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La scrittrice JK Rowling ha contribuito a normalizzare la transfobia

20 Dicembre 2020 20 min lettura

La scrittrice JK Rowling ha contribuito a normalizzare la transfobia

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Negli ultimi anni le posizioni della scrittrice J.K. Rowling verso le persone trans sono finite a più riprese sotto i riflettori. Alla fine di agosto, per esempio, la scrittrice ha restituito il premio Ripple of Hope assegnato dalla Robert F. Kennedy Human Rights, dopo che la sua presidente, Kerry Kennedy, aveva criticato sia direttamente, in privato, sia pubblicamente Rowling: «Nel mese di giugno – il mese del Pride – e con mio grande sgomento, J.K. Rowling ha pubblicato tweet e dichiarazioni profondamente transfobiche». A settembre, invece, l’uscita del nuovo libro, Troubled blood, firmato con lo pseudonimo di Robert Galbraith, ha fatto discutere perché tra i suoi personaggi c’è un uomo che si traveste da donna per meglio avvicinare le sue vittime.

Gli echi di questa copertura mediatica di solito focalizzano sulla scrittrice, sulla libertà di espressione e sul pericolo dell'ideologia "(trans)gender" un dibattito politico che riguarda piuttosto i diritti delle persone trans. Mancano il contesto di partenza e di sfondo: la riforma nel Regno Unito del Gender Recognition Act e le posizioni di alcune correnti del femminismo britannico, tra cui spiccano il femminismo radicale e il pensiero gender critical. È opportuno quindi inquadrare prima di tutto il contesto, che prende vita in particolare tra la fine del 2017 e del 2018.

Nel luglio 2018 il governo britannico, allora presieduto dalla conservatrice Theresa May, lancia una consultazione per il Gender Recognition Act. La consultazione nasce dalla necessità di riformare la legge, che permette di ottenere il Certificato di Riconoscimento di Genere (Gender Recognition Certificate). L'iter per ottenere il certificato è ritenuto troppo lungo, difficile e spesso patologizzante. Questa scelta segue quella di diversi paesi europei, tra cui la vicina Irlanda, che dal 2015 permette alle persone di cambiare il proprio genere attraverso l'autodichiarazione.

Già nell’ottobre 2017 i primi annunci sulla consultazione britannica avevano innescato una reazione molto forte da parte dell’area gender critical dei movimenti femministi, facendo emergere posizioni trans escludenti o apertamente transfobiche, così come profonde spaccature politiche, specie nell’attivismo LGBTQ+ o nella sinistra. Nel 2018, ad esempio, il Pride di Londra viene interrotto da un gruppo di attiviste che si stendono a terra davanti alla marcia con cartelli e volantini che descrivono il movimento trans come anti-lesbiche. Un caso simile accade a Manchester nel 2019, tanto che a settembre dello stesso anno nasce la prima manifestazione del Pride a Londra che è dedicata alle persone trans.

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È in questo clima che le posizioni di Rowling sui diritti delle persone trans balzano sotto gli occhi dell’opinione pubblica. Ciò sia perché il clima del periodo è più ricettivo e incandescente a riguardo, già predisposto ad applicare il riduzionismo femministe radicali vs attivismo trans, sia per la popolarità di cui gode la scrittrice. Nell’aprile del 2018 Newsweek riporta così le polemiche per il like di Rowling a un tweet che usa l’espressione transfobica «uomini in gonnella». Un portavoce di Rowling, contattato dalla testata, spiega che l’autrice ha cliccato per errore sul tweet.

