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“Un golpe senza carri armati”. La destra estrema sta modificando i paradigmi su cui è vissuta Israele dalla sua fondazione

19 Gennaio 2023 12 min lettura

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“Un golpe senza carri armati”. La destra estrema sta modificando i paradigmi su cui è vissuta Israele dalla sua fondazione

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Israele, la Corte Suprema boccia la riforma del sistema giudiziario del governo di estrema destra di Netanyahu: 'Danneggia in modo grave e senza precedenti il carattere democratico di Israele'

Aggiornamento 2 gennaio 2024: Il primo gennaio 2024 la Corte Suprema di Israele ha bocciato parte della riforma del sistema giudiziario approvata a luglio dal governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu che limitava i poteri della stessa Corte Suprema. 

Prima dell’approvazione della riforma la Corte Suprema aveva la possibilità di intervenire e abolire quei provvedimenti approvati dai governi se ritenuti “irragionevoli”. La riforma eliminava questa possibilità. La sentenza, votata da una maggioranza di 8 giudici su 15, reintroduce la clausola di “irragionevolezza”. 

La Corte ha stabilito che la legge deve essere annullata perché danneggia in modo grave e senza precedenti il carattere democratico di Israele. Nelle motivazioni si legge, infatti, che “lo Stato di Israele ha bisogno di rafforzare la sua componente democratica” e che il provvedimento votato dal governo Netanyahu “andava nella direzione opposta, e cioè rafforzava il potere del suo organo esecutivo”.

Inoltre, un'ampia maggioranza di giudici - 12 su 15 - ha stabilito che la Corte Suprema ha l'autorità di esercitare un controllo giurisdizionale sulle leggi fondamentali di Israele, che hanno uno status costituzionale nella giurisprudenza israeliana, e di intervenire in casi eccezionali ed estremi in cui la Knesset ha superato la sua autorità come ramo del governo abilitato a legiferare le disposizioni della Costituzione attraverso l'approvazione di leggi fondamentali.

Le ripercussioni politiche potrebbero essere immediate. La sentenza potrebbe portare Israele in una nuova crisi costituzionale e politica, mentre prosegue la guerra contro Hamas a Gaza e potrebbe aprirsi un nuovo fronte con il Libano. Fino all’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, la sola proposta della riforma aveva provocato manifestazioni molto partecipate nelle strade israeliane praticamente ogni settimana. Avevano protestato anche migliaia di riservisti, tra cui piloti di caccia e membri delle unità di intelligence, cyber e operazioni speciali dell'IDF, che avevano smesso di presentarsi in servizio dopo l'approvazione della legge.

Il Likud, il partito di Netanyahu, ha definito “spiacevole” la decisione della Corte di pubblicare una sentenza che mina l’unità all’interno della società israeliana in tempi di guerra. Una forte reazione da parte del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dei suoi alleati politici di destra radicale potrebbe spingere l'ex Ministro della Difesa, Benny Gantz, a lasciare il governo di unità di emergenza formatosi dopo l'attacco del 7 ottobre. Gantz ha affermato in una dichiarazione che tutti devono attenersi alla sentenza del tribunale. “Oggi non ci sono vincitori e vinti. Abbiamo un obiettivo comune: vincere la guerra”, ha detto Gantz che ha invitato tutti ad attenersi alla sentenza del tribunale. “Dopo la guerra dovremo regolare i rapporti tra i diversi rami del potere attraverso il dialogo e un ampio consenso”.Qualora Gantz, che fa parte dell'alleanza di opposizione Unità Nazionale, lasciasse il gabinetto di guerra, Israele si troverebbe con un governo di destra radicale a prendere decisioni sulla guerra, il che potrebbe avere implicazioni per il sostegno degli Stati Uniti alla guerra a Gaza.

Il leader dell'opposizione, Yair Lapid, ha detto che la Corte ha mantenuto il suo dovere di proteggere i cittadini di Israele. “Se il governo riprende la lotta contro la Corte Suprema, dimostrerà di non aver imparato nulla dal 7 ottobre”, ha detto Lapid.

Israele, il Parlamento approva la legge che limita i poteri della Corte Suprema, sfidando le proteste di massa

Aggiornamento 24 luglio 2023: “La coalizione di Netanyahu approva una legge chiave per il golpe giudiziario mentre è in corso un conflitto nazionale”. Con questo titolo Haaretz ha commentato l’approvazione da parte del Parlamento israeliano del contestatissimo disegno di legge presentato dal governo guidato da Benjamin Netanyahu che limita i poteri della Corte Suprema.

Il disegno di legge è passato con 64 voti a favore e nessuno contrario dopo che l'opposizione ha abbandonato il plenum della Knesset in segno di protesta al grido di “vergogna, vergogna”.

