Il giornalista Reuters, Issam Abdallah, ucciso da un attacco deliberato dell’esercito israeliano in Libano. L’inchiesta di Reuters, AFP, HRW e Amnesty
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Aggiornamento 15 marzo 2024: Un carro armato israeliano ha ucciso il reporter della Reuters Issam Abdallah in Libano lo scorso 13 ottobre sparando due proiettili da 120 mm contro un gruppo di “giornalisti chiaramente identificabili”, in violazione del diritto internazionale. A rilevarlo un'indagine della Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL), visionata da Reuters.
Il portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), Nir Dinar, aveva dichiarato che l’IDF aveva risposto a un attacco di Hezbollah con l'artiglieria e il fuoco dei carri armati e solo successivamente aveva ricevuto la segnalazione di giornalisti feriti.
Il rapporto di UNIFIL invece afferma che i suoi investigatori non hanno registrato alcuno scambio a fuoco lungo il confine tra Israele e Libano per più di 40 minuti prima che il carro armato israeliano Merkava sparasse verso i giornalisti e che “il motivo degli attacchi ai giornalisti non è noto”. Oltre a uccidere Abdallah, i due colpi di carro armato hanno ferito altri sei giornalisti presenti sulla scena.
“Sparare contro civili, in questo caso giornalisti chiaramente identificabili, costituisce una violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (2006) e del diritto internazionale”, prosegue il rapporto. In base alla risoluzione 1701, adottata nel 2006 per porre fine alla guerra tra Israele e i combattenti libanesi di Hezbollah, le forze di pace delle Nazioni Unite sono dispiegate per monitorare il cessate il fuoco lungo la linea di demarcazione di 120 km tra Israele e Libano. Come parte della loro missione, le truppe dell'ONU registrano le violazioni del cessate il fuoco e indagano sui casi più gravi.
Il rapporto dell'UNIFIL è stato inviato alle Nazioni Unite a New York il 28 febbraio ed è stato condiviso con le forze armate libanesi e israeliane. L'UNIFIL ha dichiarato nel suo rapporto di aver inviato una lettera e un questionario all'IDF per chiedere la loro collaborazione. Ma l'IDF si è limitato a inviare una lettera senza rispondere al questionario.
L’editor-in-chief di Reuters, Alessandra Galloni, ha chiesto a Israele di spiegare le ragioni dell’attacco e di accertarne le responsabilità.
L’attacco che lo scorso 13 ottobre ha ucciso il giornalista della Reuters, Issam Abdallah e ferito altri sei fotoreporter al confine tra Libano e Israele è stato probabilmente un assalto deliberato delle Forze di Difesa Israeliane (IDF). E trattandosi di un attacco diretto contro civili dovrebbe essere indagato come crimine di guerra.
È quanto emerge da un’indagine condotta da Amnesty International, Human Rights Watch, Reuters e Agence France-Presse (AFP). Nelle loro indagini, le due organizzazioni umanitarie e le due testate giornalistiche hanno analizzato oltre 100 video, audio, resti di munizioni e immagini satellitari e ascoltati funzionari governativi e di sicurezza, esperti militari, investigatori forensi, avvocati, medici e testimoni.
Il 13 ottobre, Issam Abdallah, Thaier Al-Sudani, Maher Nazeh, tutti e tre fotoreporter della Reuters, Christina Assi e Dylan Collins, fotoreporter dell'AFP, Carmen Joukhadar ed Elie Brakhya, fotoreporter di Al Jazeera, si erano appostati su una collina vicino al villaggio di Alma al-Chaab, nel governatorato di Tiro, per circa un'ora prima dell'attacco, nel sud del Libano, per raccontare e riprendere gli scontri transfrontalieri in corso tra le forze israeliane e Hezbollah. I sette avevano scelto volutamente quella postazione perché l’ampia vista sulla valle che forma il confine tra Libano e Israele consentiva loro di poter osservare le diverse postazioni militari israeliane, tra cui quelle di Al-Nawaqir, Jordeikh e Hanita e filmare gli scontri. L’esercito israeliano aveva iniziato un’operazione per assicurarsi di aver eliminato una sospetta minaccia di infiltrazione, in seguito a un conflitto a fuoco.
L’attacco delle forze israeliane nei confronti dei sette giornalisti si consuma in meno di un’ora. Seguendo la ricostruzione della Reuters dell’accaduto, alle 17,11 il giornalista della Reuters Issam Abdallah invia un'immagine che mostra il gruppo che si sistema vicino a una fattoria guardando verso sud; cinque minuti dopo, alle 17,16, il team della Reuters trasmette un video in diretta puntando sempre verso sud, mentre da varie posizioni dietro le colline si vede del fumo salire; dopo oltre 45 minuti di riprese, alle 18,01 la telecamera si sposta a destra e si concentra su una postazione militare israeliana al confine e si vede un carro armato israeliano Merkava sparare in Libano, verso la zona di El-Dabche [ndr, le immagini del video sono chiarissime]; meno di 90 secondi dopo, alle 18,02, il primo di due colpi di carro armato, sparati da un'altra collina, colpisce la squadra di giornalisti. Un secondo colpo, 37 secondi dopo, incendia l'auto di Al Jazeera.
Issam Abdallah, seduto su un cornicione di pietra, viene ucciso dal primo colpo. Christina Assi, gravemente ferita, ha perso una gamba. Dylan Collins ha riportato ferite da schegge sul viso, sulle braccia e sulla schiena, Maher Nazeh sulle braccia, Thaier al-Sudani su tutto il lato sinistro del corpo e Carmen Joukhadar nella parte inferiore del corpo. Elie Brakhya è stato gravemente ferito a entrambe le braccia e la spalla è stata schiacciata.