Nel giugno 2019, in un thread su Twitter, @persenche, esplicita i sospetti che già serpeggiavano nelle comunità trans online, analizzando gli account seguiti da J.K. Rowling. Dall'elenco, tra cui spiccano aperti transfobici e femministe gender critical, @persenche dà conto anche del numero di attivisti trans o relative organizzazioni seguite da Rowling: zero. Per rendere l’idea, quando diciamo account transfobici intendiamo persone come Magdalen Berns, femminista e YouTuber che ha paragonato le donne trans a «dei cazzo di attori che ricorrono alla blackface». Un portavoce dell’autrice, alla domanda del sito PinkNews sul perché seguisse account simili, ha così risposto: «J.K. Rowling non intende commentare. Tuttavia sappiamo che su Twitter segue un’ampia varietà di persone che trova interessanti o provocatorie.»

Più rivelatorie sono le polemiche che seguono tweet stessi dell’autrice. Un primo caso si ha nel dicembre del 2019:


«Vesti come preferisci. Chiamati come vuoi» è già una prospettiva che invalida le persone transgender, perché relega le loro esperienze e le loro identità a un capriccio della mente, o a un eccesso di immedesimazione - il genere è un vestito indossato sopra la pelle. Il sottinteso è: chiamati come vuoi, ma non pretendere che quella sia la realtà. Mentre l’ultima parte del tweet e i relativi hashtag danno il contesto: la causa che ha visto coinvolta Maya Forstater. Un nome che si sente spesso nel genere di articoli dedicato “all’ideologia transgender” e alla sua Inquisizione, che minaccerebbe la libertà di espressione e vorrebbe cancellare il sesso biologico.

Forstater è una ricercatrice britannica che, proprio sulla consultazione per la riforma del GRA, ha espresso su Twitter posizioni giudicate transfobiche (ad esempio rilanciando paragoni tra i pronomi di genere e il Rohypnol, qui da intendersi come droga da stupro), talvolta dirette contro persone specifiche, e perciò valutate come incompatibili con l’ambiente di lavoro. Nel ricorrere contro il mancato rinnovo del contratto, Forstater si è appellata al principio della libertà di pensiero filosofico e religioso, valutando discriminatorio il mancato rinnovo del contratto.

Il giudice, con l’accordo di entrambe le parti, ha poi valutato queste convinzioni filosofiche espresse da Forstater, il cui nucleo centrale è l'idea che il genere sia determinato dal sesso biologico - ciò che di solito viene promulgato dall'area gender critical. Il giudice non ha affatto stabilito che «il sesso non è reale». Piuttosto, che il professare o l’avere un credo, filosofico o di altra natura, non protegge quando ci si rende responsabili di linguaggi o comportamenti nocivi, né è quel credo la causa delle azioni intraprese contro chi attua questi comportamenti. «Avere caratteristiche protette, tra cui convinzioni filosofiche, non dispensa le persone dalla premura a non molestare il prossimo». Inoltre stabilisce che le convinzioni di Forstater (tra cui quella che ci siano solo due sessi, e nessuna possibilità all’infuori di ciò):

Nella loro natura assolutistica, sono incompatibili con la dignità umana e diritti fondamentali degli altri. [La ricorrente] si spinge così in là da negare a una persona con un Gender Recognition Certificate di essere del sesso di acquisizione. Non accetto la disputa secondo cui il Gender Recognition Act produrrebbe una finzione legale. Riconosce un diritto, basato sulla valutazione di varie convenzioni tra loro collegate, alle persone che vogliono effettuare una transizione, sotto certe circostanze, e riconosce loro di essere trattate sotto ogni aspetto come esseri del sesso acquisito.

Forstater, conclude il giudice, può tranquillamente esprimere la sua contrarietà alla riforma del GRA «senza insistere nel chiamare le donne trans uomini». Detta in altri termini: credi a ciò che vuoi, ma non rendere la vita impossibile al tuo prossimo.

