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‘Love Jihad’, la teoria del complotto usata dall’ultradestra al potere in India per impedire i matrimoni interreligiosi

20 Marzo 2021 7 min lettura

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‘Love Jihad’, la teoria del complotto usata dall’ultradestra al potere in India per impedire i matrimoni interreligiosi

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Ayesha ha 29 anni. Santosh anche. I loro veri nomi sono altri, non possono dichiararli pubblicamente per proteggersi. Tutti e due sono nati a Gujarat, uno Stato dell'India occidentale. Iscritti alla stessa università, lei ha studiato economia, lui la lingua gujarati. Si sono conosciuti nel 2009 quando hanno frequentato insieme un corso di lingua hindi. Hanno cominciato a vedersi, sono diventati amici e due anni dopo, quando Ayesha ha chiesto a Santosh se provasse qualcosa per lei e, nel caso, di spiegarle il motivo per cui non glielo avesse detto esplicitamente, hanno capito di essersi innamorati.

Il sentimento era ricambiato ma Santosh sapeva che ammetterlo avrebbe significato per entrambi l'inizio di una strada tutta in salita.

Sia Ayesha che Santosh appartengono alla classe media indiana: il padre di Ayesha gestiva una piccola impresa locale, quello di Santosh, con un passato da fotografo freelance, era impiegato all'università.

Ayesha è musulmana, Santosh è un dalit. Esclusi dalle quattro caste che compongono l’organizzazione sociale induista, un tempo i dalit erano definiti “intoccabili” perché tradizionalmente connessi ad attività considerate impure.

Quando hanno deciso di stare insieme i due giovani erano consapevoli delle conseguenze che avrebbe scatenato quell'amore “vietato”.

«In Gujarat essere una coppia interreligiosa è un grosso problema», ha raccontato Santosh a BBC News. «Non puoi incontrarti, non puoi parlare, non puoi fare niente».

Ma ormai i due ragazzi avevano deciso che avrebbero affrontato qualsiasi avversità insieme. Una volta iniziata la relazione Santosh ha promesso ad Ayesha che non sarebbe più tornato indietro.

Ad impedire l'unione tra Ayesha e Santosh, oltre alle famiglie, le autorità con una nuova, controversa legge anti-conversione che criminalizza l'amore interreligioso tra coppie indù-musulmane.

Il 28 novembre 2020, la governatrice di Uttar Pradesh, Anandiben Patel, eletta con il Bharatiya Janata Party (BJP) – il partito nazionalista indù del primo ministro Narendra Modi – ha firmato una legge che vieta, per la prima volta in uno Stato indiano, la "conversione illegale" che avviene con la forza, con mezzi fraudolenti o anche attraverso il matrimonio.

Il provvedimento è stato adottato in risposta a quello che i gruppi indù di destra chiamano "il jihad dell'amore", un'espressione che si basa su una teoria del complotto che accusa gli uomini musulmani di ricevere fondi dall'estero per acquistare vestiti costosi, automobili e regali, talvolta fingendosi indù, per circuire donne con il solo scopo di convertirle all'Islam. Scrive Matteo Miavaldi su Il manifesto, secondo questa teoria "la comunità musulmana – 15% della popolazione indiana – si starebbe adoperando per raggiungere la «sostituzione demografica» della comunità hindu – 80% della popolazione indiana – seducendo, sposando e convertendo le ragazze hindu... La leggenda metropolitana della «Love Jihad», fino a qualche anno fa, era diffusa solo tra le frange più paranoiche dell’estremismo hindu. È nata ufficialmente nello Stato meridionale del Kerala, dove le sigle giovanili dell’ultrainduismo organizzavano ronde nei parchi e sui lungomari per stanare e malmenare coppiette interreligiose in cerca di intimità".

In realtà, dietro all'approvazione dell'ordinanza, c'è il tentativo di preservare la maggioranza indù della popolazione dell’India.

In base a quanto stabilito dalla nuova legge, che prevede per i trasgressori pene fino a dieci anni di carcere, un matrimonio viene dichiarato "nullo" se la conversione di una donna è legata esclusivamente a questo scopo. Inoltre, coloro che desiderano convertirsi a un'altra religione, dopo che l'unione è stata già celebrata, hanno l'obbligo di rivolgersi al magistrato distrettuale.

Da quando la normativa è entrata in vigore varie coppie sono state arrestate (alcune anche rilasciate dopo che le mogli indù hanno dichiarato di non essere state forzate o obbligate dai rispettivi consorti musulmani) e altri Stati indiani o hanno approvato una legge analoga, come il Madhya Pradesh anch'esso governato dal BJP, o stanno pensando di introdurla, come il Gujarat, lo Stato di Ayesha e Santosh. Per questo motivo le coppie decidono di lasciare le proprie città di origine e sposarsi in quelli che considerano luoghi "più sicuri" come Delhi.

Campagne così forti contro le unioni interreligiose non sono nuove in India, come spiegato da BBC News.