La riforma è destinata a cambiare le regole su cui poggia la democrazia israeliana. Le strutture democratiche di Israele sono già fragili, dato che non esiste una costituzione e il governo detiene la maggioranza nella Knesset unicamerale. In questa cornice, la Corte Suprema è vista come l'organismo che protegge i diritti civili e lo Stato di diritto. La magistratura svolge un ruolo significativo nel controllare il potere esecutivo nel paese. E il disegno di legge mette a rischio la separazione dei poteri e impedisce alla Corte Suprema di bloccare quelle nomine e decisioni del governo ritenute irragionevoli.

Il leader dell'opposizione Yair Lapid ha accusato la coalizione di governo di abusare del proprio potere e Netanyahu di essere “un burattino alle dipendenze di estremisti e messianisti”. “Si tratta di una rottura completa delle regole del gioco”, ha dichiarato Lapid, secondo quanto riportato dal Times of Israel. Lapid ha chiesto ai riservisti militari, che avevano minacciato di interrompere il servizio militare se la legge fosse stata approvata, di aspettare la sentenza dell'Alta Corte di Giustizia prima di ritirarsi.

Il membro della Knesset Ofer Cassif, che rappresenta il partito comunista israeliano Hadash, afferma che l'arretramento dei valori democratici di Israele è una conseguenza del modo in cui il paese è stato governato per più di mezzo secolo. “Non c'è democrazia con l'occupazione. Da oltre 50 anni Israele è impegnato in una dittatura continua, una dittatura militare, nei territori palestinesi occupati, Gerusalemme Est, Cisgiordania e Striscia di Gaza", ha dichiarato Cassif ad Al Jazeera. “O c'è democrazia o non c'è democrazia. Con l'occupazione, l'apartheid, la pulizia etnica, che Israele persegue da sempre - negli ultimi due anni e soprattutto negli ultimi sette mesi ancora di più - non può esserci alcuna democrazia”, ha affermato. “Altre leggi sono dietro l'angolo e trasformeranno Israele in una dittatura fascista a tutti gli effetti, in cui le componenti più fanatiche e zelanti sono al potere”.

The Movement for Quality Government, un gruppo della società civile, ha annunciato che contesterà la nuova legge presso la Corte Suprema, mentre si prevedono altre proteste.

Netanyahu era stato costretto a sospendere l’approvazione della riforma all'inizio di quest'anno per le forti proteste che hanno coinvolto via via tutta la società israeliana e riempito ogni settimana le strade di Tel Aviv.

Arnon Bar-David, presidente della federazione del lavoro Histadrut, ha dichiarato che che incontrerà altri funzionari sindacali per discutere la possibilità di proclamare uno sciopero generale fino a quando “non sarà raggiunta una chiusura completa”.

Centinaia di persone stanno protestando fuori dalla Knesset, urlando slogan contro la riforma della giustizia e cercando di bloccare l’accesso al Parlamento. Le forze dell’ordine ha usato cannoni ad acqua e arrestato una ventina di persone.

Stanno venendo al pettine i nodi tra due tipi di sionismo, quello precedente e quello successivo al 1967, uno più liberale e laico, l’altro più fanatico e fascista, ha commentato l'analista politico di Al Jazeera, Marwan Bishara. “È evidente che c'è un movimento serio per i diritti civili che sta anche cercando di ripristinare la credibilità del sistema giudiziario all'interno del paese, almeno per quanto riguarda i [cittadini] ebrei”. La protesta ha aggregato diversi segmenti di società, tra cui “i sindacati e i lavoratori, l'industria high-tech israeliana, parti dell'esercito ed ex generali. Sono compresi anche alcuni capi della sicurezza che sono davvero preoccupati per ciò che potrebbe accadere al paese”, ha aggiunto Bishara, secondo il quale la pressione dell’opinione pubblica israeliana potrebbe essere più significativa ed efficace di quella degli Stati Uniti su Israele.

Nel frattempo, il Presidente USA, Joe Biden, è intervenuto avvertendo Israele che i cambiamenti senza un ampio consenso portano a un'erosione delle istituzioni democratiche e tutto questo potrebbe minare le relazioni tra i due paesi, riferisce CNN.

Non era la piazza del 1982, quando il movimento pacifista israeliano portò 400mila persone a protestare a Tel Aviv per l’istituzione di una commissione d’inchiesta a seguito del massacro di Sabra e Shatila in Libano. Una protesta anche contro Ariel Sharon e la destra israeliana. Eppure, gli ottantamila che sotto la pioggia hanno riempito lo scorso 14 gennaio la piazza accanto al teatro Habima e le strade adiacenti sono un segnale altrettanto importante. Sono il segno che i nodi, già presenti da anni nella politica e nella società israeliane, sono arrivati al pettine. C’è una destra, anche estrema, che sta modificando i paradigmi su cui è vissuta Israele sin dalla sua fondazione e soprattutto dopo il 1967. 