Insomma, Rowling ha in pratica fatto ricadere sotto l’ombrello della libertà di espressione qualcosa di ben diverso, usando il panico come grimaldello (vogliono cancellare il sesso!). Ha anteposto la salvaguardia di un linguaggio degradante od offensivo verso le persone transgender agli aspetti specifici della sentenza. All’evitare che i luoghi di lavoro possano diventare ambienti tossici per le persone trans e di genere non conforme, o all’idea che si possa criticare una riforma senza scadere nella transfobia. Nulla ha impedito a J.K. Rowling, allora e oggi, di contrastare nel merito quella sentenza. Ha invece preferito una soluzione più rapida ed economica: disinformare.

Veniamo poi al giugno di quest’anno, dove si concentrano i tweet più discussi e, soprattutto, il già citato post pubblicato sul sito dell’autrice. Il primo stigmatizza l’espressione «persone che mestruano», usata come ombrello per includere uomini trans e persone non-binarie.

Il secondo è un thread dove Rowling ricorre al già visto argomento sul sesso biologico:

Se il sesso non è reale, non esiste l’attrazione tra persone dello stesso sesso. Se il sesso non è reale, l’esperienza reale delle donne nel mondo è cancellata. Conosco e amo persone trans, ma cancellare il concetto di sesso rimuove l’abilità di molti di discutere in modo significativo delle proprie vite. Non è odio dire la verità. L’idea che donne come me, che hanno avuto empatia per le persone trans per decenni, avvertendo un senso di vicinanza perché anche loro sono vulnerabili allo stesso modo delle donne - per esempio, alla violenza maschile - “odino” le persone trans solo perché penso che il sesso è reale e abbia delle conseguenze non ha alcun senso. Rispetto il diritto di ogni persona trans a vivere in qualunque modo che sentano autentico e confortevole. Marcerei  con voi se foste discriminate sulla base dell’essere trans. Allo stesso tempo, la mia vita è stata modellata dall’essere femmina. Non penso sia odio dire ciò.

Tutto il thread di Rowling si regge sull’equivoco secondo cui il sesso inteso come esperienza di rapporti, il sesso inteso come organi genitali e il sesso come sinonimo di genere (quello che abbiamo sui documenti, insomma), siano sinonimi, concetti ed esperienze tra loro sovrapponibili e inscindibilmente legate. Per cui se una persona parla del terzo in realtà sta parlando di tutti e tre. E quindi se per esempio dico che il sesso inteso come genere è una costruzione sociale, allora sto dicendo che i genitali sono una costruzione sociale, che l’orientamento e i rapporti sessuali lo sono. E se dico che non mi identifico nel sesso (come genere) “M” registrato sul mio certificato di nascita, allora sto dicendo che non esiste il mio pene, e non esistono i rapporti sessuali che posso aver avuto nella vita, o i rapporti sessuali in generale, e se si dimostra che una di queste affermazioni è falsa allora lo sono tutte. Qui non c’entrano né la scienza, né la sociologia né la giurisprudenza: solo l’ambiguità semantica e i sofismi.

L’empatia, inoltre, non è un atto di per sé politico, il riconoscimento di diritti sì. L’empatia, laddove ci sono delle precise istanze di trasformazione sociale, è solo un volto gentile che accompagna l'alzata di muri. L’empatia di cui parla Rowling è un palliativo offerto da una condizione di privilegio. C’è, anzi, persino un sottinteso conto che viene presentato, un vittimismo che non rispecchia i reali rapporti di forza, come a dire: io ho avuto empatia per te, sono stata buona e comprensiva, e tu mi ripaghi perseguitando le mie idee solo perché penso che il sesso sia reale?

Rowling riprende e sviluppa poi il thread sul suo sito, dove per l’appunto spiega le ragioni delle sue ultime uscite. Qui possiamo notare come parli delle polemiche suscitate mettendosi nel ruolo della perseguitata, dichiarando di aver subito ormai “quattro, cinque cancellazioni”, e ricorrendo al frame della cosiddetta “cancel culture”, tanto in voga di questi tempi. È bene ricordare che non solo le vendite dei libri dell’autrice non hanno risentito delle polemiche, ma che in paesi come gli Stati Uniti a osteggiarne la circolazione sono soprattutto i gruppi cattolici ultraconservatori. Senza contare che quando ha sentito il bisogno di farlo, l’autrice ha tranquillamente tutelato la propria libertà di espressione e l’amore per il dibattito aperto ricorrendo agli avvocati - o alla minaccia di ricorrervi.

