45 persone di cui una versa in condizioni critiche. Sembra che la bomba dovesse colpire le forze di sicurezza indiane. Soltanto una settimana prima, il 28 ottobre, un altro ordigno era stato lanciato tra la folla in attesa a una fermata degli autobus, vicino all'Hotel Plaza nella città di Sopore, causando 20 feriti di cui sei in maniera grave.

Quotidianamente le aule delle scuole del Kashmir sono per lo più vuote perché i genitori hanno paura di mandare i propri figli. Un dipendente del governo ha raccontato a Rana Ayyub che le famiglie non li lasciano uscire. «Temiamo che ce li portino via», ha dichiarato. «Questa è l'apocalisse temuta dal Kashmir. Qui ormai siamo tutti morti».

Foto in anteprima Anadolu Agency

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