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Accordo di Parigi e cambiamenti climatici: a che punto siamo?

14 Dicembre 2020 6 min lettura

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Accordo di Parigi e cambiamenti climatici: a che punto siamo?

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Nessun paese ha ancora raggiunto gli obiettivi dell'accordo di Parigi, secondo il Climate Change Performance Index delle ONG Germanwatch e del NewClimate Institute.

Come nel 2019, i primi tre posti nell'indice di performance sui cambiamenti climatici di quest'anno sono rimasti vistosamente vuoti. E questo si spiega molto semplicemente – secondo gli oltre 100 esperti che hanno valutato i 58 paesi (compresa l'Unione Europea) responsabili del 90% delle emissioni globali di CO2 – col fatto che da parte di questi paesi sono mancati gli sforzi per la protezione del clima.

Le nazioni nell'elenco sono valutate sulla base del consumo di energia pro capite, nonché delle strategie utilizzate per ridurlo, della percentuale di energie rinnovabili nel mix energetico, della velocità con cui vengono adottate fonte di energia pulita e di ciò che i politici stanno facendo per attuare gli accordi sul cambiamento climatico a livello nazionale e internazionale.

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"C'è un progresso graduale in quasi ogni area. Ma è troppo lento e non corrisponde all'urgenza necessaria per proteggere il nostro pianeta", ha detto il professor Niklas Höhne del NewClimate Institute di Colonia, che analizza le attività di protezione del clima dei paesi in tutto il mondo.

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"Una cosa che emerge è che l'UE è migliorata in modo significativo", ha detto. "L'UE sta cercando di portare avanti politiche con obiettivi a lungo termine, e il nuovo obiettivo a breve termine è cercare di coinvolgere altri paesi in questo percorso. "Grazie a un punteggio molto più alto dovuto alla sua politica climatica, l'UE è avanzata di sei posizioni fino al 16° posto, e ha ricevuto la valutazione complessiva di "buono".

Ciò pone l'Unione Europea ben più avanti rispetto ad altri due principali paesi emettitori, gli Stati Uniti e la Cina. Proprio come l'anno scorso, gli Stati Uniti occupano l'ultimo posto (61) con la Cina al 33° posto a metà dell’elenco. Anche le nazioni dipendenti dal petrolio come Arabia Saudita (60) e Iran (59) sono in fondo all'indice.

Quali paesi hanno una buona performance

Secondo l'indice, la Svezia è il modello internazionale per il quarto anno consecutivo. Sebbene la nazione nordica non abbia fatto abbastanza bene da occupare uno dei primi tre slot e abbia ancora molta strada da fare per raggiungere gli obiettivi climatici di Parigi, ha fissato standard elevati in materia di emissioni di CO2, energie rinnovabili e politica climatica.

Non solo quest'anno è stata chiusa l'ultima centrale elettrica a carbone della Svezia, ma il paese ha dato il buon esempio al mondo con una tassa elevata sulla CO2 di circa € 115 per tonnellata, fornendo incentivi per lo sviluppo di alternative al carbone, al petrolio e gas. Solo l'elevatissimo consumo energetico pro capite ha impedito una posizione in classifica migliore.

La Svezia è seguita da Regno Unito, Danimarca, Marocco, Norvegia, Cile e India - in quest'ordine - tutte con una valutazione "alta". Anche Finlandia, Malta, Lettonia, Svizzera, Lituania e Portogallo hanno ottenuto la stessa valutazione.

Germania e Brasile solo al centro della classifica

Fino al 2009, la Germania è stata un modello nella protezione del clima, arrivando addirittura al primo posto nel 2008. Ma negli anni successivi, le sue prestazioni si sono avviate su una traiettoria discendente. Le uniche eccezioni sono state il 2012 e il 2013, quando l'espansione delle energie rinnovabili è esplosa in Germania a seguito del disastro nucleare di Fukushima.

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Nel 2018, la Germania era scivolata al 27° posto su 61. Nel 2020, tuttavia, è risalita fino al 19° posto. Secondo gli autori dell'indice, la Germania ha una performance mediocre per quanto riguarda l'espansione delle energie rinnovabili, sta facendo progressi lenti nella riduzione di CO2 nel settore dei trasporti e deve ridurre il proprio consumo energetico pro capite e le emissioni di CO2.

"La valutazione 'media' potrebbe essere migliorata con obiettivi di espansione più ambiziosi per le energie rinnovabili e correzioni significative nei settori dei trasporti e dell'edilizia, nonché nell'eliminazione graduale del carbone", afferma Jan Burck, autore principale del rapporto che lavora per l’ONG per l’ambiente e lo sviluppo, Germanwatch.

Sempre a metà della lista ci sono Croazia (18), Ucraina (20), Egitto (22), Francia (23), Indonesia (24) e Brasile (25).

"Il problema con il Brasile è l'aumento della deforestazione", afferma il ricercatore sul clima Höhne. "E l'Amazzonia non è rilevante solo per le emissioni di gas serra, ma anche per l'intero clima globale".

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Se nella foresta pluviale amazzonica si continuerà con la deforestazione, potrebbe esserci un punto di svolta perché il clima sta cambiando in tutta la regione, con conseguenze di vasta portata per l'approvvigionamento di acqua potabile e il clima globale.

"La foresta pluviale allora non sarebbe più una foresta pluviale e si verificherebbero siccità e incendi", continua Höhne. "Sarebbe catastrofico. Ecco perché questo non è importante solo per il Brasile ma per il mondo intero. E il trend è molto, molto negativo".

Il pacchetto di aiuti per il coronavirus è decisivo per il futuro del clima

Negli ultimi mesi, la Cina e una serie di altri paesi hanno dichiarato la loro intenzione di ridurre le loro elevate emissioni di CO2 a zero, la maggior parte entro il 2050, la Cina entro il 2060. Il presidente eletto Joe Biden vuole rendere gli Stati Uniti neutrali dal punto di vista climatico entro il 2050 e la produzione elettrica “carbon-free” entro il 2035.

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Gli esperti dell'indice climatico vedono questi annunci come un segnale molto importante che l'urgenza della questione è stata compresa e che i paesi vogliono davvero fare di più per il clima.

"Il numero significativo di paesi che hanno compreso l'importanza di diventare neutrali dal punto di vista climatico significa che non è più possibile ignorare la questione climatica", ha detto Höhne. "L'argomento ‘non ha senso fare qualcosa perché gli altri non lo fanno’ non regge più".

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Höhne vede "timidi progressi" e pensa che la crisi del coronavirus offre l'opportunità di imprimere una svolta. Ciò che è importante ora è come verranno spesi i miliardi stanziati per gli aiuti per riprendersi dalla pandemia e se il denaro verrà investito in un'economia a emissioni zero.

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"C'è molto spazio di manovra per andare nella giusta direzione, ma anche in quella sbagliata", afferma Höhne. "Se le cose andranno male, sarà molto difficile salvare il clima. Ne sono convinto, semplicemente perché non spenderemo più questo ammontare di soldi per i prossimi 10 anni".

*Articolo pubblicato su DW e tradotto in italiano con la loro autorizzazione

Foto di Dominic Wunderlich via Pixabay

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