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Molto di quello che Rowling scrive nel post di giugno non è altro che la ripresa di stereotipi di lunga data o peggio, qualcosa di già visto per chi si occupa di certi temi. La differenza è che stavolta sono confezionati da una penna assai capace, che li proietta sul mainstream internazionale come una testimonial di lusso (solo su Twitter Rowling ha oltre 14 milioni di follower, mentre il premier britannico Boris Johnson non arriva a 4).

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Prima ancora di vedere questi aspetti sono interessanti i motivi che Rowling dichiara essere alla base del post. Naturalmente non manca il tema della libertà di espressione (che la porterà il mese dopo a firmare anche la lettera di Harper’s). Ma al primo posto c’è l’interesse per le ricadute pratiche che l’attivismo trans ha sulle sue attività di beneficenza:

Ho un fondo di beneficenza che si focalizza nell’alleviare la privazione sociale in Scozia, con particolare enfasi per donne e bambini. Tra i vari aspetti, il fondo sovvenziona progetti per detenute e per donne sopravvissute ad abusi sessuali o violenza domestica. Sovvenziono anche la ricerca medica sulla Sclerosi multipla, una malattia che agisce in modo molto diverso su uomini e donne. È diventato chiaro ormai da tempo che il nuovo attivismo trans sta avendo (o è sul punto di avere, continuando di questo passo) un impatto significativo sulle cause che supporto, perché sta premendo per erodere la definizione legale di sesso sostituendola con il genere.

Rowling si dice inoltre preoccupata, da ex insegnante e fondatrice di un’associazione per bambini, sugli effetti che l’attivismo trans sta avendo su quella fascia di età. Infine, e qui dice che la questione è «davvero personale», si dice preoccupata per l’esplosione di ragazze che decidono di effettuare la transizione, così come l’alto numero di quelle che poi si pentono e ricorrono alla detransizione.

L’interesse dunque è legittimamente politico, e si inserisce appieno nel dibattito per la riforma del Gender Recognition Act. Ma a questo punto non si capisce perché Rowling, in questi anni, abbia preferito esprimersi in modo solo apparentemente estemporaneo su Twitter, invece di prendere una posizione esplicita fin dall’inizio. A posteriori è evidente che i vari like su Twitter o gli account transfobici seguiti non fossero frutto di sbadataggine, o dell'interesse per voci provocatorie. Qui si passa poi a un aspetto centrale del testo di Rowling: pur muovendo da un interesse politico, le informazioni che fornisce sono a più riprese false o fuorvianti.

Prima di tutto Rowling fornisce una realtà completamente distorta di cosa sia la procedura per la riassegnazione di genere in Regno Unito. Lascia intendere - in modo molto allusivo - che la procedura per il Gender Recognition Certificate sia completamente demedicalizzata e pressoché istantanea, con una punta di allarmismo finale:

L’attuale esplosione dell’attivismo trans sta facendo pressione per rimuovere quasi per intero il robusto sistema attraverso cui i candidati per la riassegnazione di genere prima dovevano passare. Un uomo che non intende ricorrere alla chirurgia o agli ormoni può ora assicurarsi un Gender Recognition Certificate ed essere una donna di fronte alla legge. Molte persone non sono consapevoli di ciò.

