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Insegnanti o babysitter?

18 Marzo 2012 6 min lettura

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Insegnanti o babysitter?

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Galatea Vaglio - @IlTwitdiGalatea
@valigiablu - riproduzione consigliata

Hanno ragione a preoccuparsi, gli esperti di pedagogia a congresso, per l'estinzione nelle scuole di ogni ordine e grado (tranne l'Università) degli insegnanti maschi. Ad entrare in una scuola, sia pubblica che privata, dalle materne alle medie, pare di trovarsi in un gineceo: maestre e professoresse e basta. Qualche collega maschio si incontra più frequentemente alle superiori, ma nei restanti ordini sono rari da beccare come un vestito castigato addosso a Belen.

Dico subito che a me non fa piacere avere pochi colleghi del sesso opposto. Ma se dovessi indicare i motivi per cui ce ne sono così pochi, probabilmente ne elencherei anche qualcuno che gli esperti a congresso hanno sottovalutato, e cioè il nefasto, tremendo e orribile influsso che alcuni stereotipi di genere hanno avuto sulla scuola (pubblica e privata, su questo non c'è differenza) e che la rendono quello che oggi è.

I motivi per cui gli uomini non vanno volentieri a fare il maestro elementare o il professore alle medie (mentre sono più soddisfatti di finire al liceo e gongolano per un posto in Università) è perché, come giustamente dice anche l'articolo della Stampa, questi ruoli sono vissuti come scarsamente qualificanti dal punto di vista sociale e assai poco remunerativi dal punto di vista economico. Persino una donna, se dice di fare la maestra o la professoressa, viene guardata automaticamente dalla maggioranza delle persone come una povera sfigata che lavora sì poche ore al giorno ma viene pagata una miseria, molto meno, per dire, di una baby sitter. Per la donna però, soprattutto in Italia, l'idea che faccia l'insegnante è scusabile, perché, nella mentalità comune, si tratta in pratica di un lavoro part time, e quindi le viene concesso, anche se si tratta di una ragazza intelligente e che potrebbe fare cose “migliori”, faccia la maestra, perché così “può dedicarsi alla famiglia”, cioè pulire, stirare, spupazzare i bimbi e accudire gli anziani, visto che è risaputo che questo è un compito esclusivamente femminile, soprattutto data la cronica mancanza di strutture pubbliche.

Il risultato di tutto ciò è che le scuole sono ingorgate di donne, che hanno scelto questo lavoro perché era l'unico che consentisse loro un certo agio nel continuare a fare ciò per cui naturalmente pensano di essere state create, cioè seguire la loro famiglia, che deve sempre e comunque venire al primo posto, anche sul lavoro; se un uomo si dedica all'insegnamento, viene guardato con sospetto: è considerato più o meno come un pericoloso lavativo che non ha voglia di fare un mestiere “serio” e ne cerca uno part time, oppure come un fallito che non ha trovato di meglio.

Ma gli stereotipi a scuola fanno danni anche peggiori. Perché le stesse donne che fanno questo mestiere ne sono impregnate spesso fino alle midolla: e non è solo quello di essere state in qualche modo “costrette” a sceglierlo perché dava loro tempo libero per la famiglia, no, e quindi pretendere di essere scocciate poco con attività aggiuntive (no ai corsi di aggiornamento, perché rubano spazio alle cure dei loro figli e mariti, no a qualsiasi sperimentazione, perché bisogna spendere tempo a prepararsi e questo sottrae tempo per la famiglia!).

Il peggiore stereotipo che colpisce le insegnanti – e di cui anche l'articolo della Stampa e le considerazioni degli esperti sono un po' impregnati – è quello che le donne abbiano un certo tipo di “natura”, tutte, e sempre uguale, che le porta a essere per carattere più dolci, comprensive, portate a scusare, perdonare gli alunni, perché questo vuol dire essere “femminili”. Lo stereotipo della “grande mamma italica” insomma, che si trasforma in insegnante per bisogno di uno stipendio, ma è tenuta a comportarsi sempre da mamma e da femmina anche dietro la cattedra.

