L’Iran sta armando la Russia contro l’Ucraina: le ragioni dell’alleanza tra i regimi di Mosca e Teheran
12 min letturaSiamo qui per esprimere la nostra contrarietà al supporto dell’Iran alla Russia e all’invio di droni che hanno lo scopo di uccidere i nostri amici. Viviamo qui e ci fa ancora più male sapere che il paese in cui siamo nati sia responsabile di tutto ciò.
Maziar Mian, portavoce della diaspora iraniana in Ucraina, parla ai giornalisti con la voce spezzata e un quasi impercettibile senso di vergogna personale per gli avvenimenti dei giorni precedenti. Nonostante sostenga il suo paese di adozione fin dall’inizio dell’invasione russa, non riesce a fare a meno di sentirsi responsabilizzato dal luogo della sua nascita. Maziar dice che prima della guerra erano circa duemila gli iraniani a Kyiv, grossa parte dei quali è fuggita. Lo scorso 28 ottobre, a Maidan, insieme a lui ci sono circa mezzo centinaio di connazionali residenti in Ucraina ad alzare la voce contro l’appoggio della Repubblica Islamica a Putin. Non sono numerosi come le 80.000 persone provenienti da tutta Europa che hanno raggiunto Berlino la settimana prima per scandire le parole «Woman, Life, Freedom», sull’onda delle proteste in patria per la morte di Mahsa Amini il 13 settembre, ma si tratta comunque di un evento inaspettato.
Il filo che unisce Kiev a Berlino, tuttavia, non è per affatto sottile. L’intervento dello scrittore Hamed Esmaeilion, definito dagli osservatori occidentali il leader della protesta anti-ayatollah delle ultime settimane, parla di un sogno: quello di un Iran senza processi sommari e poeti in catene, ma anche senza armi vendute a Putin che gli permettano di ammazzare gli ucraini. Esmaeilion è il portavoce delle vittime del volo Ukrainian Airlines 752 abbattuto due anni fa dai Pasdaran a Teheran, dove ha perso moglie e figlia. Quel 9 gennaio 2020, che seguiva i giorni di tensione dell’attentato statunitense al generale Soleimani, hanno perso la vita 81 iraniani e 11 ucraini tra le 176 vittime totali.
Le relazioni tra Ucraina e Iran si irrigidiscono da quel periodo, dopo la supposizione di Zelensky, in seguito al leak di alcuni file audio, per cui l’Iran sapesse delle cause dell’incidente ben prima che la guida suprema Ali Khamenei desse il via libera alle forze armate nella divulgazione della versione dell’errore umano. Ovvero che l’aereo civile fosse stato identificato come un bersaglio ostile, un missile da crociera, da parte della Guardia Rivoluzionaria iraniana. In risposta alle accuse di Zelensky, l’Iran sospende sospeso la cooperazione delle indagini sul disastro e rallentato la consegna della scatola nera, e farà poi poco nell’identificazione e responsabilità penale dei colpevoli.
“Il punto non è solamente l’appoggio del regime terroristico iraniano alla Russia, o alla dittatura di Assad in Siria come in passato. Un altro dei motivi per cui siamo qui oggi è far capire che esso non rispetta nemmeno la vita della propria gente” dice Massud Ghoreishi, mentre indossa una divisa militare ucraina alla manifestazione del 28 ottobre. Nato in Iran ma ormai cittadino ucraino, si è unito alla difesa territoriale di Kyiv dopo l’invasione. Mai i destini di Ucraina, Iran e Russia, dei rispettivi governi e soprattutto dei loro cittadini, sono stati così intrecciati e interdipendenti come nell’ultimo mese. Se molti ucraini sono frustrati dal poco coraggio mostrato dalla maggioranza dei russi dopo lo spegnimento delle prime proteste a febbraio, i raduni congiunti di attivisti ucraini e iraniani, come quello di New York, testimoniano come i popoli non possiedano un ruolo passivo in queste dinamiche.
