L’arresto di Julian Assange e quella minaccia al giornalismo e alla libertà di informazione
13 min letturaDopo 2487 giorni nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato arrestato dagli ufficiali della Metropolitan Police della capitale britannica intorno alle 10.30 del mattino, ora locale, dell'11 aprile.
BREAK: Full @Ruptly video of WikiLeaks founder Julian Assange’s arrest by British police this morning pic.twitter.com/tdBw1Kbpxn
— Barnaby Nerberka (@barnabynerberka) April 11, 2019
Gli ufficiali di polizia stavano eseguendo un mandato spiccato dai magistrati della Corte di Westminster a cui se ne è aggiunto, due ore più tardi, un altro dovuto alla richiesta di estradizione di Assange negli Stati Uniti.
I casi che lo riguardano e che hanno portato all'arresto sono dunque due. Il primo, dicono le autorità, concerne la violazione compiuta da Assange della sua libertà cauzionale entrando nell'ambasciata, dove aveva trovato - sotto la precedente e ben più amichevole presidenza di Rafael Correa - asilo per fuggire a una richiesta di estradizione in Svezia. Lì avrebbe dovuto essere interrogato all'interno di un'inchiesta per un caso di molestie sessuali a lui attribuite da due donne. Assange aveva provato la strada del ricorso, perdendola - da cui il mandato spiccato, ed evaso, a giugno 2012. Il caso era stato archiviato dalle autorità svedesi nel maggio 2017, "dopo che la Svezia, per sette anni", nota Stefania Maurizi, "ha mantenuto l'indagine alla fase preliminare senza incriminarlo né scagionarlo una volta per tutte".
Il secondo riguarda una questione dalle conseguenze molto delicate per il giornalismo, la libertà di stampa e di espressione. Assange aveva sempre sostenuto che la richiesta di estradizione in Svezia ne celasse, in realtà, un'altra verso gli Stati Uniti, dove temeva di finire processato come "spia" secondo la durissima – e criticatissima – norma del 1917 chiamata "Espionage Act" per il materiale pubblicato da WikiLeaks tra il 2010 e il 2011.
Questo secondo motivo di arresto conferma che la richiesta di estradizione verso gli Stati Uniti, in effetti, c'era, ma non per spionaggio (avendo pubblicato materiale riservato dell'intelligence USA, avrebbe compromesso – secondo le autorità – la sicurezza nazionale) quanto per crimini informatici. Quelli coperti dalla altrettanto famigerata norma chiamata "Computer Fraud and Abuse Act" (FCAA da ora in poi), la cui vaghezza aveva già consentito la persecuzione giudiziaria – culminata poi tragicamente in suicidio – del geniale attivista per il libero accesso all'informazione, Aaron Swartz.
L'attuale presidente dell'Ecuador, Lenin Moreno, era del resto da tempo in rotta con Assange, e che qualcosa stesse per accadere era nell'aria: solo il giorno precedente l'arresto era stato accusato da WikiLeaks di spiarne il fondatore. Un rapporto ormai compromesso, quello tra Assange e Moreno, che ha comunicato di avere consentito l'ingresso della polizia britannica nell'ambasciata per prelevarlo e consegnarlo alla giustizia in un video comunicato su Twitter in cui tuttavia promette che Assange non sarà consegnato ad alcun paese in cui rischi torture o pena di morte.
In a sovereign decision Ecuador withdrew the asylum status to Julian Assange after his repeated violations to international conventions and daily-life protocols. #EcuadorSoberano pic.twitter.com/pZsDsYNI0B
— Lenín Moreno (@Lenin) April 11, 2019
Assange è poi comparso di fronte alla Corte 1 di Westminster, leggendo un libro di Gore Vidal (History of the National Security State) e rispondendo con due pollici in su di scherno alla richiesta del giudice di accorciare i tempi della giustizia acconsentendo all'estradizione.
Judge tells Assange he can agree to extradition to “speed things up and get on with his life”. Assange laughs and gives two mocking thumbs up. (Of course, he won’t be). @SBSNews
— Ben Lewis (@benlewismedia) April 11, 2019
Agli antipodi le reazioni di Theresa May e di WikiLeaks, con la premier britannica fiera di "dimostrare che negli UK nessuno è al di sopra della legge", e l'organizzazione a ribattere che il governo dell'Ecuador avrebbe "violato le leggi internazionali" interrompendo l'asilo.