Israele al voto e l’ascesa dell’estrema destra razzista e suprematista

 

Le parole di questi giorni e di queste settimane sono di una durezza imparagonabile. Più voci, nell’opposizione al sesto governo presieduto da Benjamin Netanyahu, hanno messo in guardia dal fascismo che prende il potere, e dall’ascesa di una “democrazia autoritaria”. In una rara discesa in campo, sono stati magistrati e giudici ad attaccare il governo che si è appena insediato. L’accusa è di voler attuare un “golpe senza carri armati”, come ha detto in più interviste televisive il giudice più stimato di tutta Israele, Aharon Barak, ex presidente della Corte Suprema. E il suo non è stato l’unico durissimo attacco alla riforma giudiziaria resa nota il 4 gennaio scorso dal nuovo ministro della Giustizia, il likudista Jariv Levin, che a sua volta non ha risparmiato accuse molto pesanti allo stesso Barak. Il giudice in pensione, 86 anni, è stato fatto persino oggetto di una protesta sotto casa sua da parte di attivisti di estrema destra. 

Da un lato, dunque, c’è l’intero sistema giudiziario israeliano, una delle tradizionali roccaforti della struttura dello Stato, che ha scritto una lettera aperta firmata dai più importanti procuratori generali. Dall’altra, il governo più a destra della storia israeliana. Da un lato, c’è il sistema giudiziario che per decenni è stata considerata uno dei pilastri ashkenaziti. Dall’altro, il sionismo religioso la cui influenza su Netanyahu è sempre più evidente. Non è dunque un caso se uno dei discorsi più netti e apprezzati dalla piazza anti-Netanyahu, a Tel Aviv, sia stato quello pronunciato da un’altra esponente del sistema giudiziario, un’altra giudice ex presidente della Corte Suprema, Ayala Procaccia. La sintesi: quando i giudici scendono in campo, è perché la democrazia è a rischio.

La paura è chiara: è l’inizio della fine di Israele, o di una certa Israele, quella che ha vissuto sotto il titolo – controverso – di “unica democrazia del Medio oriente”. Ora a rischio, con la riforma Levin, è anzitutto la separazione dei poteri, l’autonomia dei giudici, la possibilità per la corte suprema di bloccare pezzi di legislazione ritenuti non aderenti alle leggi fondamentali (Israele non ha una costituzione).

La riforma giudiziaria non riguarda i palestinesi, come si è compreso anche dal fatto che la piazza di Tel Aviv ha espresso solo le anime politiche israeliane del paese. Assieme all’opposizione minoritaria e più a sinistra, nella protesta hanno trovato posto l’ex ministro della difesa Benny Gantz e l’ex ministra degli esteri Tzipi Livni, cioè l’espressione dello establishment politico centrista. 

Sui palestinesi peserà di più ciò che sta avvenendo attorno all’assetto della difesa e della sicurezza nazionale. Il cambio della guardia alla guida delle forze armate ha fatto giungere i nodi al pettine. Lascia Aviv Kochavi, arriva Herzl “Herzi” Halevi.  Lascia, cioè, il capo di Stato maggiore a cui è toccato gestire quattro anni in cui i militari sono stati il perno del sistema, mentre attorno a loro la politica e l’intera amministrazione dello Stato sono state scosse da cambiamenti continui. Quattro elezioni, quattro cambi alla guida del governo, e tre ministri della difesa. Ce n’è abbastanza per mettere a dura prova anche il più esperto dei generali israeliani, e Kochavi di esperienza ne ha più di altri. Sulla questione palestinese, soprattutto, visto che il suo curriculum comprende anche un ruolo per nulla secondario nell’operazione Defensive Shield del 2002, quando in piena seconda intifada le città della Cisgiordania settentrionale – Jenin e Nablus – furono al centro di una delle più controverse e sanguinose strategie militari messe in campo dagli israeliani per affrontare le fazioni armate palestinesi. Kochavi non solo non è stato indenne da critiche sulle operazioni dei militari in Cisgiordania, compresa l’uccisione a Jenin nel maggio del 2022 di Shireen Abu Akleh, la più importante giornalista palestinese. Le polemiche attorno a lui e all'establishment da lui diretto si sono concentrate anche su Gaza, sia per l’operazione del maggio-giugno 2021, sia per l’attacco dell’agosto 2022. Ricordiamo gli elementi più rilevanti. Nel 2021 furono sganciate bombe ad alto potenziale per colpire la rete di tunnel, con un livello di distruzione delle zone residenziali civili mai raggiunto prima. E nell’agosto del 2022 vi è stato un attacco concentrato su Gaza in tre giorni in cui sono stati ripresi, come durante la seconda intifada, gli assassini mirati da parte dell’aviazione israeliana, con cosiddetti “danni collaterali” pesantissimi. Amnesty International ha chiesto di aprire una inchiesta per comprendere se siano stati commessi crimini di guerra.