È dallo scorso agosto che l’intelligence Usa sospetta che l’Iran abbia cominciato a rifornire la Russia di droni Shahed-191 e Shahed-129 per rimpiazzare le sempre più scarse di riserve di Orlan-10 di produzione russa. Già a fine agosto ci sono prove dell’arrivo dei primi droni sul suolo della Federazione Russa. Il 13 settembre le forze armate ucraine abbattono il primo Shahed-136 nella città di Kupiansk, da pochi giorni liberata dall’occupazione, mentre a fine settembre il ronzio del motore cinese dei droni kamikaze è udito a Odessa.
È però da ottobre che la cooperazione militare tra il regime iraniano e quello russo comincia a dare i suoi cupi risultati sul campo in Ucraina. Il 10 ottobre, giorno in cui 83 missili lanciati dai russi uccidono decine e feriscono centinaia di civili ucraini, dal territorio della Crimea e della Bielorussia fanno la loro prima comparsa gruppi massicci di Shahed. I droni volano generalmente in sciami, oscurando i cieli di Kyiv anche nelle settimane successive e colpendo diverse centrali energetiche nella capitale e nel resto del paese. L’ultimo colossale attacco in ordine cronologico risale allo scorso 31 ottobre.
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Volando a quota bassa ed essendo tecnologicamente obsoleti (per via di embarghi e sanzioni occidentali alla produzione industriale e bellica iraniana) i droni sono pressoché inutili sul campo di battaglia, ma particolarmente distruttivi in un contesto cittadino, per il bersagliamento delle strutture civili. L’ovvio obiettivo è quello di frustrare la resistenza della popolazione, e in generale rendere inagibile lo stato dell’economia del paese. Secondo il direttore dell’Energy Research Center Oleksandr Harchenko tra il 30 e il 40% dell’infrastruttura energetica ucraina è gravemente danneggiata, e i tempi di ripristino completo sono di circa un anno.
Inoltre, secondo un’analisi del Guardian, il costo di abbattimento dei droni per gli ucraini eccede di gran lunga quello d’acquisto da parte russa. Un modello di Shahed-136 costa appena tra i 20,000 e i 50,000 dollari, per un costo totale tra i 12 e 18 milioni di dollari: secondo i dati dell’intelligence statunitense e quelli diffusi Bloomberg sono circa un migliaio i droni ordinati dai russi durante l’estate, mentre Zelensky ha recentemente dichiarato, senza fornire prove, che sarebbero addirittura 2400. Senza tenere conto dei danni infrastrutturali, l’Ucraina ha sostenuto un costo stimato di 28 milioni di dollari per abbattere i droni nell’ultimo mese e mezzo, utilizzando sistemi di difesa a terra, aerei Mig-29, missili da crociera e pure armi leggere (uno di essi è stato abbattuto persino dalla polizia di Kyiv).
Secondo quanto dichiarato dall’Aereonautica militare ucraina, dal 13 settembre sono già più di 300 i droni Shahed di varie tipologie abbattuti dalle forze armate, dati simili a quelli pubblicati dagli analisti militari di Molfar. Eppure, così come la Russia, l’Iran nega spudoratamente il proprio coinvolgimento, mentre contemporaneamente ulteriori sanzioni sono nell’aria dopo la dichiarazione del 17 ottobre dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’UE Josep Borrell, secondo cui i paesi dell’Unione sono alla ricerca di qualsiasi prova concreta della responsabilità iraniana. Appena tre giorni dopo le sanzioni contro la Shahed Aviation Industries e gli alti ranghi militari iraniani sono approvate dall’Unione.
A dispetto delle inutili smentite dei vertici iraniani e russi, la cooperazione militare tra i due paesi sembra solamente aumentare di settimana in settimana. Secondo un’esclusiva del Mirror sono circa cinquanta gli istruttori della guardia rivoluzionaria iraniana presenti sui territori occupati per allenare i soldati russi nell’uso dei droni kamikaze: molti in Crimea, e circa venti, secondo fonti ucraine, nella fetta occupata dell’oblast di Kherson. Un articolo del Washington Post rivela che, secondo fonti dell’intelligence statunitense, l’Iran sarebbe pronto all’invio di missili a corta gittata Fateh-110 e Zolfaghar, rispettivamente con un raggio di 300 e 700 chilometri. Sarebbe il primo acquisto da parte dei russi di missili terra-terra dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio.