In realtà l’attuale legge (che è del 2004 ed è figlia dell'attivismo trans di quel periodo) in Gran Bretagna richiede di vivere nel genere di acquisizione per due anni. Richiede inoltre due diversi referti medici a conferma della propria disforia di genere. Uno di questi certificati deve essere rilasciato da una Gender Identity Clinic, una clinica del sistema sanitario nazionale (NHS) che ha liste di attesa medie di due anni per gli appuntamenti, un problema che spesso allunga ulteriormente i tempi, e alimenta il fenomeno dell’automedicazione. Una volta ottenuti i referti medici e dopo aver vissuto almeno due anni nel genere di acquisizione, alle persone trans è chiesto di rilasciare una dichiarazione ufficiale che attesti la loro intenzione di vivere nel genere acquisito “fino alla morte”. Al termine del processo, la pratica viene consegnata al Gender Recognition Panel, una commissione che ha il compito di decidere se la persona che ha richiesto il riconoscimento del genere acquisito sia effettivamente trans.

Sì, una persona potrebbe in teoria fare tutta la trafila senza passare per la chirurgia o gli ormoni. In concreto ciò può diventare un ostacolo, perché ci si scontra con un sistema di valori in cui terapie ormonali e chirurgia sono il modo più visibile di dimostrare agli occhi delle persone cisgenere e delle autorità l’idea di “essere nati con un genere diverso”. È proprio questo uno dei problemi da risolvere dietro l'ipotesi di riforma della legge: la feticizzazione e l'oggettificazione del corpo delle persone trans - che Rowling esprime appieno nei suoi messaggi.

Dovrebbe far riflettere la stessa cornice di allarmismo, prima ancora delle leggi citate (male), considerato poi che procedure semplificate esistono in altri paesi europei, come Irlanda, Portogallo e Norvegia: la Gran Bretagna non rischia insomma a di diventare una distopia transgender. Questo allarmismo è però utile a Rowling per rendere più convincente la parte del testo dove ricorre allo stereotipo della donna trans come predatore che invade gli spazi sicuri, tanto che la mezza bufala su come funziona la legge ricorre a sostegno della tesi. Questo permette a Rowling di rafforzare lo spauracchio:

Voglio che le donne trans vivano al sicuro. Allo stesso tempo, non voglio che le ragazze e le donne che sono tali alla nascita siano meno sicure. Quando apri le porte dei bagni e degli spogliatoi a ogni uomo che crede o sente di essere una donna - e, come ho detto, i certificati per il riconoscimento del genere ora lo permettono senza ricorso alla chirurgia e agli ormoni - allora apri la porta a qualunque uomo che desideri entrare. Questa è la verità.

Quello dei bagni e degli spazi sicuri è un argomento molto in voga non solo in Gran Bretagna. Ha infatti caratterizzato negli Stati Uniti le campagne che hanno portato a istituire i Bathroom bills, provvedimenti che regolano l’accesso a bagni pubblici o spogliatoi in base al “sesso biologico”. Oltre ad aver favorito la discriminazione delle persone trans (pensate solo agli spogliatoi delle scuole pubbliche), in stati come la North Carolina hanno visto una lunga battaglia perché venissero aboliti. Quindi Rowling attinge a una tradizione consolidata. Esistono persino studi accademici che si sono premuniti di dimostrare quanto questa tradizione sia assurda e infondata.

Leggendo il testo della scrittrice sembra quasi che in Inghilterra una donna trans (o un maschio cisgenere che voglia commettere reati sessuali) debba avere un Gender Recognition Certificate per entrare in un bagno femminile, e siccome è diventato facile ottenerlo allora il rischio per le donne cisgenere aumenti. Ciò non è vero. Alle donne trans è già permesso l’accesso a questi spazi grazie all’Equality Act del 2010, che tutela contro le discriminazioni - tra cui quelle di genere. Inoltre documenti o atti come passaporto, conto bancario e patente possono già essere cambiati attraverso un comune certificato medico. Il certificato di nascita influenza solo le pratiche di matrimonio, pensione e sepoltura - è il motivo per cui molte persone trans evitano di sottoporsi alla lunga e invadente trafila per cambiarlo. Senza contare che nessuno chiede il documento all’ingresso dei bagni, in Gran Bretagna.

