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La cultura del condono sta affondando l’Italia

1 Dicembre 2022 7 min lettura

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La cultura del condono sta affondando l’Italia

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Se c’è un leitmotiv a cui purtroppo la politica italiana ci ha tristemente abituato è quello del condono, tornato con forza nel dibattito politico di questi giorni.

Non solo per il condono fiscale che il governo Meloni ha inserito nella manovra di bilancio, nonostante sia saggiamente fatto passare per l’ennesima pace fiscale. A infiammare il dibattito c’è anche il condono edilizio del governo Conte I che, secondo i critici, sarebbe da additare come corresponsabile del disastro dell’alluvione di Ischia, dove finora hanno perso la vita 8 persone

Il condono viene da lontano

Se aggiungiamo quello del governo Meloni, siamo a 83 condoni nel corso della storia del paese. 

Il primo avviene qualche mese dopo l’unificazione nel lontano 1861. Fino al 1972 però non è corretto parlare di condono, quanto di sanatorie fiscali, in quanto si permetteva al contribuente di non pagare sanzioni o interesse su tasse effettivamente pagate. 

Negli anni ‘70 vi è uno spartiacque all’interno del sistema fiscale italiano. Il governo Rumor, guidato dall’esponente della Democrazia Cristiana, stravolge il sistema italiano, con una riforma che ancora oggi (si pensi al discorso dell’ex Presidente Draghi di insediamento) è alla base della nostra fiscalità: è proprio lì che viene introdotta l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF), per capirci. Data la portata della riforma, il governo Rumor utilizzò il condono proprio per tirare una linea tra il passato e il futuro. L’intenzione era proprio quella di porre fine alla pratica dei condoni vista la nuova riforma fiscale. 

La speranza però non durò molto: l’ennesimo condono avvenne qualche anno dopo, durante la presidenza di Spadolini, primo esponente non proveniente dalle fila della DC a guidare un governo. E poi altri ancora: quello del governo Andreotti, i vari durante la presidenza Berlusconi. Tra il 1980 e il 2010, lo Stato italiano ha incassato solo di condoni 62.8 miliardi di euro, nonostante il grosso sia concentrato nel gigantesco condono del governo Berlusconi del 2003. 

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad altri condoni fiscali, spesso dipinti come una "pace fiscale" o "tregua" (che è forse più esatto). Non solo da governi di centrodestra. Durante l’esperienza dei governi di centrosinistra dal 2013 al 2018, infatti, anche il Partito Democratico e i suoi alleati si sono lanciati in una serie di condoni/rottamazioni: il governo Renzi fece la prima rottamazione, stimata a 13,5 miliardi di euro, quello Gentiloni la seconda (5,6 miliardi). Anche qui non mancano i provvedimenti presi dal governo Conte I, che tra stralcio e rottamazione ter, va oltre i 50 miliardi. 

L’ultimo in ordine di tempo è quello del Governo Draghi. L’ex Presidente del Consiglio aveva giustificato il provvedimento, il più corposo degli ultimi anni, affermando che lo Stato aveva fallito. Un condono delle cartelle sotto i 5 mila euro avrebbe permesso all’agenzia delle entrate di concentrare i suoi sforzi nel contrasto all’evasione fiscale. 

Si discute invece in questi giorni di un nuovo condono: quello del governo Meloni contenuto nella manovra. La cosiddetta tregua fiscale, infatti, cancella le cartelle con importo inferiore ai mille euro inviate fino al 2015 e per tutti gli altri una maggiorazione unica del 3% con possibilità di rateizzazione. Quindi un mini condono, data la scarsità delle risorse per questa finanziaria. 

Leggi anche >> Manovra finanziaria: il governo tutela le rendite e un sistema produttivo viziato

Dal condono fiscale a quello edilizio

Questo solo per quel che riguarda la storia dei condoni fiscali. Diverso è invece il discorso per il condono edilizio. La tradizione in questo caso venne inaugurata dal governo Craxi, durante gli anni del pentapartito. Preso atto del dilagare del fenomeno dell’abusivismo, con una particolare incidenza al sud, il governo passò un gigantesco condono edilizio con paletti molto flebili su che cosa fosse possibile o no condonare. L’intenzione del governo Craxi, come al solito, era quella di porre un freno al fenomeno, tanto che il condono era accompagnato da una serie di provvedimenti volti a porre fine al fenomeno dell’abusivismo. 

Ovviamente non andò proprio così. Tanto che si vantano altri due condoni edilizi, ambedue del governo Berlusconi: il primo all’inizio della sua carriera politica, durante il Berlusconi I nel 1994 e il secondo, in coppia con un condono fiscale, nel 2003. 

Ci sono però delle differenze tra il condono di Craxi e quello di Berlusconi, come ha spiegato Vitalba Azzolini su Domani. Il condono di Craxi, infatti, consentiva la sanatoria degli edifici anche in caso di violazione di vincoli idrogeologici, a patto che non violassero inedificabilità assoluta. Quello di Berlusconi invece restrinse le condizioni della sanatoria all’inedificabilità relativa, cioè superabile dopo valutazione amministrativa. 

Questo ci porta al condono edilizio di cui si sta discutendo in questi giorni: quello passato dal governo Conte I, il cosiddetto "governo del cambiamento" sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle. Si tratta di un articolo, il 25, contenuto nel decreto Ponte Morandi, che, come si legge nella sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale permetteva di definire “le istanze di condono relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017”. 