Palestina, 2022 l’anno di sangue

Kochavi lascia, ma non lascia in silenzio. Mette cioè sul piatto della discussione il vero nodo del contendere con l’estrema destra israeliana. E cioè chi controllerà le forze armate e di sicurezza in Cisgiordania. Il nuovo governo di estrema destra ha un altro dossier complesso, oltre alla riforma della giustizia. Ha infatti il dossier che riguarda la difesa, la sicurezza nazionale, l’amministrazione civile/militare del Territorio Palestinese Occupato, la presenza dei coloni in Palestina e il loro raggio d’azione politico e armato. È dunque un dossier a dir poco delicatissimo, che comprende anche il rapporto con un settore ben preciso della popolazione di Israele, quell’oltre 20% che è palestinese con passaporto israeliano. È un cambio di paradigma quello che sta affrontando Israele: dallo status quo ormai permanente rappresentato dall’occupazione della Palestina, al processo sempre più rapido di annessione di Cisgiordania e Gerusalemme est. Annessione fondata su un sistema duale, riguardo ai diritti civili: da una parte gli israeliani titolari di tutti i diritti di cittadinanza, dall’altra i palestinesi sotto occupazione e senza diritti civili.

Il cambio di paradigma è richiesto soprattutto, ma non solo, dai due partiti sionisti religiosi di estrema destra, Potere Ebraico di Itamar Ben-Gvir, il più mediatizzato dei nuovi ministri del governo Netanyahu, e il più potente Bezalel Smotrich, il leader del Partito Sionista Religioso, designato ministro delle Finanze. Ben-Gvir ha già descritto a gran voce come vuol cambiare la sicurezza nazionale, ora che siede alla testa del ministero preposto: restringere i limiti della protesta di piazza, anche da parte degli israeliani di fede ebraica; considerare traditore chi dissente; rendere non più intoccabile il diritto di cittadinanza; annullare l’identità palestinese a partire da un simbolo imprescindibile come la bandiera della Palestina. Meno evidente, ma altrettanto (se non più) pericoloso, il potere che Smotrich tenta di avocare a sé stesso. A pensare in termini europei, sembra difficile credere in una possibile e determinante influenza di Smotrich – ministro delle Finanze – sul dossier difesa/sicurezza. E invece potrebbe essere proprio l’astro già consolidato del sionismo religioso a divenire il deus ex machina del nuovo paradigma israeliano. 

Spiegano bene due esperti come Amos Hare e Yaniv Kubovich, su Haaretz, i passi necessari per rendere definitivo nella forma ciò che già, negli anni più recenti, abbiamo visto compiersi in Cisgiordania. Questi gli elementi: “la rimozione del Coordinamento delle attività di governo nei Territori [Palestinesi Occupati] e delle unità dell’Amministrazione civile dall’autorità del ministero della Difesa, rendendoli subalterni al ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, mentre nel contempo si assume il controllo della designazione di alti funzionari in queste agenzie”. E non è finita: il tentativo è quello di “mettere le unità della polizia di frontiera in Cisgiordania sotto il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, e di designare il rabbino militare capo delle forze armate in coordinamento con il partito ultraortodosso dello Shas”. In più, si cercherebbe anche di rendere forma ciò che già succede nella sostanza in Cisgiordania: “la possibile modifica delle regole di ingaggio nei Territori, e l’adozione di passi per garantire l’autorità assoluta per soldati e poliziotti nell’uso della forza” contro i palestinesi.

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Aviv Kochavi ha espresso tutto il suo disaccordo con una linea che rompe la catena di comando sinora espressa dalla struttura militare, e che fa entrare i politici nel piatto. Il suo disaccordo conferma, implicitamente, quello che si dice da tempo: che, cioè, ci sia un esercito a Tel Aviv, e che in Cisgiordania ce ne sia un altro, su cui i coloni hanno un peso sempre più forte. E i coloni, nel nuovo governo Netanyahu, sono diventati ministri. 

Il successore di Kochavi, il nuovo capo di Stato maggiore che ha appena giurato il 16 gennaio, cosa farà? Herzi Halevi è stato designato nel settembre 2022 dal precedente governo, nella fattispecie dal ministro della difesa Benni Gantz. La sua storia personale assomma buona parte della storia del sionismo, ben prima di Israele: è nato a Gerusalemme, ha avuto una educazione ortodossa, vive in una colonia vicino a Modi’n, è stato comandate dell’unità speciale Sayeret Matkal, che opera in Palestina. Sua madre era la nipote di Rav Ha Kook, primo capo rabbino nell’immigrazione sionista, e suo nonno aveva fatto parte del gruppo paramilitare estremista dell’Irgun.  

Immagine in anteprima via haaretz.com

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