Se per assurdo volessimo credere a questo argomento, se l’allarme che Rowling lancia fosse fondato, allora bisognerebbe chiedere l’abolizione dell’Equality Act, e un cambiamento in senso ancora più restrittivo del Gender Recognition Act. Ma c'è sempre un grande rimosso in questo tipo di argomentazione, cui nemmeno Rowling sfugge: gli uomini trans che bagni e spogliatoi dovrebbero usare? Quali sono gli spazi sicuri per loro?

C’è infine l’assenza totale di ragione pratica nell’argomento sugli spazi sicuri, come spiegato dal professor Aleardo Zanghellini dell’Università di Reading. Pensiamo a mestieri dove i maschi cisgenere sono a contatto con i bambini, come per esempio il maestro o l'allenatore. La consapevolezza che i comportamenti abusivi verso i minori sono perpetrati staticamente più da maschi cisgenere non si traduce in campagne per vietare loro di esercitare la professione di educatori o di allenatori sportivi. Ciò non avviene secondo Zanghellini, perché

La nostra ragione pratica riconosce la complessità. Siamo pronti a vedere che anche il più desiderabile stato di cose (rendere minimi gli abusi sui bambini) non ha implicazioni semplici, quasi meccaniche, per la politica o per i processi decisionali, e che non può giustificare l’indiscriminata soppressione di altri benefici (anche quelli meno importanti, come la vocazione professionale).

Questo tipo di complessità manca in Rowling, e con lei in tutta l’area gender critical, Piuttosto è adottato un approccio che Zanghellini definisce «consequenzialista». Si valuta sì il bene o il male che può derivare dall’ammettere donne trans in spazi esclusivi per donne, ma solo sulla base delle astratte e potenziali conseguenze che avrebbero per quest’ultime. E la possibile conseguenza, la convinzione che condividere questi spazi possa peggiorare la vita delle donne cisgenere, basta per non prendere in considerazione il danno effettivo subito dalle persone trans, o qualunque altro aspetto. Infine, per dirla come Rebecca Solnit «Gli uomini che vogliono fare male alle donne possono vestirsi da donna, ma possono anche fingere di essere idraulici o mettersi una divisa da soccorritori, e difatti ciò accade, ma ancora non abbiamo bandito idraulici od operatori del soccorso».

Quanto agli uomini trans, per Rowling esistono solo come donne cancellate, o a rischio cancellazione. Quando Rowling parla dell’incremento di transizioni nelle ragazze, scrive che «Il Regno Unito ha conosciuto un incremento del 4400% di ragazze che hanno chiesto un consulto per una transizione». Questa percentuale così elevata crea un immediato stupore - viene da pensare d'istinto «accipicchia, quattromilaquattrocento per cento», no? Ma senza contesto quello stupore dov’è diretto? Cosa ci dice esattamente? Di sicuro ci fa passare in secondo piano che chiedere un consulto non vuol dire effettuare una transizione. Può significare semplicemente che ci si è rivolti a una Gender Recognition Clinic (che, repetita iuvant è una struttura del sistema sanitario nazionale) per un consulto, e che la richiesta è censita a fini statistici. Il motivo di questo incremento in circa un decennio è semplicemente dovuto al miglior accesso a cure o servizi, e alla progressiva apertura e consapevolezza che si è avuta su questi temi.

Questo stupore ci dice poi un'altra cosa: il percorso di transizione attraverso ormoni e chirurgia, che l’autrice sembra opporre alla semplice identificazione con un genere diverso dalla nascita, è qualcosa che può andar bene solo se non eccede una certa quantità statistica. Un po’ come una malattia: siccome non si può debellare allora quanto meno deve restare sotto un livello di guardia. Prosegue infatti Rowling: «dieci anni fa la maggioranza delle persone che voleva effettuare la transizione al sesso opposto erano uomini. La ratio ora si è ribaltata».