Le brutte notizie per Assange arrivano dunque da due fronti. Da quello svedese, la legale di una delle due donne che lo ha accusato di molestie ha fatto sapere che farà "tutto il possibile" per far riprendere le indagini preliminari, mentre le autorità del paese hanno emanato un comunicato in cui si dice che possono essere riprese se non soggette a prescrizione - che per un'accusa di stupro comincia a "metà agosto 2020".
Cosa dice l'atto di accusa del DOJ
Dal fronte statunitense, invece, pesano le accuse formulate dal Dipartimento della Giustizia (DOJ), che fanno seguito - è bene non dimenticarlo - sia alla rivelazione, per errore, di un procedimento giudiziario condotto in segreto dal Grand Jury di Alexandria, Virginia, contro Assange, sia a un secondo arresto (dopo quello per essere stata fonte di WikiLeaks) a Chelsea Manning, l'ex analista dell'esercito USA che si era tradita in una oramai tristemente celebre chat-confessione con l'hacker-informatore scomparso lo scorso anno, Adrian Lamo. E che è tornata dietro le sbarre, compreso un ulteriore, lungo periodo di isolamento, per avere rifiutato di testimoniare proprio a quel procedimento.
Assange era finito ripetutamente nelle polemiche riguardanti il Russiagate, e dunque l'inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller di cui sappiamo ancora poco o nulla (se non che non ci sono incriminazioni per Assange), ma la messa in stato di accusa che ha portato all'arresto delle scorse ore non ha niente a che vedere, concentrandosi invece proprio sulle rivelazioni sulla diplomazia e le operazioni militari USA che avevano portato WikiLeaks al centro della scena mondiale oramai quasi un decennio fa.
A quanto si legge, tra gennaio e maggio 2010 Manning avrebbe scaricato quattro database quasi completi da "dipartimenti e agenzie USA" contenti i 90 mila Afghan War Logs, i 400 mila Iraq War Logs, gli 800 assessment brief di detenuti a Guantanamo chiamati The Guantanamo Files, e i 250 mila cablo della diplomazia USA (lo scandalo passato alla storia come "Cablegate"). Materiale che documentava per la prima volta abusi ignorati dell'esercito USA e decine di migliaia di morti civili prima non rivelate al pubblico, tra cui l'uccisione di due giornalisti della Reuters (come visibile nel video Collateral Murder).
Ma Manning, secondo l'indictment, voleva di più: voleva ottenere credenziali di accesso di livello superiore, per poter accedere alla rete protetta contenente materiale riservato con altro nome (e dunque mascherare le tracce, destare meno sospetti) e prelevare ulteriori documenti protetti da segreto di Stato.
Ed è qui che entra in gioco Assange, che avrebbe – tra il 2 e il 10 marzo – agito “consciamente e intenzionalmente” per aiutare Manning ad avere quell'accesso non autorizzato alla rete. Si noti che il materiale poi pubblicato dalle principali testate di tutto il mondo – New York Times, Der Spiegel, Guardian, Le Monde, El Pais – era già stato prelevato: l'accusa ad Assange è di avere cercato di violare la password necessaria a ottenere quelle credenziali di accesso di più alto livello.
Here's key allegation against Julian Assange: that he "agreed to assist Manning in cracking a password stored on United States Department of Defense computers." This relates to supposed evidence that was presented during Chelsea Manning's Article 32 hearing in December 2011. pic.twitter.com/JatFHzlWHI
— Kevin Gosztola (@kgosztola) April 11, 2019
Here's Julian Assange's fateful offer to crack a password for Chelsea Manning.
Context: Manning, worried her SIPRnet downloads were being noticed, thought about using someone else's desktop for a while to cover tracks. pic.twitter.com/71oeKAfSKs
— Kevin Poulsen (@kpoulsen) April 11, 2019
Dice testualmente l'atto d'accusa:
"Lo scopo principale della cospirazione era aiutare Manning ad acquisire e trasmettere informazioni riservate che interessano la sicurezza nazionale degli USA così che WikiLeaks potesse diffonderle pubblicamente attraverso il proprio sito".
Manning gliene aveva fornito una parte della chiave di sicurezza, hashed, e Assange aveva il compito di completarla. Operazione non riuscita, a quanto si legge: il 10 marzo Assange scrive a Manning che “fino a quel momento non ho avuto fortuna”, e chiede dunque più informazioni per riuscirci.
Anzi, secondo il reporter del Daily Beast, Kevin Poulsen, Assange "per quanto ne sappiamo non ci ha nemmeno provato".