È incredibile come colleghe anche preparate siano vittime di questa forma di subdola aspettativa sociale e mentale, per cui in classe si sentono costrette a comportarsi in maniera dolce, il che spesso vuol dire non essere capaci a tenere a freno gli alunni, dare delle regole dure, capire la necessità, talvolta, di diventare anche severissime e farsi rispettare. Non ce la fanno, perché nella loro testa questi sono comportamenti “poco femminili”, che comprometterebbero la loro essenza di donna. E non crediate che sia un problema solo di quelle che hanno della donna una idea tradizionale. Quelle passate per il femminismo sono anche peggio, perché, convinte che tirare fuori il carattere sia sintomo di essersi piegate alla forma mentis maschile, sono là che tentano di gestire classi cercando strane vie di “femminismo” in cattedra, applicando la cosiddetta “sensibilità” femminile per sanare situazioni che invece vanno affrontate con un chiaro aut aut, o meglio “non si fa e basta”.

É una mentalità trasversale, e spesso assolutamente inconscia, quella che porta le donne, e gli uomini che lavorano nella scuola a pensare che la scuola vada gestita come una famiglia paciosa, dove le mamme sono buone e i padri nemmeno più tanto severi, perché gli uomini in questi contesti spesso si adeguano al peggio, e diventano delle macchiette di padri comprensivi invece che dei professori.
Così gli alunni sono accerchiati da questa caterva di vice padri e vice madri dolci e farfuglioni, che non insegnano più le materie che dovrebbero insegnare, ma comprendono e coccolano i ragazzi spesso per supplire, anche per una sorta di intrinseca generosità, a famiglie reali assenti e a genitori che non hanno tempo di occuparsene.

Il risultato è un generale decadimento della professionalità degli insegnanti, sia maschi che femmine, ormai considerati una cosa a mezzo fra il baby sitter e l'assistente sociale d'accatto, un tizio che serve a parcheggiare tuo figlio in un posto forse abbastanza sicuro per un po' di ore e nulla più, che deve motivarlo dandogli buoni voti ed evitandogli traumi, e se per evitarglierli deve anche evitare di insegnargli quello che sarebbe previsto, pazienza, povero piccolo, l'importante è che non resti deluso o frustrato.

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Allora, cari i miei esperti di pedagogia, il problema non è che l'insegnamento è una professione poco appetibile perché è mal pagata e poco socialmente considerata: è mal pagata e socialmente poco considerata perché ormai nella mentalità comune è diventata questo: una professione da donnetta frustrata che risponde ai peggiori stereotipi della donnetta.

Cominciamo a chiarire, anche agli insegnanti di nuova generazione, che se vogliono fare le mamme affettuose e i babbi comprensivi dei loro alunni hanno sbagliato mestiere: il professore non è un genitore supplente e frustrato, il professore è molto più affine al manager di un team aziendale. Come lui si trova a dover lavorare con la sua squadra per arrivare a obiettivi fissati: deve essere in grado di motivarla, di spronarla, di farla lavorare come una squadra, appunto, insegnando ai ragazzi a superare gli individualismi stupidi coltivando solo quella dose di individualismo che serve a far emergere una sana competizione. Che, come un manager, non sempre può scegliere tutti i suoi collaboratori ma lavorare con ciò che trova, valorizzando di ognuno quello che sa meglio fare, o aiutando ciascuno dei suoi collaboratori a scoprirlo. Che deve saper essere duro o morbido quando serve, ma anche fissare regole precise e raggiungere qualche risultato, perché se sei capace solo di dare pacchette sulla spalla a chi non ce la fa senza farlo migliorare di una anticchia sarai forse un essere umano tanto sensibile, ma come insegnante non vali una cippa. Perché gli insegnanti migliori non sono necessariamente quelli che sceglieresti come amici, ma quelli che ti insegnano qualcosa e alle volte ti costringono ad impararlo, guarda un po'.

A questo punto, tutto il discorso sul fatto che gli insegnanti siano maschi o femmine non dico che è inutile, ma è molto ridimensionato. Come in un ufficio non è poi così importante se il manager è un uomo o una donna, ma che raggiunga dei buoni risultati, così nella scuola i ragazzini e le ragazzine riconosceranno al di là del sesso la figura autorevole da quella no. Perché nella loro testa sarà finalmente chiaro che quella persona che merita rispetto perché sa fare bene il suo lavoro e per questo deve essere considerata un modello a cui ispirarsi non sarà un uomo o una donna, ma un insegnante bravo dell'uno o dell'altro sesso, e sarà stampato nelle loro menti che si può diventare insegnanti bravi e meritevoli di rispetto di qualsiasi sesso si sia. E finita là.

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