Ma se vogliamo prendere in esame dei numeri o dei rapporti, bisogna farlo in modo che plasmino uno spazio commisurabile. Stonewall, la principale associazione per i diritti LGBTQ+ nel Regno Unito, spiega che è difficile censire con precisione la popolazione trans, perché non è un’informazione richiesta nel censimento e perché mancano ancora rilevazioni su campioni statisticamente rilevanti. Al massimo si hanno delle stime complessive. Detto ciò, nell’ultimo sondaggio effettuato dal Governo (2019), il 13% del campione si è dichiarato transgender. Di questo, il 6,9% ha dichiarato di essere non binario, il 3,5% di essere donna trans e il 2,9% di essere uomo trans. Secondo il Government Equalities Office la popolazione trans nel Regno Unito sarebbe tra le 200 e le 500 mila persone - su oltre 66 milioni di abitanti. Mentre il numero di quelle che hanno ottenuto un Gender Recognition Certificate è attorno alle 4900 (dato aggiornato al marzo 2018). Viene da pensare d'istinto «accipicchia, 4900 sono niente», o «accipicchia, tra le 200 e le 500 mila persone su 66 milioni è meno dell'1 per cento», no? Ma se anche i dati fossero quantitativamente rilevanti, perché di per sé rappresentererebbero un problema? Non stiamo mica parlando di soldati arruolati a forza dal nemico, dell'invasione degli ultracorpi.

Rowling cita infine la ricerca di Lisa Littman sulla rapid onset gender dysphoria, una teoria che è stata fortemente contestata dalla comunità scientifica, e che ipotizza una disforia di genere come meccanismo imitativo, e quindi frutto dell'esposizione ad altre persone trans. Rowling tratteggia Littman come la vittima di uno «tsunami di abusi e di campagne orchestrate per screditare lei e il suo lavoro». Una libera pensatrice perseguitata «come Maya Forstater». Ora, Maya Forstater, come abbiamo già visto, non ha avuto problemi per il suo lavoro di ricercatrice, piuttosto per la sua attività di twittatrice. Mentre Littman ha visto il suo studio contestato dalla comunità scientifica, da suoi colleghi, non da potenti e pericolose lobby di attivisti e attiviste trans. Ed è stato contestato a partire dalla metodologia. Condotto attraverso un sondaggio, lo studio, oltre ad avere un approccio - ancora una volta - patologizzante, ha usato come campione genitori che riportano quello che accade ai figli: non solo, ma sono stati scelti da siti di parte, frequentati da genitori che hanno idee contrarie rispetto a quei figli che iniziano a identificarsi come trans. Per rendere l'idea, immaginate una ricerca sulle cause dell'omosessualità negli adolescenti che usi come campione genitori di gruppi Pro-Vita. Forse Rowling avrebbe semplicemente dovuto scegliersi fonti scientifiche migliori.

Ad agosto, infine, nell’annunciare la restituzione del Ripple of Hope Award, Rowling propugna ancora un’idea centralmente patologizzante delle persone trans, che sono degne solo come malati che suscitano pietà: «Non provo altro che simpatia per chi è affetto da disforia di genere». E si intesta una nuova causa, prima solo vagamente accennata. Ora il nemico principale è l’alto numero di donne che effettuano la detransizione. Poco importa che per uno studio della Gender Identity Clinic di Charing Cross la percentuale di chi si pente della transizione sia attorno all’1%. Nel mondo in cui vive Rowling, la detransizione non è qualcosa che può dipendere da pressioni sociali, né esiste la possibilità che proprio per questo ci si possa pentire della transizione e tornare indietro. Nel mondo in cui vive Rowling è più importante agitare l’ennesimo spauracchio, stavolta sotto forma di uno «uno scandalo etico e medico» che si profila all’orizzonte. Il clima, c’è da scommetterci, è pronto perché le associazioni per i diritti delle persone trans diventino il prossimo bersaglio, così come quei medici o terapisti che non si allineano con la volontà di mantenere una visione patologizzante.