Assange never cracked the password. As far as we know he didn't actually try.
— Kevin Poulsen (@kpoulsen) April 11, 2019
L'indictment dettaglia poi anche come questo sodalizio cospiratorio si sarebbe esplicato:
— Entrambi avrebbero usato la chat cifrata Jabber, e una “cartella speciale” su DropBox
— Manning avrebbe preso precauzioni per non rivelare la sua identità di fonte di quei documenti
— Assange avrebbe “incoraggiato” Manning a fornire quel materiale a WikiLeaks.
Ma, ribatte il giornalista premio Pulitzer Glenn Greenwald, non sono attività tipiche del giornalismo d'inchiesta, nella nostra era?
The DOJ says part of what Assange did to justify his prosecution - beyond allegedly helping Manning get the documents - is he encouraged Manning to get more docs for him to publish. Journalists do this with sources constantly: it's the criminalization of journalism pic.twitter.com/GXNjWlkFZw
— Glenn Greenwald (@ggreenwald) April 11, 2019
Alcuni, naturalmente, la pensano in un altro modo:
In my 15 years as a professional reporter I can count on ZERO hands the number of times I’ve asked someone to commit a crime in the name of journalism.https://t.co/2FLIWEpLe5
— Cyrus Farivar (@cfarivar) April 11, 2019
Assange rischia ora un massimo di cinque anni di carcere, in caso di estradizione negli USA.
Ma le accuse reggono?
Diversi giuristi e attivisti per la libertà di informazione hanno espresso scetticismo circa la fondatezza delle accuse rivolte ad Assange.
Per la fonte del Datagate, Edward Snowden, per esempio l'atto di accusa del DOJ è di una "debolezza scioccante", che insiste su un capo di imputazione “noto da quasi un decennio” (vero, dal 2011) e che l'amministrazione Obama non aveva osato formulare per timore di alterare il delicato equilibrio tra sicurezza nazionale e libertà di informazione.
The weakness of the US charge against Assange is shocking. The allegation he tried (and failed?) to help crack a password during their world-famous reporting has been public for nearly a decade: it is the count Obama's DOJ refused to charge, saying it endangered journalism. https://t.co/xdTQ8xauB0
— Edward Snowden (@Snowden) April 11, 2019
Le analisi nei thread Twitter del giurista specializzato in Primo Emendamento, Ken White, e del giornalista di The Nation, Aaron Maté, vanno nella stessa direzione, e chiariscono bene la debolezza dell'impianto accusatorio.
So after years of trying to find a way to get Assange, this is what Trump's DOJ goes with: an alleged -- & apparently unsuccessful -- attempt to crack a password *after* "Manning had already provided Wikileaks with hundreds of thousands of classified records." pic.twitter.com/FifCMKxX1T
— Aaron Maté (@aaronjmate) April 11, 2019
A confermare poi il mutato atteggiamento dell'amministrazione Trump è uno dei giornalisti che più di ogni altro ha seguito la materia nell'ultimo decennio, Kevin Gosztola, sottolineando un aspetto cruciale – il più delicato – sollevato dall'arresto di Assange: siamo sicuri che non avere percorso la strada dell'incriminazione per l'attività di pubblicazione del materiale riservato del governo USA (quella dell'Espionage Act), ma quella (meno impervia) dell'incriminazione per hacking (attraverso il CFAA) metta il mondo del giornalismo al riparo da conseguenze nefaste?
Obama DOJ had supposed evidence related to Assange assisting Manning in "cracking a password" back in 2013, when they backed away from prosecuting him.
Why wasn't it enough to prosecute then? Because even limited to alleged computer crime, it still implicated press freedom.
— Kevin Gosztola (@kgosztola) April 11, 2019
C'è chi come il docente della Parsons New School di New York, David Carroll, si dice convinto che sì, il pericoloso precedente è stato evitato:
Assange extradition is for computer crimes. Assuming the charge is under CFAA that would mean no chilling effect on freedom of press. A charge under Espionage Act would have that concern. https://t.co/3fQ8MluXht
— David Carroll 🦅 (@profcarroll) April 11, 2019
Joseph Cox, di Motherboard, che è stato tra i primi a separare le accuse in termini di hacking da quelle in termini di giornalismo, si è spinto fino a chiedersi retoricamente se i comunicati prodotti in fretta e furia prima dell'indictment vagheggiando danni all'intero sistema giornalistico sarebbero stati ritirati e riscritti o meno:
are all the press freedom groups going to offer password hash cracking courses now, or will they chill out a little bit and take their statements back
— Joseph Cox (@josephfcox) April 11, 2019
Come riconosce lo stesso Cox, tuttavia, le cose sono più complesse di così.
