Invasione Ucraina: video, foto, meme e il rischio desensibilizzazione
5 min letturaLe avvertenze sull’attenzione da prestare prima di diffondere informazioni e opinioni sui social media non erano mancate fin dagli inizi dell’aggressione della Russia all’Ucraina ma, dopo essere state lette e propagate, sono state prevalentemente eluse e ne è risultato ancora una volta un enorme rumore di fondo di semplificazioni, nella migliore delle ipotesi, che conduce a una costruzione caotica della realtà e alla perpetuazione di pregiudizi negativi e di esclusione morale.
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Senza sorpresa, l’informazione dominante sui giornali, alla radio e alla televisione ha fornito un’efficace rappresentazione del metodo che pervade le redazioni nel mondo occidentale, composte per la maggior parte da uomini bianchi di mezza età, di classe media e di mezza memoria. Abbiamo assistito e continuiamo ad assistere, sullo sfondo delle notizie tragiche dall'Ucraina, alla normalizzazione dei conflitti in altre parti del mondo dove ci si aspetta che le persone siano violente, alla razzializzazione dei rifugiati, all’esposizione di foto di minorenni ucraine in prima pagina, all’appropriazione del lavoro di giornaliste e giornalisti indipendenti che lavorano sul campo, allo spaccio di falsi contenuti, alla dimenticanza per i conflitti accaduti anche in Europa dopo la II Guerra Mondiale.
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Per quanto riguarda i singoli individui, è forte l’esigenza di esprimere le preoccupazioni e i pensieri al proprio gruppo attraverso i social media. L’impulso a condividere uno stato o un meme può alleviare la propria angoscia in risposta a eventi travolgenti ma in un’epoca in cui il sensazionalismo è il motore dominante di molti media, il rischio di propagare contenuti distorti e potenzialmente dannosi è elevato. Da un lato si diventa complici dell’amplificazione di una versione parziale o romanzata delle devastazioni nelle città ucraine assediate e dall’altro si contribuisce a rinforzare pregiudizi negativi, stereotipi e stigma verso determinati gruppi di persone, moralmente distanziati dalla propria postazione privilegiata. Senza contare che i contenuti che semplificano la situazione attuale preparano memorie manipolate degli eventi per il futuro.
L’entità di propagazione degli effetti dipende dall’estensione del proprio gruppo di appartenenza.
Il problema è che anche rappresentanti istituzionali, onniscienti (che abbiamo imparato a conoscere durante la pandemia) e persone di rilievo in cui riponiamo la nostra fiducia hanno dimostrato, nei loro accorati interventi pubblici, delle lacune dolorose nelle loro memorie soggettive che calpestano le memorie collettive di interi gruppi, e hanno usato deplorevolmente la malattia mentale come tentativo di propinare un’apparecchiata spiegazione circolare ai crimini pianificati da Putin e dai suoi sodali.
Le narrazioni ufficiali, anche in questo particolare periodo, sono accompagnate dall'affermazione di valori e credenze socioculturali che plasmano l’identità di gruppo. Tali narrazioni accompagnano il discorso pubblico sulla guerra e sui suoi protagonisti in funzione di una determinata rappresentazione degli eventi e guidano, possiamo esserne più o meno consapevoli, i contenuti degli stessi stati che decidiamo di condividere dai nostri account sui social media.
Quali valori e quale costruzione di realtà sono stati trasmessi nel discorso pubblico?
In pochi giorni abbiamo assistito al rinsaldarsi dello stigma verso la malattia mentale, ossia verso le persone che, oltre a dover affrontare ogni giorno esclusione sociale e morale, si sentono osservate con sospetto e diffidenza come criminali. Non si è persa neppure l’occasione per invocare trattamenti sanitari obbligatori come terapia d’elezione nelle condizioni psichiatriche, ridando smalto a metodi di coercizione e segregazione.
Abbiamo seguito come sia stata avallata l’attribuzione di gradi di ‘civiltà’ alle persone che fuggono da zone di guerra. A seconda della distanza da noi, in termini di spazio e colorito corporeo, siamo autorizzati a ingrandire o a rimpicciolire la nostra umanità e la nostra empatia verso gli altri. Sappiamo anche che il criterio di definizione della distanza dell’altro non è unico, è scelto arbitrariamente di volta in volta in base alle convenienze del momento.
