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Iran, dalle urne un messaggio chiaro: per gli iraniani il cambiamento non passa per le elezioni

6 Marzo 2024 7 min lettura

Iran, dalle urne un messaggio chiaro: per gli iraniani il cambiamento non passa per le elezioni

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Come sarà l’Iran dopo il voto del primo marzo 2024 per il Parlamento e l’Assemblea degli esperti? Elezioni d’altronde segnate da un record storico dell’astensionismo, con circa il 41% di votanti sugli aventi diritto e il significativo fenomeno delle schede bianche e nulle - il 5%  in totale secondo dati ufficiali, il 30% secondo media iraniani  - di voti non validi?

“Queste elezioni non faranno cambiare niente nelle condizioni della vita quotidiana dei cittadini iraniani, ma sono state un messaggio chiaro e trasparente al governo e alla comunità internazionale. Le schede bianche o nulla e la mancata partecipazione di quasi il 60% degli elettori significano che gli iraniani non hanno alcuna speranza di cambiare la propria situazione attraverso le urne nella Repubblica islamica”, spiega a Valigia Blu Mostafa Khosravi, giornalista iraniano dal 2009 in Italia, si occupa di fact-checking e fa da analista per media in lingua persiana come BBC Persian e Iran International

“Inoltre – prosegue Khosravi – vi sono forti dubbi sulla regolarità delle elezioni, dubbi legati a molte testimonianze che farebbero pensare, complice il sistema elettorale, a una manipolazione dei voti. In ogni caso, la gente è arrivata a credere che le 290 persone che entreranno nel Majles [ndr, l’Assemblea consultiva islamica, è l'organismo legislativo della Repubblica Islamica dell'Iran], anche se otterranno i migliori risultati, non potranno cambiare la stasi e le problematiche politiche del paese. Sappiamo inoltre che la maggior parte degli eletti non possiede i requisiti minimi per ricoprire un ruolo influente nel paese e sono solo rappresentanti di potenti gruppi mafiosi e non rappresentanti del popolo”. 

“Assemblea degli esperti più controllabile per la successione a Khamenei”

Fra gli eletti della nuova Assemblea degli esperti - un consiglio di 88 studiosi di diritto, che nei prossimi otto anni di mandato avrà con ogni probabilità il compito di nominare il successore di Ali Khamenei, 85 anni, alla carica di Guida suprema - Khosravi nota il venir meno di importanti figure dei periodi precedenti del Consiglio degli Esperti, all’epoca molto vicine al fondatore della Repubblica Islamica, Ruhollah  Khomeini. 

È il caso per esempio di Sadegh Amoli Larijani: esponente di una famiglia molto influente politicamente ed ex capo del sistema giudiziario, che non è stato eletto. Ma nella composizione della nuova Assemblea ha giocato anche, come per il Parlamento, la scure del Consiglio dei Guardiani, che ha il compito di selezionare i candidati alle cariche elettive, e che anche quest’anno (come già nel 2020) ha escluso dalla corsa molti esponenti del fronte moderato e riformista – altri avevano scelto di non partecipare nemmeno. “Da tempo Khamenei non vuole più dare loro spazio – osserva Khosravi - e preferisce gli ayatollah più giovani, quelli che non pretendono di essere suoi successori, che non possono costituire un problema per il prossimo leader dopo la morte di Khamenei, e che sono controllabili dalle Guardie Rivoluzionarie”.