Il pericolo per il giornalismo e la libertà di informazione
Prima di tutto, il filo argomentativo potrebbe essere il seguente: se il DOJ non ha deciso di procedere secondo la via dell'accusa di spionaggio - più volte vagheggiata contro Assange negli anni, anche con minacce e insulti - è forse perché si è reso conto fosse una strada impraticabile in una democrazia, perfino in una sgangherata come quella trumpiana. Archiviata la possibilità di punire la pubblicazione del materiale prelevato da Manning (che avrebbe aperto a quella, altrettanto inquietante, di punire le testate "tradizionali" che hanno fatto lo stesso), percorrere la via alternativa dei crimini per hacking potrebbe essere semplicemente un pretesto per riuscire comunque a punire Assange in qualche modo per aver messo la diplomazia e l'intelligence USA a nudo di fronte agli occhi del mondo.
È quanto sostiene Peter Sterne, per esempio,
So the CFAA charge is clearly a pretext, a way of punishing Assange for publishing classified documents without actually charging him for it.
But the fact that DOJ went out of its way to avoid charging him for publishing means this doesn't set a dangerous precedent.
— Peter Sterne (@petersterne) April 11, 2019
concludendo tuttavia che ciò quantomeno mette al riparo da pericoli il resto della stampa.
Niente affatto, ribatte idealmente lo Special Rapporteur ONU per la Libertà di espressione, David Kaye: da tutto questo, scrive in un thread su Twitter, non potranno che venire danni al giornalismo, al whistleblowing, alla protezione delle fonti. Di certo più di qualcuno, specie in ambienti liberal, chiede vendetta contro Assange per il modo in cui ha favorito Donald Trump e combattuto Hillary Clinton. Ma, dice Kaye, sarebbe sbagliato perdere il razionale distacco che serve per apprezzare come una persecuzione giudiziaria di Assange non possa che avvenire a danno di tutti – a partire dal ruolo di "cane da guardia" del potere del giornalismo.
many Americans and others may look at arrest of #JulianAssange as a kind of accountability for him & @wikileaks. in context of potential extradition to US, i urge ppl to put aside feelings and consider at least two questions https://t.co/Pbp28mnFl1
— David Kaye (@davidakaye) April 11, 2019
first, do you think the U.S. Government - this one or any other - can address allegations against him without doing damage to basic free press guarantees? can they cabin a prosecution to protect the press? i strongly doubt it; i only see downsides.
— David Kaye (@davidakaye) April 11, 2019
second, many/most of WL’s most ‘troubling’ and seemingly partisan releases were avidly picked up by the traditional american press, so-called legacy media. should they be penalized, too? (and how are they reporting this, btw?)
— David Kaye (@davidakaye) April 11, 2019
okay, a third related question: think abt all the incredible reporting of recent years worldwide that relied on whistleblowers, leaks, source protection, etc. how would prosecuting Assange impact that? almost certainly negatively, whether as model or actual threat.
— David Kaye (@davidakaye) April 11, 2019
a prosecution might feel good for a lot of people, a proxy, too, for other very serious concerns. it might even be strictly legal under US law. but it would almost certainly end badly for the press and ultimately for its democratic ‘watchdog’ role we expect it to play. /fin
— David Kaye (@davidakaye) April 11, 2019
Micah Lee, giornalista di The Intercept molto critico con WikiLeaks (e ampiamente ricambiato) dice che il pericoloso precedente che il DOJ pensava di evitare si è realizzato lo stesso:
The indictment against Assange sets a dangerous precedent. If this sticks, what stops them from charging other journalists with "conspiracy" for deleting metadata and chat logs to protect sources, encouraging sources to leak documents, or using whistleblower submission systems? pic.twitter.com/6PM3gCUYTb
— Micah Lee (@micahflee) April 11, 2019
Jake Laperruque, per esempio, si chiede: dunque usare strumenti cifrati per comunicare con una fonte costituirà reato informatico?
For journalists quick to shrug off Assange indictment because it's a computer crime, read the indictment. There are elements of the charge that sound a lot like using Signal with auto-delete for source protection pic.twitter.com/1nFu8PZ0ka
— 🤔Jake Laperruque😒 (@JakeLaperruque) April 11, 2019
E varrà lo stesso per ogni giornalista che riceva materiale illecito (ma di interesse pubblico) tramite sistemi come SecureDrop?