Nel sentire commentare le notizie dall’Ucraina come eventi mai visti in Europa dalla II Guerra Mondiale abbiamo visto sdoganata la nostra ignoranza della storia pur restandone (almeno noi) consapevoli. Le narrazioni ufficiali hanno completamente obliterato le tragedie europee avvenute nella seconda parte del 1900 e contratto pericolosamente la memoria prospettica: la situazione attuale è stata scritta da tempo e sono già tracciate le tappe di nuove aggressioni in quei luoghi in cui gli eventi di questi giorni stanno facendo rivivere alle persone sopravvissute i traumi del proprio passato.
"Ho dormito a malapena durante la notte che ha portato all'invasione [russa] dell'Ucraina", ha raccontato il poeta bosniaco Faruk Sehic alla giornalista di Al Jazeera Alma Milisic e, Selma Bacevac, psicoterapeuta sopravvissuta ai bombardamenti di Sarajevo ed emigrata negli Stati Uniti, ha aggiunto: "Quelli di noi [in Europa] che hanno subito un trauma di guerra, stanno guardando questi [eventi] in TV da un punto di vista diverso. (...) Ho ricevuto molti messaggi da persone nei Balcani che dicevano: 'questa persona mi assomiglia, questa assomiglia a mia zia, a mio padre'. [Le persone] vengono riattivate, ritraumatizzate".
L’attenzione e la responsabilità verso quello che decidiamo di condividere attraverso i social media ci preserva dall’amplificare le costruzioni ideologiche e distorte della realtà e preserva anche chi può imbattersi nei nostri contenuti potenzialmente attivanti.
La consapevolezza nel dosare le immagini e i video che raccontano la distruzione aiuta a proteggerci dalla desensibilizzazione verso le tragedie e le sofferenze che l’eccessiva esposizione trasforma, alle nostre percezioni, in eventi normali, attesi e inevitabili.
La proliferazione dei meme digitali e delle reazioni agli stessi che pure ha caratterizzato questi giorni di ricerca di aggiornamenti attraverso i social media può incrementare l’insensibilità delle persone e il loro distacco dalla realtà di una situazione, così come può contribuire a costruire una memoria sociale alterata che trasforma l’orrore in umorismo. Questo diventa preoccupante quando vengono a mancare altre fonti dirette e indirette della memoria collettiva all’interno di una comunità in un determinato contesto spazio-temporale.
Come definiti da Emily Wong e Keith Holyoak, i meme di solito si basano su un'immagine visiva che funge da fonte, il cui significato viene spostato su un nuovo argomento mediante l'aggiunta di testo verbale. Spesso la fonte e la destinazione provengono da domini semantici disparati, creando un senso di incongruenza e sorpresa. In riferimento alla ricerca sull’argomento, le autrici riportano che i meme servono a cristallizzare gli argomenti in forme compatte e facilmente condivisibili, fornendo un potente strumento di persuasione, mobilitazione e raggiungimento di un nuovo pubblico.
All'interno delle comunità che li fanno circolare, i meme riflettono un tentativo di gestire il presente, scrive nelle sue analisi Lisa Silvestri ricercatrice di etica della cultura digitale. Tuttavia, per le stesse spinte della tecnologia della comunicazione digitale e dei cicli infiniti di notizie, fissati sulle esperienze del momento presente, siamo portati a trasmettere frettolosamente messaggi disumanizzanti e a costruire memorie condivise distorte. Anche in questo caso una selezione consapevole e responsabile può rendere i meme uno strumento creativo per l’espressione collettiva, per sfidare le norme e screditare le narrazioni dominanti.
L’umorismo trasmesso dai meme, selezionati consapevolmente, può favorire l’elaborazione pubblica di eventi critici e tragici e creare un senso condiviso.
Allo stesso modo la scelta di momenti di silenzio può fornire lo spazio individuale per elaborare le notizie e per comunicare alla propria rete il raccoglimento e la riflessione. Al riguardo, alcune raccomandazioni conclusive:
- Dosare l’esposizione alle notizie durante la giornata
- Cercare le notizie da fonti affidabili
- Mettere gli eventi in prospettiva
- Condividere i contenuti d’autore specificandone il nome, in particolare se si tratta di giornaliste, giornalisti e fotoreporter indipendenti sul campo
- Sostenere i media indipendenti che selezionano accuratamente le notizie
- Mantenere i contatti con la propria rete sociale offline e online.
Immagine anteprima: via creativeboom > 26th February, 2022, Ukraine, Uzhgorod-Vyshne Nemeckoe: Refugees from Ukraine on the border with Slovakia (checkpoint "Uzhgorod-Vyshne Nemeckoe") in the Zakarpatya regions. — Photo by Fotoreserg