Israele: il secondo lockdown, gli errori commessi e la lezione che possiamo imparare
5 min letturaA metà settembre il governo di guidato da Benjamin Netanyahu ha approvato un nuovo lockdown nel tentativo di contrastare l’aumento dei contagi in Israele che stava registrando in quei giorni tassi di infezione e mortalità tra i più alti al mondo rispetto alle dimensioni della popolazione. Si viaggiava a oltre 5mila nuovi casi al giorno, quasi 600 ogni milione di abitanti.
Le misure introdotte dal governo prevedevano la limitazione degli assembramenti fino a un massimo di 20 persone, il distanziamento di due metri gli uni gli altri e il divieto di allontanarsi dalle proprie abitazioni non più di 500 metri (poi diventato 1 km).
La crescita dei contagi e il nuovo lockdown non hanno impedito a decine di migliaia di cittadini di scendere per strada e manifestare contro il governo e chiedere le dimissioni del primo ministro Netanyahu, imputato in un processo per corruzione, frode e abuso di potere e criticato da una parte dell’opinione pubblica per la gestione, ritenuta fallimentare, della pandemia. Ci sono stati duri scontri con la polizia, accusata di violenze e di essere stata usata per scopi politici.
Tuttavia, dopo poco più di un mese, il lockdown ha iniziato a dare i suoi frutti e il governo ha deciso di allentare le misure restrittive di fronte al calo significativo dei nuovi casi giornalieri di positività al coronavirus, scesi dal picco di quasi 12mila a fine settembre ai 1695 del 17 ottobre, al di sotto della soglia di 2.000 contagi fissata dal Ministero della Salute come condizione per uscire dalla prima fase. Dall’inizio della pandemia Israele ha registrato 306.503 casi e 2.278 decessi.
Il 18 ottobre il Ministero della Salute ha approvato un nuovo regolamento che permette ai cittadini di potersi spostare anche a più di 1 km dalle loro abitazioni per motivi non essenziali; la riapertura degli asili nido e delle scuole dell’infanzia per i bambini da 0 a 6 anni; la riapertura di spiagge, vivai, riserve naturali e parchi nazionali; la vendita di cibo da asporto ai ristoranti.
Il provvedimento resterà in vigore fino al 31 ottobre e sarà rivisto a seconda dell’andamento dei contagi. «La strada da percorrere è ancora lunga. L’allentamento del lockdown potrebbe portare a un aumento dei contagi e in quel caso il governo potrebbe essere costretto a ripristinare le restrizioni», ha dichiarato il ministro della Salute Yuli Edelstein.
Anche Netanyahu ha detto che l’uscita dal lockdown sarà «graduale, responsabile, attenta e controllata» per evitare di dover tornare indietro nel giro di appena due o tre settimane. «Tuttavia – ha aggiunto – non c'è dubbio che finora è stato un successo di cui si parla in molti paesi europei che si trovano a prendere decisioni simili a quelle prese da noi per primi: sì al lockdown, sì ad abbassare rapidamente i contagi».
In effetti – nota in un thread su Twitter Eran Segal, biologo computazionale al Weizmann Institute of Science – il nuovo lockdown è stato efficace e “sorprendentemente ha funzionato più del primo, nonostante fosse meno restrittivo. L’unica attenzione in più richiesta è stata l’utilizzo delle mascherine che forse sono risultate decisive”.
I casi sono scesi più velocemente, dopo 10 giorni con il secondo lockdown, mentre la prima volta era stato necessario attendere 20 giorni prima di vedere il calo dei contagi. E anche il valore R0 – vale a dire il parametro che misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva, cioè il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto – è sceso a livelli inferiori a quelli registrati durante il primo lockdown, passando a 0,65 (un calo del 50% dei casi ogni settimana), ben al di sotto della soglia di 0,80. Anche il tasso di positività delle persone testate rispetto ai tamponi effettuati è stato il più basso mai registrato da metà luglio, attestandosi al 4,5%.