This part of the description of the conspiracy charge sure sound a lot like any journalist receiving unlawfully disseminated information via Secure Drop pic.twitter.com/tUSirzvrfZ
— 🤔Jake Laperruque😒 (@JakeLaperruque) April 11, 2019
Riassume la Freedom of the Press Foundation: "l'accusa minaccia molte prassi comuni nel rapporto tra giornalista e fonte".
Here's our statement at @FreedomofPress about serious press freedom dangers in the charge against Assange.
The indictment threatens many common journalist-source practices: protecting source anonymity, using an encrypted messenger, requesting docs. https://t.co/gLac47wyTY pic.twitter.com/e38nlNlTV1
— Trevor Timm (@trevortimm) April 11, 2019
Non a caso tutte le principali organizzazioni internazionali a difesa della libertà di stampa si sono espresse mostrando gravi preoccupazioni circa l'arresto di Assange.
Question for the reporters who don't see any problem with the Trump admin's indictment of Assange: Do you think the legal experts at virtually every major press freedom and civil liberties org are wrong? They are now all on the record with extreme concern: https://t.co/sYZMh2QwmR
— Trevor Timm (@trevortimm) April 11, 2019
Lo sostengono anche testate che l'hanno criticato aspramente negli ultimi anni: che piaccia o meno, Assange va difeso proprio per le conseguenze che l'arresto rischia di avere sul giornalismo.
Throwing Assange to the wolves is the wrong move for traditional journalists. ... My column. https://t.co/RRWpdpmywa
— Margaret Sullivan (@Sulliview) April 11, 2019
Julian Assange is a problematic asshole. We still need to stand up for him in this case. https://t.co/G3haURXPFZ
— James Ball (@jamesrbuk) April 11, 2019
Anche Andrew Stroehlein, european media director di Human Rights Watch, ricorda qual è l'origine di questo caso: Wikileaks ha pubblicato le prove di gravi crimini da parte dell'esercito statunitense in Iraq e Afghanistan. Questo è il motivo per cui vengono perseguiti ed è il motivo per cui questa vicenda ha forti implicazioni per il giornalismo.
Whatever one thinks of Assange & Wikileaks today, it's important to remember what this case was originally about: they published evidence of grave crimes by the US military in Iraq (& Afghanistan). This is why they are being pursued & why this case has implications for journalism pic.twitter.com/O4tLdbNRMk
— Andrew Stroehlein (@astroehlein) 12 aprile 2019
Perché dire no all'estradizione di Assange negli USA
Per tutti questi motivi, secondo Valigia Blu gli UK non dovrebbero concedere l’estradizione di Assange negli Stati Uniti (l’udienza è prevista il 2 maggio).
Come scrive Reporters Without Borders:
"Prendere di mira Assange dopo quasi nove anni per il fatto che WikiLeaks abbia fornito informazioni (come i cablo della diplomazia USA) a giornalisti nell'interesse pubblico sarebbe una misura puramente punitiva, e stabilirebbe un pericoloso precedente per giornalisti, whistleblower, e altre fonte giornalistiche che gli Stati Uniti potrebbero voler perseguire in futuro. La Gran Bretagna deve mantenere una posizione di sani principi rispetto a qualunque richiesta di estradare Assange negli USA, e garantirne la protezione secondo le leggi britanniche ed europee rilevanti per il suo contributo al giornalismo".
Perché comunque la si pensi sull'uomo, il suo lavoro e le sue idee politiche, sarebbe un danno per il giornalismo:
The U.S. government indictment of Julian Assange is an aggressive and potentially chilling legal document for journalists in the U.S. and abroad.
That is a significant issue regardless of one's view of Assange as a person, or his work, or his politics.
— Ari Melber (@AriMelber) April 11, 2019
Meglio discutere di come riformare la norma che ne consente l'incriminazione - un obiettivo che gli attivisti mancano da troppi anni.
Remember Aaron Swartz, for example?https://t.co/oY7bHXIPx1 https://t.co/VBDywQAgU4
— Fabio Chiusi (@fabiochiusi) April 11, 2019
O, magari, ricordare a Trump che - almeno su WikiLeaks - sarebbe il caso di smetterla di mentire:
Trump: “I know nothing about @wikileaks. It’s not my thing.”
Wanna try again @realDonaldTrump? #FreeAssange
— Cassandra Fairbanks (@CassandraRules) April 11, 2019
Foto in anteprima via abcnews