Sullo sfondo delle crescenti tensioni religiose negli anni 1920 e 1930, in alcune aree dell'India settentrionale, gruppi nazionalisti indù lanciarono una campagna contro il "rapimento" di mogli indù, per mano di uomini musulmani, chiedendone il rilascio.

Per impedire che ciò si ripetesse fu anche istituita nelle Province Unite (ora Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell'India) un'apposita unità. Nel 1924 un funzionario musulmano della città di Kanpur fu accusato di "aver rapito e sedotto" una ragazza indù e di averla convertita con la forza. A seguito del presunto sequestro un gruppo indù chiese il "recupero" della donna dalla casa del burocrate.

Il rapimento di donne indù è stato anche argomento di discussione in parlamento nell'India coloniale. Nel 1946 l'Indian National Congress – l'attuale partito di opposizione – approvò una risoluzione in cui si affermava che le donne che erano state rapite e sposate con la forza dovevano essere riportate nelle loro case, che le conversioni di massa non avevano alcun significato o validità e che alle persone doveva essere data l'opportunità, se lo avessero voluto, di tornare alla propria vita.

Per gli studiosi le somiglianze tra le varie campagne del "jihad dell'amore" del passato e del presente sono sorprendenti. La differenza sta nella risonanza ottenuta da quella portata avanti, con forza, dal partito attualmente al governo.

Attualmente per poter essere riconosciuti in India i matrimoni interreligiosi devono essere registrati ai sensi dello Special Marriage Act che richiede un periodo di preavviso di 30 giorni per studiare la documentazione presentata. In quel lasso di tempo le coppie vivono nella paura di rappresaglie, come è successo ad Ayesha e Santosh.

Dopo la laurea, nel 2012, la coppia si è incontrata sporadicamente. Gli appuntamenti, di brevissima durata, sono sempre avvenuti in luoghi pubblici per non destare sospetti.

«Ci incontravamo con i volti coperti», ha rivelato Santosh.

Gli altri contatti avvenivano telefonicamente.

«I nostri numeri erano salvati in rubrica sotto nomi inventati oppure ci chiamavamo da altri telefoni», ha aggiunto il ragazzo. Poiché la famiglia di Ayesha ascoltava le telefonate, Santosh ha perfino cercato di imitare voci femminili.

Quando i genitori di Santosh hanno scoperto la relazione del figlio hanno insistito per fargli sposare un'altra ragazza. Allo stesso modo il padre e il fratello di Ayesha hanno fatto pressioni per spingerla a unirsi in matrimonio con un cugino.

Ciononostante Santosh e Ayesha hanno cercato di ufficializzare la loro unione a Gujarat presentando domanda per registrare il matrimonio ai sensi dello Special Marriage Act. Il tentativo non è andato a buon fine perché bloccato da un impiegato che, leggendo il nome di Ayesha nei documenti, ha allertato il padre.

In un ultimo tentativo disperato Santosh ha cercato di pagare un avvocato che li aiutasse con la pratica ma l'uomo si è rifiutato.

«Nessun funzionario ha accettato di aiutarci. Nessun avvocato avrebbe mai adottato il nostro caso. Trattandosi di un matrimonio interreligioso sarebbe pericoloso per loro. Ci hanno detto di non farlo», ha spiegato.

Non avendo altra scelta la coppia ha deciso di scappare. Partiti il 22 gennaio sono arrivati a Delhi con l'obiettivo di sposarsi.

Durante il volo che li ha portati nella seconda città più popolosa dell'India per la prima volta sono riusciti a trascorrere un po' di tempo insieme.

Arrivati a Delhi Ayesha e Santosh si sono rivolta a Dhanak, una ONG nata a sostegno delle coppie interreligiose e di quelle formate da membri di caste diverse, che li ha aiutati a trovare un alloggio che condividono con un'altra coppia di Uttar Pradesh. Successivamente hanno informato i genitori e le rispettive stazioni di polizia di aver scelto di vivere a Delhi, senza rivelare l'indirizzo.

Ogni anno, circa 1.000 coppie interreligiose entrano in contatto con Dhanak quando le loro famiglie negano il permesso di sposarsi. Tra le coppie che si rivolgono alla ONG il 52% è composto da donne indù che vogliono sposare uomini musulmani e il 42% da donne musulmane che sperano di unirsi a uomini indù.

«Sia le famiglie indù che quelle musulmane in India si oppongono fortemente ai matrimoni interreligiosi», ha detto Asif Iqbal, fondatore di Dhanak.

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«Farebbero qualsiasi cosa pur di fermarli. I genitori arrivano a diffamare le proprie figlie per dissuadere le famiglie dei fidanzati. Il cosiddetto “jihad dell'amore” è un'altra arma per scoraggiare queste relazioni», ha aggiunto Iqbal.

Attualmente sia Ayesha che Santosh stanno cercando lavoro e sebbene siano preoccupati e spaventati vanno avanti sostenendosi a vicenda.

Per Ayesha l'amore è sacrificio. Per Santosh, nonostante si dica che l'amore è cieco non lo è. Perché è l'odio ad esserlo.

Immagine anteprima Manisha Yadav via Janayugom Daily

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