Dunque, quali sono i motivi per cui i due regimi continuano a negare la loro insanguinata collaborazione militare, che – venisse ufficializzata – potrebbe quantomeno imporre un proprio peso geopolitico sulla scena internazionale in ottica anti Stati Uniti, principale nemesi sia di Putin che di Ali Khamenei? "Si tratta di una partnership dettata dalla convenienza tra due dittature in conflitto" secondo Karim Sadjadpour, esperto di Iran presso il Carnegie Endowment for International Peace. Una convenienza dettata, oltre che dal nemico comune, soprattutto dalla difficile situazione interna per entrambi i regimi. Essa affonda le sue radici anche nella guerra in Siria, dove i due paesi hanno pure cooperato militarmente, a differenza del Caucaso in cui i loro interessi sono estremamente divergenti.
Entrambi i regimi usano metodi repressivi contro i propri cittadini internamente, mentre esternamente ricorrono ad escalation asimmetriche di violenza nel tentativo di espandere le proprie aree di influenza; in ambito comunicativo, inoltre, sia Iran che Russia sono solite negare l’evidenza anche oltre il punto il quale la realtà sembra non più permetterlo.
Dopo la rivoluzione del 1979, tuttavia, l’Iran ha formulato la propria politica estera sull’equidistanza tra Unione Sovietica e Stati Uniti, un modello cruciale per la sua imposizione come potenza regionale in Medio Oriente. La situazione non è cambiata con negli anni novanta con la neonata Russia con la quale, anzi, si ritrova spesso a competere sui mercati delle materie prime; una concorrenza particolarmente forte sul mercato asiatico, in cui il beneficiario finale di questa competizione è spesso la Cina.
Per la Russia è importante dimostrare di non essere rimasta sola, in termini di alleanze con altri grandi attori geopolitici, nella sua crociata contro l’Ucraina ma soprattutto antioccidentale. Ha bisogno di mostrare che i suoi unici alleati non sono solamente Stati vassalli come Bielorussia, Etiopia e Siria, soprattutto dopo che la Cina si è defilata dall’appoggio incondizionato. Ma è ancora più importante non ammettere pubblicamente che le proprie riserve militari sono in esaurimento dopo “soli” otto mesi di invasione, combattendo contro una nazione che si puntava a conquistare in pochi giorni. Significherebbe dover ammettere indirettamente i propri errori tattici e di valutazione, evidenti in Occidente ma meno in patria. Non sarebbe una dichiarazione di sconfitta, ma poco ci mancherebbe.
Dopo aver negato le consegne di artiglieria e missili dalla Corea del Nord, ammettere di dipendere dai rifornimenti militari dell’Iran sarebbe insensato. Ufficializzando la cooperazione, i russi si mostrerebbero ancor più deboli in Medio Oriente e Africa rispetto a otto mesi fa, così come nei confronti di una Cina già scettica in partenza. Inoltre, paleserebbe che le sanzioni occidentali stanno avendo un ruolo fondamentale nel sabotare la produzione bellica russa. Sarebbe infine un segnale di debolezza verso l’opinione pubblica interna, che in seguito all’annuncio di mobilitazione parziale si è resa definitivamente conto di come l’“operazione speciale” in Ucraina non stia andando come previsto. Il regime di Putin ha sempre basato la propria immagine sul monopolio della forza (ricordiamo la retorica del “secondo esercito migliore al mondo), perciò ammettere che le scorte belliche sono agli sgoccioli potrebbe aprire persino una crisi di legittimazione.
Sembrano meno nette, e più complesse, le motivazioni iraniane. Sin dall’inizio l’Iran ha sostenuto la guerra iniziata dai russi, come testimoniano i voti nelle varie risoluzioni della Nazioni Unite. Vendendo armi non solo all’interno dei conflitti del Medio Oriente (tra cui Yemen e Palestina), e ora a grandi potenze militari come la Russia, l’Iran tenta di accrescere il suo prestigio internazionale come alleato e fornitore affidabile, soprattutto sul mercato dei droni in competizione con i Bayraktar TB2 turchi, acquistati da Ucraina, Azerbaijan e Pakistan: tutti paesi con cui intrattiene rapporti freddi. E, al contrario dei russi, il regime degli ayatollah userebbe questi successi per dimostrare l’inutilità delle sanzioni occidentali, che stanno invece devastando l’economia del paese.
