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Kamala Harris, l’anti-Trump

25 Luglio 2024 7 min lettura

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Kamala Harris, l’anti-Trump

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Dopo il ritiro del Presidente Joe Biden, che ha annunciato domenica che non correrà per la rielezione, i riflettori della politica americana sono puntati sulla vicepresidente Kamala Harris. Biden, infatti, ha dichiarato che la sosterrà come candidata alla presidenza al suo posto, e quasi tutto il Partito Democratico l’ha accettata, rendendo scontata la sua nomina ufficiale: questa probabilmente avverrà all’inizio del mese di agosto, almeno una settimana prima della Convention del Partito Democratico, che si terrà a Chicago. Proprio durante la Convention, che si svolgerà tra il 19 e il 22 agosto, verrà votata dai delegati del Partito la piattaforma programmatica con cui i democratici affronteranno il candidato per i Repubblicani, Donald Trump, alle elezioni. È presumibile che Harris non si discosterà particolarmente, nelle sue proposte, dai quattro anni passati, cercando di difendere i risultati ottenuti da Biden durante il suo mandato. È però utile un riassunto sulle posizioni che Harris ha adottato in questi anni sui temi principali, per farci un’idea di quali saranno gli obiettivi più importanti di una sua possibile amministrazione.

Di cosa parliamo in questo articolo:

Diritti 

“Ci fidiamo delle donne, e delle loro decisioni individuali per quanto concerne i loro corpi”, sono tra le ultime parole dette da Harris nel primo evento della sua campagna da candidata alla presidenza. Il diritto all’aborto, in pericolo negli Stati Uniti dopo che la Corte Suprema ha ribaltato nel 2022 la sentenza Roe v. Wade, che garantiva il diritto federale all’ottenimento di un’interruzione di gravidanza, è probabilmente il tema più importante della campagna per Kamala Harris. Per i democratici il tema della difesa dell’aborto è vincente: in ogni Stato in cui la protezione di questo diritto è andata a referendum, i favorevoli a mantenerla hanno ottenuto vittorie schiaccianti. Fino a che il candidato presidente era Biden, però, l’aborto non era il tema principale della campagna: il Presidente è a favore dell’interruzione di gravidanza, ma, da cattolico praticante, l’ha abbracciata come un diritto pieno da garantire e difendere solo negli ultimi anni della sua attività politica. Harris, invece, è da sempre impegnata su questo fronte. Da procuratrice generale della California ha cercato di stoppare il fenomeno degli attivisti antiabortisti che registravano video di nascosto all’interno delle cliniche gestite da Planned Parenthood, la più importante non profit che si occupa di diritti riproduttivi negli Stati Uniti. Durante la vicepresidenza ha anche visitato una delle cliniche dell’associazione; il suo impegno, benchè ancora non incasellato in una proposta politica definita sul diritto all’aborto, le è valso il sostegno di due importanti organizzazioni che si occupano del tema, Reproductive Freedom for All ed Emily’s List.

Per quanto riguarda i diritti LGBTQIA+, anche in questo caso Harris ha posizioni progressiste: nel 2023, in un’intervista al media Advocate, parlando delle amministrazioni repubblicane che eliminavano diritti, tra cui la possibilità per i minori di avere accesso alle cure di affermazione del genere, aveva affermato che fossero bulli, persone potenti che vogliono colpire gli innocenti. Sempre lo stesso anno, in una visita in Ghana, paese che ha da poco approvato una legge omofoba, che persegue non soltanto gli omosessuali ma anche chi si dichiara apertamente favorevole all’omosessualità, ha definito, davanti al Presidente che quella legge l’ha voluta, i diritti LGBTQIA+ “diritti umani”.

Più controversa è invece la sua storia legata al sistema giudiziario, di cui ha fatto parte per gran parte della sua carriera, prima come procuratrice distrettuale a San Francisco, e poi come procuratrice generale in California. Quando nel 2020 si candidò alle primarie del Partito Democratico con una piattaforma a sinistra rispetto a Biden, che quelle primarie le vinse, venne criticata per le sue posizioni non abbastanza progressiste sul tema della giustizia: i suoi critici dicono che non ha mai cercato di ottenere riforme sostanziali del sistema carcerario, e che durante il suo mandato la California ha continuato a incarcerare giovani persone di colore povere. Chi sostiene il suo operato dice invece che ha voluto programmi statali utili al reinserimento dei criminali nella società. Se Biden non ha toccato molto il sistema giudiziario durante il suo mandato, Harris potrebbe farlo per via del fatto che è proprio la sua area di competenza, anche se non è chiaro al momento che tipo di interventi potrebbe prendere..

Politica estera

L’amministrazione Harris si muoverebbe in continuità con la precedente sulla maggior parte dei fronti. Il principale consigliere in politica estera della vicepresidente è Philip Gordon, internazionalista, esperto di Europa, che ha servito nelle amministrazioni Clinton e Obama: le posizioni, già proprie di Biden, di sostegno alla NATO e allo sforzo bellico ucraino non dovrebbero cambiare.

