Perché gli israeliani vedono come una minaccia il cessate il fuoco?
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di Meron Rapoport (+972 Magazine)
La decisione degli Stati Uniti di non porre il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che chiedeva un immediato cessate il fuoco a Gaza - è la prima volta dall'inizio della guerra che si fa passare di una risoluzione del genere - ha mandato una scossa d'urto a Israele. La successiva cancellazione da parte di Benjamin Netanyahu di un incontro previsto a Washington con l'amministrazione Biden non ha fatto altro che accrescere l'impressione che Israele sia rimasto isolato sulla scena internazionale, e che Netanyahu stia mettendo a rischio il bene più importante del paese: l'alleanza con gli Stati Uniti.
Tuttavia, nonostante le numerose critiche su come Netanyahu abbia gestito questioni così delicate, anche i suoi oppositori - sia nel campo "liberal" che nella destra moderata - sono stati unanimi nel respingere il voto dell'ONU. Yair Lapid, capo del partito di opposizione Yesh Atid, ha dichiarato che la risoluzione è "pericolosa, ingiusta e Israele non l'accetterà". Il ministro Hili Tropper, uno stretto alleato del rivale di Netanyahu, Benny Gantz - che secondo i sondaggi vincerebbe nettamente se si tenessero oggi le elezioni - ha dichiarato: "La guerra non deve fermarsi". Questi commenti non si discostano molto dalle reazioni rabbiose di leader di estrema destra come Bezalel Smotrich o Itamar Ben Gvir.
Questo rifiuto pressoché unanime del cessate il fuoco rispecchia il sostegno trasversale all'invasione della città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, anche se nelle parole dello stesso Netanyahu l'operazione non raggiungerà la tanto attesa "vittoria totale" che ha promesso.
L'opposizione al cessate il fuoco può sembrare strana ad alcuni. Molti israeliani accettano la tesi che Netanyahu stia continuando la guerra per favorire interessi politici e personali. Le famiglie degli ostaggi israeliani, ad esempio, sono sempre più critiche verso le "lungaggini" di Netanyahu e continuano a chiedere a gran voce un "accordo ora".
Anche all'interno dell'establishment della sicurezza israeliana, sempre più persone affermano apertamente che "eliminare Hamas" non è un obiettivo raggiungibile. "Dire che un giorno ci sarà una vittoria completa a Gaza è una vera e propria menzogna", ha detto di recente l'ex portavoce dell'IDF Ronen Manelis. "Israele non può eliminare completamente Hamas in un'operazione che dura solo pochi mesi".
Quindi, se l'opinione che Netanyahu stia continuando la guerra per interessi personali sta crescendo; se l'inutilità di continuare la guerra sta diventando sempre più chiara, sia per quanto riguarda il rovesciamento di Hamas che per la liberazione degli ostaggi; se sta diventando ovvio che continuare la guerra rischia di danneggiare le relazioni con gli Stati Uniti - come si può spiegare il consenso in Israele sul "pericolo" costituito da un cessate il fuoco?
Domande fondamentali
Una spiegazione è nel trauma inflitto dal massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre. Molti israeliani si dicono che, finché Hamas esiste e gode del sostegno popolare, non c'è alternativa alla guerra. Una seconda spiegazione riguarda l'innegabile talento retorico di Netanyahu. Nonostante la sua debolezza politica, il premier israeliano ha saputo instillare lo slogan della "vittoria totale" anche in coloro che non credono alle sue parole e che capiscono, consciamente o inconsciamente, come questa vittoria non sia possibile.
Ma c'è un'altra spiegazione. Fino al 6 ottobre, l'opinione pubblica ebraico-israeliana era concorde nel ritenere che la "questione palestinese" non dovesse preoccuparla più di tanto. Il 7 ottobre ha infranto questo mito. La "questione palestinese" è tornata, con piena e sanguinosa forza, all'ordine del giorno.
Le risposte apparentemente possibili alla distruzione di questo status quo erano due: un accordo politico che riconoscesse realmente la presenza di un altro popolo in questa terra e il suo diritto a una vita di dignità e libertà, oppure una guerra di estinzione contro il nemico al di là del muro. L'opinione pubblica ebraica, che non ha mai veramente interiorizzato la prima opzione, ha scelto la seconda.
In quest'ottica, l'idea stessa di un cessate il fuoco appare minacciosa. Costringerebbe l'opinione pubblica ebraica a riconoscere che gli obiettivi presentati da Netanyahu e dall'esercito - "rovesciare Hamas" e liberare gli ostaggi attraverso la pressione militare - sono semplicemente irrealistici. L'opinione pubblica dovrebbe ammettere quello che potrebbe essere percepito come un fallimento, persino una sconfitta, di fronte ad Hamas. Dopo il trauma e l'umiliazione del 7 ottobre, per molti è difficile digerire una simile sconfitta.
Ma c'è una minaccia più profonda. Un cessate il fuoco potrebbe costringere l'opinione pubblica ebraica a confrontarsi con questioni più fondamentali. Se lo status quo non funziona, e una guerra incessante con i palestinesi non può ottenere la vittoria desiderata, allora ciò che rimane è la verità: che l'unico modo per gli ebrei di vivere in sicurezza è attraverso un compromesso politico che rispetti i diritti dei palestinesi.
Il completo rifiuto del cessate il fuoco e la sua rappresentazione come una minaccia per Israele dimostrano che siamo lontani dal riconoscere una simile verità. Eppure, paradossalmente, potremmo anche essere più vicini di quanto si pensi. Nel 1992, quando gli israeliani furono costretti a scegliere tra uno strappo con gli Stati Uniti - dovuta al rifiuto dell'allora primo ministro Yitzhak Shamir di accettare lo schema presentato dagli americani per i colloqui con i palestinesi - e la ricucitura della strappo, scelsero la seconda opzione. Yitzhak Rabin fu eletto primo ministro e, un anno dopo, furono firmati gli accordi di Oslo.
L'attuale spaccatura con l'amministrazione americana convincerà gli ebrei israeliani ad abbandonare l'idea della guerra perpetua e ad accettare la possibilità di un accordo politico con i palestinesi? Non è molto chiaro. Ma quello che è certo è che Israele si sta rapidamente avvicinando a un bivio in cui dovrà scegliere: verso un cessate il fuoco e la possibilità di un dialogo con i palestinesi, o verso una guerra senza fine e un isolamento internazionale che non ha mai conosciuto. Perché l'opzione di tornare indietro, allo status quo del 6 ottobre, chiaramente è ormai impossibile.
Articolo originale pubblicato su +972 Magazine (in partnership con The Nation e Local Call) e tradotto per gentile concessione della testata. È possibile sostenere +972 Magazine a questo link.
Immagine in anteprima: World Economic Forum via Flickr.com