Sulla base dell’esame dei video (in particolare dei filmati girati da alcuni giornalisti della Rai che stavano filmando il bombardamento transfrontaliero e, una volta uditi gli spari, hanno girato le telecamere verso i luoghi delle esplosioni) e delle foto della scena - compresa l'analisi dei frammenti di armi sul luogo, delle ferite riportate dalle vittime e l'analisi di due aree di impatto successive all'esplosione su un muro di pietra accanto alla strada e su un cratere vicino - Reuters e Amnesty International hanno stabilito che il primo colpo è stato un proiettile di un carro armato da 120 mm sparato dalle colline tra al-Nawaqir e Jordeikh in Israele. Il secondo colpo è partito appena 37 secondi dopo, questa volta da un'arma diversa, probabilmente un piccolo missile guidato, che ha mandato in fiamme un’auto della troupe di Al Jazeera.
Secondo le indagini l'attacco è stato probabilmente deliberato.
Tutti e sette – e i video e le immagini lo mostrano chiaramente – indossavano giubbotti antiproiettile con la scritta “stampa”, mentre l’auto della troupe della Reuters era contrassegnata dalla scritta “TV” con un nastro giallo sul cofano.
“La nostra auto era bianca, abbiamo tenuto tutte le portiere aperte, di proposito, per annunciare che siamo giornalisti su una collina senza presenza militare, senza cespugli, senza persone, con appena un paio di case e sabbia bianca. Siamo giornalisti, quindi non scegliamo luoghi sospetti; scegliamo luoghi estremamente identificabili”, ha detto il videografo di Al Jazeera, Elie Brakhya, uno dei sette giornalisti colpiti, ad Amnesty International. “Eravamo equipaggiati con giacche contrassegnate come ‘stampa’, caschi, tre auto dei media e diverse telecamere su treppiedi. In breve, era impossibile non notarci”, ha aggiunto Carmen Joukhadar.
Inoltre, le forze israeliane avevano torri di osservazione, elementi di terra e mezzi aerei dispiegati per monitorare da vicino il confine. Pertanto, avrebbero dovuto avere le informazioni sufficienti per capire che si trattava di giornalisti e civili e non di un obiettivo militare. Infine, dalle indicazioni raccolte da Amnesty International, non c’erano combattenti o obiettivi militari sul luogo degli attacchi. Tutto questo fa pensare che questi attacchi fossero probabilmente diretti contro i civili.
“La nostra indagine sull'incidente ha portato alla luce prove agghiaccianti che indicano un attacco contro un gruppo di giornalisti internazionali che stavano svolgendo il loro lavoro riportando le ostilità. Gli attacchi diretti ai civili e gli attacchi indiscriminati sono assolutamente vietati dal diritto umanitario internazionale e possono costituire crimini di guerra”, ha dichiarato Aya Majzoub, vicedirettrice regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e l'Africa del Nord.
“Le prove che abbiamo acquisito, e che abbiamo pubblicato oggi, dimostrano che un equipaggio di carri armati israeliani ha ucciso il nostro collega Issam Abdallah”, ha commentato la caporedattrice di Reuters Alessandra Galloni. “Condanniamo l'uccisione di Issam. Chiediamo a Israele di spiegare come sia potuto accadere e di chiamare a rispondere i responsabili della sua morte e del ferimento di Christina Assi dell'AFP, dei nostri colleghi Thaier Al-Sudani e Maher Nazeh e degli altri tre giornalisti. Issam era un giornalista brillante e appassionato, molto amato alla Reuters”.
“I responsabili dell'uccisione illegale di Issam Abdallah e del ferimento di altri sei giornalisti devono essere chiamati a risponderne. Nessun giornalista dovrebbe mai essere preso di mira o ucciso semplicemente per aver svolto il proprio lavoro. A Israele non deve essere permesso di uccidere e attaccare i giornalisti impunemente. Deve esserci un'indagine indipendente e imparziale su questo attacco mortale”, ha aggiunto Aya Majzoub.
Da quando è iniziato il conflitto tra Israele e Hamas, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha confermato l'uccisione di almeno 63 giornalisti e operatori dei media: 56 palestinesi, 4 israeliani e 3 libanesi.
I giornalisti uccisi nel conflitto Israele-Hamas
“Secondo il diritto internazionale umanitario, le parti in conflitto hanno il chiaro obbligo di proteggere i civili - compresi i giornalisti - e devono sempre distinguere tra civili e oggetti civili da un lato e combattenti e obiettivi militari dall'altro. Durante un conflitto armato, il ruolo dei giornalisti è particolarmente importante per garantire il controllo della condotta delle ostilità e per evidenziare eventuali violazioni”, spiega ancora Aya Majzoub.
Secondo l’esperta di diritto penale internazionale Carolyn Edgerton, sentita da Reuters, filmare le postazioni dei carri armati israeliani al confine avrebbe potuto essere considerato una minaccia per l'esercito israeliano, se le informazioni fossero state considerate “utili per le forze in Libano”. Ma, ha aggiunto, due colpi sparati di seguito contro un gruppo di giornalisti chiaramente identificati “costituiscono una chiara violazione del diritto umanitario internazionale e possono anche costituire il crimine di guerra di attacco diretto contro i civili”.
Prendere di mira direttamente civili o oggetti civili è severamente vietato dalle leggi sui conflitti armati, come le Convenzioni di Ginevra del 1949, ratificate da tutti gli Stati membri dell'ONU. Né Israele né il Libano sono firmatari della Corte penale internazionale, i cui 124 Stati membri accettano la sua giurisdizione per il perseguimento di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio.
Anche il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha chiesto un’indagine immediata, indipendente e trasparente.
Immagine in anteprima: CPJ via X