Anche le posizioni riguardanti la Cina rimarrebbero le medesime: cercherebbe di contrastarne la sempre più grande influenza in Asia e di ridurre il modo in cui le economie occidentali dipendono da Pechino. Con ogni probabilità verrà mantenuto il supporto non ufficiale al mantenimento dello status quo sull’isola di Taiwan, che la Cina reclama per sé. In più, già da senatrice, aveva affrontato il tema dei diritti umani, e aveva lavorato anche in tandem con colleghi Repubblicani per scrivere mozioni di censura per i comportamenti cinesi a Hong Kong, le cui libertà sono state lentamente eliminate, e nella regione dello Xinjiang, in cui vari Stati hanno accusato la Cina di commettere un genocidio ai danni della minoranza musulmana degli Uiguri. Accusa contenuta anche in un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel settembre 2022.

Proprio per via dell’interesse nel rispetto dei diritti umani, il maggiore cambiamento politico tra le due amministrazioni potrebbe essere il modo di guardare al conflitto tra Israele e Hamas: Harris ha più volte detto che ritiene necessaria una soluzione a due Stati, che permetterebbe il riconoscimento della Palestina, e fin da marzo parla apertamente della necessità di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza; una posizione più critica di quella di Biden, che si è sempre definito sionista, verso le politiche dell’amministrazione di Tel Aviv. Da presidente del Senato, carica che spetta a ogni vicepresidente, ha rifiutato di presentarsi al Campidoglio quando il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto un discorso alle camere riunite, voluto fortemente dai Repubblicani. Tuttavia nel suo primo comizio, tenuto in Wisconsin, Harris non ha mai nominato questioni di politica estera, per cui molto dipenderà anche dall’andamento dei prossimi mesi.

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Economia

Harris deve difendere i risultati dell’amministrazione Biden, spesso contestati per via dell’inflazione e una delle principali fonti d’attacco dei Repubblicani in campagna elettorale. Almeno nella prima fase di una sua possibile presidenza punterà sulla stabilità e sul mantenimento delle promesse già delineate nella campagna di Biden: l’aumento delle tasse per chi guadagna più di 400 mila dollari l’anno e l’aumento della corporate tax, la tassa sugli utili delle imprese, dal 21 al 28 per cento. La svolta più marcata personale nei piani economici potrebbe avvenire sui temi sociali. Come affermato in un lungo articolo del sito The 19th, la politica economica di Harris dovrebbe dare maggiore centralità al caregiving, con l’aumento di congedi pagati, sia per motivi familiari che medici, sanità per bambini alla portata di tutti, l’aumento del Child Tax Credit, l’assegno per i figli destinato a famiglie a basso reddito che già aveva cercato di ampliare da vicepresidente. Non è un caso che, date queste politiche, le prime due organizzazioni sindacali a dichiarare sostegno alla candidatura siano state l’American Federation of Teachers e il Service Employees International Union, che rappresenta gli infermieri. Harris dovrà però convincere gli americani della bontà di questo piano economico, cosa che Biden non è riuscito a fare: potrebbe giovarle il fatto di non essere stata uno dei volti dell’inflazione, dato che a lavorare all’agenda Biden sui temi economici erano Janet Yellen, Segretaria del Tesoro, e Gina Raimondo, Segretaria del Commercio.

Immigrazione

Se Harris non era il volto dell’inflazione, nell’immaginario americano lo è invece della crisi dei migranti. I Repubblicani la ritengono direttamente responsabile dell’aumento massiccio di immigrati al confine sud degli Stati Uniti, e le hanno affibbiato l’appellativo di “Border Czar”, o responsabile della frontiera. Harris non è mai stata la responsabile dei confini, incarico in capo al segretario per la Sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas, ma fin dall’inizio del mandato ha ricevuto il compito di analizzare le cause della migrazione verso gli Stati Uniti da tre paesi specifici dell’America centrale, El Salvador, Guatemala e Honduras. Harris voleva stimolare investimenti del settore privato in quei paesi, in modo che meno persone avrebbero intrapreso la strada pericolosa verso gli Stati Uniti. A conti fatti, oggi la maggior parte delle persone che arrivano ai confini meridionali degli Stati Uniti non proviene più da quei tre paesi, ma da Colombia, Venezuela e Nicaragua.

Harris sul tema si trova tra due fuochi: da un lato viene criticata da destra perché durante l’amministrazione Biden i migranti sono aumentati, mentre da sinistra non viene riconosciuta come abbastanza progressista sul tema. Fece molto discutere a sinistra una conferenza stampa in Guatemala in cui parlò direttamente ai migranti, dicendo loro di non venire negli Stati Uniti. Su questo tema non c’è molto che Harris possa fare per ridurre il fenomeno, se non politiche ancora più dure rispetto all’ultimo ordine esecutivo di Biden riguardo alla chiusura dei confini, che però non sembrano all’ordine del giorno. Non c’è da stupirsi se i Repubblicani durante i prossimi mesi di campagna elettorale decideranno di attaccarla proprio su questo punto.

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