Insomma, l’attenzione catalizzata da J.K. Rowling a ogni uscita ha finito, ogni volta, per togliere un pezzo di contesto dal mosaico generale. Per togliere dalla scena quelle voci interessate a un percorso di riforma. E, nei casi più estremi, è sfociata apertamente nel trolling – come per il tweet dove la scrittrice in pratica fa pubblicità a uno shop online che vende magliette anti-trans. Il che, prima di tutto, comunica un senso di profonda tristezza, e poco importa, a questo punto, perdersi in infiniti, sfiancanti dibattiti dove la scena dei diritti umani cede il posto alla protagonista di ben altra storia. O cercare i cavillismi per spiegare che Rowling, alla fine, ce l’ha solo con il concetto di identità di genere, quando poi paragona tranquillamente le terapie ormonali ad antidepressivi o terapie di conversione.

Nel frattempo, le “lobby trans”, il “culto trans”, e “l’ideologia transgender”, così in voga in certe narrazioni transfobiche, grazie al loro immenso potere hanno ottenuto in Gran Bretagna di far affossare la riforma del Gender Recogntion Act. La pietra tombale è stata posta lo scorso settembre da Liz Truss, Ministra delle Donne e delle Pari Opportunità del Governo Johnson. I requisiti necessari per cambiare legalmente il proprio genere rimarranno gli stessi, sebbene il processo verrà modernizzato. A cambiare saranno i costi per richiedere il Gender Recognition Certificate, in modo da non costituire una barriera di tipo economico. Il Governo Johnson si è anche impegnato ad assicurare alle persone trans l’accesso alle procedure sanitarie. Questo ha forse migliorato la condizione delle donne in Gran Bretagna, la loro sicurezza? Ovviamente no, e parliamo di un paese in cui chi denuncia reati sessuali ha difficoltà a ottenere giustizia.

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La prossima volta che leggerete un articolo sulla “cancellazione delle donne” da parte della “lobby trans”, o leggerete qualcuno blaterare di “cancel culture del mondo trans”, o scorgerete il viso di J.K. Rowling accanto al titolo sull’ennesimo “caso di censura” che l’ha colpita, fate un favore a voi stessi. Sottraetevi a questo veleno a rilascio lento ma costante, fatto di paure, miti intercambiabili, disinformazione, ignoranza e un pizzico di cialtronaggine. Se vi interessa davvero informarvi sui diritti delle persone trans, avvicinatevi a quella galassia partendo da un paio di domande: quante persone trans conosco direttamente? Su cosa si basa la mia opinione? Partite magari da libri come Whipping girl di Julia Serano o guardate documentari come Disclosure. Da brevi guide come questa. Ascoltate o leggete almeno cento parole prima di proferirne una.

Vi accorgerete che partecipare a qualunque livello a un dibattito del tipo “Rowling è una transfobica oppure è una paladina [inserire nome causa]?” è qualcosa che va oltrepassato nel minor tempo possibile - da questo punto di vista articoli del genere sono sempre troppo lunghi. La storia è piena di grandi ingegni che, a distanza di secoli, ci hanno colpito anche per la triste e gretta portata dei loro risvolti più bigotti. Anche la nostra epoca, quindi, consegnerà ai posteri un cospicuo numero di figure illustri, tra cui scrittori e scrittrici, dalla disarmante ottusità per quanto riguarda i diritti umani. Sul breve periodo occorre solo saper mettere i fenomeni in prospettiva, allontanarsi dalla calca della polarizzazione infinita, emanciparsi dall'idea che il potere sia un insieme di spazi limitati da occupare e, se serve, occorre voltare le spalle agli stolti che dicono di vedere mentre si assicurano che i vostri occhi restino velati.

Immagine anteprima Ted Eytan sotto licenza Creative Commons

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