Parliamo qui di quel Corpo dei Guardiani della rivoluzione (Sepāh-e Pāsdārān-e Enqelâb-e Eslâmi), fondato nel 1979 da Khomeini e che ormai domina la scena iraniana sul piano politico, economico e dell’ordine pubblico, e non più soltanto su quello militare. In gioco con quest’ultimo voto - rimarca il giornalista - non vi era infatti più soltanto l’elezione dell’Assemblea, ma anche quella del nuovo leader. Carica cui aspirerebbe anche l’attuale presidente Ebrahim Raisi, stretto alleato di Khamenei, che ha corso quasi da solo nella sua circoscrizione raggiungendo l’82% dei voti. Ma i giochi si faranno al momento della successione di Khamenei, quando sulla scelta del candidato potrebbero scatenarsi le fazioni interne al fronte conservatore. Un fronte tuttora tanto diviso da essersi presentato con sei liste per il Majlis  nella circoscrizione di Teheran e all’interno del quale, secondo alcune analisi, ha prevalso la linea più estrema, rispetto a quella tradizionalista e moderata.

“A fare le scelte strategiche è un centro extra-costituzionale”

Tuttavia, a giudicare dalla scarsa affluenza al voto, la maggioranza dell’elettorato iraniano non si appassiona affatto a questo tema. Così come non crede più nella possibilità di incidere sulle scelte dei governanti eleggendo i propri rappresentanti in parlamento. “Il Majles – sottolinea Khosravi – è stato ormai stato svuotato da ogni effettivo potere se non su questioni interne di rilievo relativo, mentre a compiere le scelte davvero importanti è un centro decisionale non previsto dalla Costituzione, che si è formato in questi anni”. Si tratta di un nuovo organo informale di potere – prosegue - controllato da Khamenei e formato dal presidente e capo del governo (Raisi), dal capo del sistema giudiziario (Gholam-Hossein Mohseini Ejei) e dal presidente del parlamento (Mohammad Bagher Qalibaf, stavolta eletto solo al quarto posto tra i candidati della sua lista): “Anche se fossero tutti ben preparati e aperti alle riforme, i parlamentari non avrebbero l’ultima parola su nessuna delle questioni veramente importanti dell’economia, della politica estera e della difesa. Questo voto non cambia niente, e la volontà di dimostrarlo è uno dei motivi per cui la gente non si è recata alle urne”.  

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All’origine della vasta astensione vi sono stati anche gli inviti al boicottaggio lanciati da molti riformisti (anche l’ex presidente Mohammad Khatami stavolta non ha votato) e oppositori interni. A cominciare dalla Premio Nobel per la Pace, Narges Mohammadi, da anni in carcere per una lunga pena detentiva e che proprio in questi giorni ha perso il padre. “Boicottare le elezioni sotto un regime religioso dispotico – si legge sul suo account Instagram - non è solo una mossa politica ma anche un obbligo morale per gli iraniani che amano la libertà e cercano la giustizia. La Repubblica Islamica, con la sua repressione spietata e brutale, l’uccisione di giovani per le strade, le esecuzioni, l’incarcerazione e la tortura di uomini e donne, merita il boicottaggio nazionale e la condanna globale. Io, insieme alle persone informate e orgogliose di tutto l’Iran, dal Sistan e Baluchistan al Kurdistan, dal Khuzestan all’Azerbaigian, mi schiero per dichiarare l’illegittimità della Repubblica islamica e il divario tra il regime oppressivo e il suo popolo attraverso il boicottaggio di queste elezioni farsa”. La “transizione” da questo regime, conclude, “è quanto chiede la nazione e la sola strada per salvare l’Iran, gli iraniani e la nostra umanità”.

Chi è Narges Mohammadi, l’attivista che ha vinto il Nobel per la Pace mentre è detenuta in Iran

Vincitrice del Nobel per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti”, Narges  Mohammadi è una voce preziosa per il movimento Donna Vita Libertà proprio perché proviene dall’interno del paese e, nonostante la detenzione, ne riflette il dibattito e gli umori. La sua coraggiosa testimonianza - che di recente l’ha anche spinta, insieme a decine di altre detenute, a uno sciopero della fame contro il preoccupante aumento delle esecuzioni capitali nell’ultimo periodo – recepisce la molteplicità delle istanze che alimentano il movimento di protesta nato dalla morte in dubbie circostanze (l’uccisione, precisa Khosravi) di Jina Mahsa Amini, il 16 settembre 2022, mentre si trovava in stato di arresto da parte della polizia morale per un velo portato male. 