Il diavolo, in questo caso, si nasconde nei dettagli. Con le norme dell’ultimo condono edilizio passato dal governo Berlusconi, le opere soggette a vincolo idrogeologico, come la maggior parte di quelle danneggiate dal terremoto a Ischia del 2017, non sarebbero state condonabili e si sarebbe quindi dovuto procedere alla demolizione. Per questo motivo il provvedimento del governo Conte I si rifece al condono di Craxi, di fatto rendendo più lasche le condizioni per il condono degli edifici. E si può quindi parlare di un nuovo condono. 

Questo, sia chiaro, non significa che il disastro avvenuto a Ischia sia solamente imputabile al nuovo condono del governo Conte I. Ma, come abbiamo, visto la pratica del condono edilizio non è una novità nella politica italiana, e non ha impedito la diffusione del fenomeno dell’abusivismo. I dati si ritrovano allegati al documento di Economia e Finanza del 2018, nel rapporto sugli Indicatori di Benessere Economico e Sostenibile (BES). Sono qui presenti 12 indicatori tra cui proprio uno dedicato all’abusivismo. Nonostante un calo nei primi anni dopo il 2003, si assiste a una crescita fino agli anni del terremoto di Ischia. Mentre il Nord, la zona più virtuosa, passa da un indice al 4.3 nel 2003 al 5.5 del 2017, al sud la situazione è disastrosa: dal 33.2 al 49.9 nello stesso arco temporale. 

A ciò va anche annessa una precisazione: la misura non venne supportata solo dalle forze di maggioranza, quindi Movimento 5 Stelle e Lega, seppur con vari malumori da ambedue le parti. A sostenerla vi fu anche un partito d’opposizione: Fratelli d’Italia. A votare contro furono soltanto Partito Democratico e Liberi e Uguali, mentre Forza Italia si astenne. 

Perché la cultura dei condoni sta affossando il paese

La pratica dei condoni merita una riflessione generale partendo, prima di tutto, dai risultati della ricerca empirica. Come mostra un lavoro del Fondo Monetario Internazionale vi è poca evidenza che i condoni funzionino davvero: nonostante vi siano dei piccoli vantaggi sul breve periodo, nel lungo periodo vi sono pressoché solo problemi. 

Proprio in virtù dei vantaggi sul breve periodo, annullati poi sul lungo, il condono è particolarmente conveniente per la classe politica. In un primo momento infatti il condono permette di aumentare il gettito, offrendo maggiori margini di spesa per il governo in carica che potrà usarli con discrezionalità e aumentare il consenso elettorale. Non dobbiamo infatti immaginare la politica come un ritrovo di governanti illuminati e disposti al bene comune: spesso il legislatore è un agente attento a massimizzare i benefici elettorali sul breve periodo. 

Sul lungo periodo, però, il condono ha appunto conseguenze nefaste. Per comprenderlo è necessario fare un passo indietro: la ricchezza di un paese, secondo una corrente di pensiero, dipende dalle cosiddette istituzioni, cioè tutte quelle norme e leggi- quindi scritte o non scritte- che regolano la vita economica, sociale e politica degli individui. 

Questo è correlato con una distinzione nata in seno alla scienze politiche: quella tra Strong State (Stato Forte) e Weak State (Stato Debole). Mentre il primo può imporre tasse per soddisfare l'élite e sottomettere l’attività economica al suo controllo, il secondo ha problemi a regolamentare l’economia e nel controllo dell’evasione fiscale. L’Italia si trova in una situazione mista: da una parte la burocrazia statale è massiccia, dall’altra si ritrova a fare i conti con giganteschi problemi nel caso dell’evasione fiscale. 

Unendo la debolezza italiana nel contrasto all’evasione fiscale all’utilizzo sistematico dei condoni, il mix esplosivo porta a un approccio distorsivo all’attività economica: l’evasione è una strategia vincente, in quanto si è consapevoli che periodicamente vi sarà un nuovo condono e la lotta all’evasione, come il governo Meloni sta dimostrando, sarà sempre meno intensa. Ciò quindi diminuisce la tendenza dei contribuenti alla tax compliance - espressione inglese che in italiano si può tradurre con il pagare le tasse ed essere cittadini onesti. I cittadini disonesti e quelli disinteressati non hanno quindi alcun incentivo a cambiare la situazione, in quanto è a loro favorevole. 

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Queste risorse che vengono sottratte ogni anno allo stato, salvo poi rientrare in parte con il condono, servono a finanziare istruzione, sanità, ricerca, infrastrutture, investimenti. Ovvero tutto quello che permette a un paese di crescere e generare ricchezza diffusa. 

Anche il condono edilizio, nella misura in cui gli immobili non pagano IMU e TARI, rientra a pieno titolo nella discussione fatta finora. Ma a ciò si aggiunge una questione più contingente: quella della crisi climatica. Sappiamo infatti che i danni economici dovuti alla crisi climatica stanno aumentando e, come dimostra un lavoro recente, questi danni sono dovuti all’aumento degli eventi climatici estremi, le cosiddette code della distribuzione.

Ma questi avvenimenti non sono uguali per tutti: a esserne maggiormente colpiti sono infatti i più poveri, che spesso hanno abitazioni vicino a corsi d’acqua o terreni più esposti a questi avvenimenti, senza assicurazioni. La negligenza dello stato quindi porta quindi ad acuire le sofferenze e, in questo caso le morti, dei cittadini più poveri.

Immagine anteprima: ANSA via Twitter

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