Cases dropped 10 days after the 2nd lockdown, compared to 20 days that it took for cases to drop after the 1st lockdown
R0, the average number that each person infects, also dropped to lower levels in the 2nd lockdown pic.twitter.com/Gz0WD1Xtkf
— Eran Segal (@segal_eran) October 20, 2020
Tutte le curve sono state appiattite: quella dei contagi, dei malati lievi, dei ricoveri ordinari, dei casi critici e delle terapie intensive. Il calo dei ricoveri gravi ha seguito di circa una settimana il decremento del numero giornaliero dei contagi, mentre i decessi hanno iniziato a diminuire circa tre settimane dopo il lockdown.
As expected, the drop in severe hospitalisations followed the drop in cases by about a week pic.twitter.com/4udYYxdbvO
— Eran Segal (@segal_eran) October 20, 2020
Quindi, osserva Segal, “almeno in Israele i lockdown funzionano e le nuove chiusure ancora di più”. Ma le lezioni da apprendere sono altre e sono relative alla gestione generale della pandemia: “il lockdown è il segnale che qualcosa è andato storto prima. Israele vi ha dovuto fare ricorso perché non aveva altra scelta una volta che i ricoveri avevano saturato le capacità del sistema sanitario”. E gli errori, secondo il biologo computazionale israeliano, sono stati diversi.
Israel: What went wrong?
How did we come to lead the COVID-19 cases chart? What caused the 2nd wave, why was it so bad, and is the lockdown working?
A thread on Israel, the first country to impose a second lockdown, with lots of (don’t do) lessons to teach the world@EricTopol pic.twitter.com/6IbclRhy4a
— Eran Segal (@segal_eran) October 7, 2020
Innanzitutto, le scuole sono state aperte troppo presto, quando il numero dei casi giornalieri era elevato e in costante crescita e i tassi di infezione elevati (R0 di poco superiore al valore 1). Prima si sono infettati i ragazzi delle scuole ortodosse, dove il tasso di positività è salito dal 5% al 25% a 7 - 10 giorni dalla loro apertura.
As expected, the drop in severe hospitalisations followed the drop in cases by about a week pic.twitter.com/4udYYxdbvO
— Eran Segal (@segal_eran) October 20, 2020
A quel punto, due settimane dopo, l’epidemia si è trasmessa a macchia d’olio tra gli ortodossi più anziani ed è diventata meno controllabile. Ai primi di ottobre, il professor Ronni Gamzu, Commissario nazionale per la lotta al coronavirus, aveva dichiarato che il 40% di coloro risultati positivi proveniva dalla comunità ultraortodossa, e la polizia aveva chiuso 11 sinagoghe nella città di Bnei Brak perché operavano contro le leggi anti-covid.
Indeed, it was fragile and unfortunately “broke” upwards. The trigger was the opening of schools. First the orthodox boys, where positivity rate surged from 5% to 25% just 7–10 days after their opening
But two weeks later, the outbreak in the young spread to the older orthodox pic.twitter.com/xuZasUip5P
— Eran Segal (@segal_eran) October 7, 2020
Infine, non sono state adottate strategie differenziate territorio per territorio, a seconda delle situazioni nelle diverse città, e questo ha favorito un’ulteriore espansione dei contagi a causa della mobilità dei cittadini da una parte all’altra di Israele. I focolai localizzati non sono stati circoscritti e hanno finito col diffondersi incontrollati.
Questa epidemia ci sta insegnando tre cose, conclude Segal: bisogna agire velocemente prima che la diffusione dei contagi sia incontrollabile, vanno attuate strategie differenti territorio per territorio, e occorre essere flessibili in base all’andamento del tasso di riproduzione del virus, allentando se questo parametro si abbassa, tornando sui propri passi se torna alto.
Intanto, secondo i media israeliani, nei prossimi giorni il governo discuterà se revocare le restrizioni più rigide in vigore nelle zone “rosse” – per lo più ultraortodosse – e nelle città con i più alti tassi di morbilità. Dopo l’allenamento del lockdown, le comunità ortodosse hanno protestato per la mancata riapertura e si sono radunate per le festività ebraiche, nonostante le restrizioni ancora vigenti, contribuendo a un aumento dei contagi in quelle aree.
Immagine in anteprima via Wikimedia