In Iran, nove mesi dopo la morte di Mahsa Amini, la protesta diventa disobbedienza civile e ancora una volta a guidarla sono le donne

Un movimento guidato dalle donne, che rivendicano la fine delle discriminazioni a loro danno nel campo delle leggi come nella vita sociale, ma in cui si sono inserite anche le rivendicazioni delle minoranze etnico-religiose (curdi e baluci in prima fila), dei giovani della generazione Z, dei sindacati e dei lavoratori, degli attivisti politici e per i diritti umani, di chi è preoccupato dell’aggravarsi della crisi ambientale. Ampi strati di quella società civile che chiede di essere ascoltata e sostenuta anche all’estero, e che pone alla sempre più sorda dirigenza della Repubblica Islamica questioni che vanno ben oltre l’obbligo del velo – anche se proprio nel diffuso rifiuto di indossarlo, gesto altamente simbolico di disobbedienza civile, emerge ora la prosecuzione in altre forme di quel movimento di protesta. Di questo carattere plurale del movimento aveva dato testimonianza la canzone Baraye di Shervin Hajipour, che proprio nel giorno delle elezioni ha diffuso la notizia di essere stato condannato a oltre tre anni di reclusione. 

Su Gaza in Iran uno sguardo diverso dall’Occidente 

C’è infine un’altra questione su cui riflettere, relativa alla tragica guerra che ha visto prima morire 1.200 civili israeliani nell’attacco terroristico del 7 ottobre ad opera di Hamas, e poi oltre 30 mila palestinesi – in larga parte donne e bambini – uccisi dai bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza. L’Iran, come già evidenziato su Valigia Blu, svolge un ruolo indiretto ma cruciale – tramite le milizie proxy che ha sempre sostenuto – nella pericolosa crescita delle tensioni nella regione (dal Libano all’Iraq al Mar Rosso). Ma è finora riuscito a evitare – come osservato da diversi analisti e come voluto anche da Washington - che la guerra a Gaza si estenda fino a divenire un conflitto regionale, che coinvolga direttamente il governo di Teheran e altre entità statuali. 

Medio Oriente, ma l’Iran vuole davvero la guerra regionale?

Per oltre quattro decenni la Repubblica Islamica ha fatto della questione palestinese la propria bandiera, con cui giustificare anche gli ingenti stanziamenti di denaro – sottratti alle necessità del paese – a favore delle milizie (da Hezbollah e alla stessa Hamas fino agli Houti yemeniti). E proprio per questo – spiega Khrosavi – alcune correnti dell’opinione pubblica iraniana ostili al governo hanno uno sguardo diverso dall’Occidente sulla questione palestinese.  “Per decenni il tema è stato così importante per il governo iraniano – osserva – che molti, appena ne sentono parlare, pensano che sia la stessa propaganda di sempre. E alcuni arrivano perfino ad augurarsi un attacco di Israele anche in Iran, pur di veder cadere la Repubblica Islamica. Altri pensano inoltre che, non vi fosse stato un coinvolgimento così forte di Teheran nella difesa della causa palestinese, forse quest’ultima avrebbe già trovato una qualche soluzione. Ma ci sono opinioni diverse tra gli iraniani, e questa è una delle tante”.

Valigia Blu Live #ijf24 > Oltre il velo: i diversi attori della società civile nel movimento trainato dalle donne in Iran

Nell'ambito dell'iniziativa Valigia Blu Live, Luciana Borsatti, Mostafa Khosravi, la storica Farian Sabahi e l’antropologa Sara Hejazi interverranno il 20 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia nel panel “Oltre il velo: i diversi attori della società civile nel movimento trainato dalle donne in Iran”.

Immagine in anteprima: frame video BBC via YouTube

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