Eppure l’Iran non può permettersi di evidenziare e pubblicizzare il suo crescente ruolo di esportatore di armi ai paesi non allineati. Innanzitutto questi paesi, Venezuela, Etiopia e Sudan, non comprano i droni iraniani perché maggiormente efficienti, ma per la loro economicità e praticità nell’aggirare i blocchi occidentali. In seconda istanza, l’ammissione di colpa iraniana aggreverebbe ancor di più il proprio isolamento internazionale provocando sanzioni più drastiche di già approvate, prolungando l’embargo occidentale e rallentando ancor di più le intricate trattative sull’accordo nucleare.
In un’intervista a La Repubblica lo scorso luglio, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian aveva cripticamente dichiarato che l’Iran ha già “accordi sulla difesa con la Russia, ma non aiuteremo nessuna delle due parti” nella guerra russo-ucraina. Ma già lo stesso mese, dopo l’incontro tra Putin e il presidente iraniano Ebrahim Reisi, era chiaro da parte si fosse schierato l’Iran nel conflitto.
La vaghezza mediatica dei vertici iraniani sulla cooperazione con i russi ha grossa rilevanza nel suo contesto interno. Secondo Mahmoud Shoori, vicedirettore dell'Istituto di studi sull'Iran e sull'Eurasia a Teheran, “l'Ucraina è generalmente più popolare della Russia tra i cittadini iraniani e la Repubblica islamica si è storicamente posta dalla parte degli outsider nei conflitti internazionali”.
A seguito alle proteste divampate da metà settembre, scatenata dalla rabbia per la condizione delle donne nel paese, ma anche rinvigorite da fattori socioeconomici e richieste di ampliamento dei diritti civili preesistenti nella società iraniana, il regime degli ayatollah si trova in una situazione in cui deve massimizzare gli sforzi per preservare il proprio potere. Nell’intento di dissuadere i manifestanti dall’intensificare ulteriori rivolte, far intendere di essere un alleato strategico sul piano militare di un paese come la Russia, è utile nel dimostrare ai propri oppositori che il regime è tutt’altro che vicino dal proprio tramonto, potendo ancora contare su un’importante influenza politica e militare, e ha la forza, come la volontà, di poter spegnere nel sangue le rivolte qualora diventassero ancora più violente.
All’ambiguità dei principali vertici politici, un articolo del New York Times evidenzia come a prendere voce siano soprattutto gli ambienti vicini ai militari: per esempio tramite Sepah Cyberi, un canale Telegram affiliato alle guardie rivoluzionarie, che nei suoi post scrive “non c’è dubbio che i droni utilizzati dai russi in Ucraina siano di produzione iraniana (…) e dobbiamo provare orgoglio ora che sono i più chiacchierati del pianeta”.
Contemporaneamente, l’Iran deve guardarsi le spalle dai suoi nemici regionali. Prima di tutto dall’Arabia Saudita, che pure è sulla sponda russa nella guerra, contro la quale si contrappone da decenni in una Guerra fredda in salsa mediorientale in ogni conflitto dell’area. Seppur formalmente un alleato dell’occidente (ha infatti votato a favore di tutte le risoluzioni contro la Russia, a differenza degli iraniani), il regime di Bin Salman – che appena qualche giorno fa ha accusato Biden di scarso acume mentale – cerca di sfruttare la guerra in Ucraina per indebolire la propria dipendenza dagli Stati Uniti, con i quali i rapporti sono ai minimi storici. Contemporaneamente, però, condivide informazioni di intelligence con quest’ultimi, allarmando gli alleati (sic) di imminenti attacchi dell’Iran al regno e in Iraq per distogliere l’attenzione dalle proteste interne. Gli iraniani, dal canto loro, accusano i sauditi di fomentare e finanziare le rivolte, insieme agli stessi USA e soprattutto Israele.
Insieme agli israeliani l’Iran è coinvolto nell’altro grande conflitto proxy regionale da oltre quarant’anni. Dalla rivoluzione del 1979 i rapporti tra i due stati non hanno mai finito di precipitare. Come noto, l’Iran è il principale sponsor di Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina, e nelle settimane scorse in un tweet Khamenei ha definito Israele una “cellula cancerogena” nella regione.
Dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio Israele ha cercato di mantenere equidistanza tra Ucraina e Russia, con i quali ha diversi interessi in comune, oltre ad ospitare la più grossa comunità di russofoni fuori dai paesi dell’ex Unione Sovietica. Non ha partecipato alla campagna di aiuti occidentali agli ucraini, nonostante le origini ebraiche di Zelensky, accogliendo con freddezza il discorso alla Knesset di quest’ultimo, anzi indispettendosi per l’accostamento del genocidio russo all’Olocausto.
Finché né stato il primo ministro, Naftali Bennet è stato, forse più di Erdogan, il principale interlocutore di Putin all’interno della NATO dopo l’isolamento dei rapporti diplomatici con il blocco occidentale. La situazione è rimasta sostanzialmente invariata con la nomina, il primo luglio, del nuovo primo ministro Yair Lapid, ma ha subito un brusco cambiamento una volta compresa l’entità della collaborazione russo-iraniana.
Quando il 10 ottobre i primi folti sciami di Shahed invadono i cieli ucraini, Lapid condanna per la prima volta (al quarto mese di mandato) la Russia per le sue operazioni in Ucraina. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha poi fornito le prove della cooperazione tra Iran e Russia alla riunione N7 Initiative del consiglio atlantico.
Israele ha sempre attaccato i depositi di droni iraniani in passato, come già lo scorso marzo ad Ebril, nel Kurdistan iracheno. Dopo gli ultimi sviluppi, però, gli attacchi israeliani agli obiettivi iraniani sono vertiginosamente aumentati. Il 21 ottobre è stato distrutto un deposito di droni in Siria, e pochi giorni dopo a Zahedan, in Iran, è stato ucciso uno dei colonnelli dei Pasdaran che si occupava del trasferimento dei droni ai russi. L’attacco ha ricordato le operazioni del Mossad contro i vertici responsabili del programma nucleare iraniano, come evidenzia Emanuele Rossi su Formiche. Insomma, la neutralità israeliana dei primi otto mesi sembra definitivamente destinata ad essere seppellita, alla luce delle dichiarazioni di Zelensky dell’inizio di una «cooperazione militare ufficiale» tra Kiev e Gerusalemme, da quanto sembra cominciata con lo scambio di informazioni di intelligence e il cui limite si potrà capire in maniera più precisa solamente nelle prossime settimane.
Fin dall’inizio della guerra molti critici e analisti, e gran parte dell’opinione pubblica antiglobalista, ha fatto notare come l’occidente non potesse pretendere lo stesso coinvolgimento di condanna all’invasione della Russia, specie in aree lontane – fisicamente e politicamente – dalla guerra come Sudamerica, Africa e Medioriente. Argomenti ribaditi nelle recenti discussioni sulla presunta ambiguità geopolitica del neopresidente brasiliano Lula, che nel 2009 era stato tra i fondatori del BRICS insieme a Putin.
L’ingresso dell’Iran in guerra a fianco della Russia rischia di scompigliare le carte in tavola, trascinando con sé diversi attori che hanno finora guardato alla situazione in Ucraina in posizione di vigile, quanto passiva, attesa. Inoltre, ha innescato inaspettate solidarietà, come quella fra gli ucraini vittime della guerra dei russi e gli oppositori iraniani vittime della repressione interna. L’alleanza militare russo-iraniana ha esteso il numero e la dimensione degli interessi attorno al conflitto in Ucraina, amplificando ancora di più la scala del conflitto.
Immagine in anteprima: frame video Al Jazeera via YouTube