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Numerosi incendi e un’ondata record di calore stanno provocando uno scongelamento senza precedenti dei ghiacciai dell’Artico

1 Settembre 2020 3 min lettura

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Numerosi incendi e un’ondata record di calore stanno provocando uno scongelamento senza precedenti dei ghiacciai dell’Artico

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Il 20 giugno, la città russa di Verkhoyansk, nel Circolo Polare Artico, ha registrato l'allarmante temperatura di 38 gradi centigradi. L'11 agosto, la stazione Eureka di Nunavut, che si trova nell'Artico Canadese, ha registrato una massima di 21.9 gradi. Stiamo assistendo a un’ondata di calore senza precedenti nell'Artico.

Gli incendi di torba artica della Siberia delle ultime settimane hanno a loro volta provocato un aumento delle temperature e liberato diossido di carbonio nell’aria. A oggi, la quantità di diossido di carbonio emessa nella regione a causa degli incendi è già il 35% superiore alla quantità totale registrata nel 2019, scrive il Guardian.

Gli ultimi dati, forniti dal servizio di monitoraggio atmosferico Copernicus dell'Unione europea, aggiornati al 24 agosto, mostrano infatti che quest'anno sono state rilasciate 245 mega tonnellate di anidride carbonica, mentre la cifra per tutto lo scorso anno è stata di 181 mega tonnellate.

Si stima che, soltanto nel mese di giugno, gli incendi nell'Artico abbiano emesso l'equivalente di 56 mega tonnellate di anidride carbonica, oltre a importanti quantità di monossido di carbonio e particolato. Questi incendi influiscono su radiazioni, nuvole e clima su scala regionale, e globale.

“Anche se il caldo clima estivo non è raro nell'Artico, la regione si sta scaldando due o tre volte di più rispetto alla media globale con un impatto sulla natura e sull'umanità su scala globale”, allerta l’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Il mese di luglio è stato il terzo luglio più caldo mai registrato per il pianeta, con temperature di 0.5 gradi centigradi sopra la media. E per l'emisfero nord questo è il luglio più caldo da quando sono iniziate le rilevazioni, superando il record precedente stabilito nel 2019. L'ondata di caldo artico contribuisce allo scioglimento del permafrost, che rilascia metano e anidride carbonica, aggiungendo gas serra nell'atmosfera. Questo fenomeno, a sua volta, provoca un ulteriore riscaldamento e un ulteriore scongelamento del permafrost.

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A maggio, lo scioglimento del permafrost ha causato il crollo di un serbatoio di carburante che ha riversato più di 20.000 tonnellate di gasolio nei fiumi vicino alla città di Norilsk, Russia.

L’esperta di incendi della Miami University of Ohio, Jessica McCarty, avverte che la situazione potrebbe essere persino peggiore di quel che si pensa. Secondo McCarty, i volumi delle emissioni calcolate dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service dell'Unione europea sarebbero sottostimati. Una situazione dovuta al fatto che i satelliti si limitano agli incendi boschivi ma non rilevano i cosiddetti “incendi zombie” nell'Artico siberiano, ossia quegli incendi che bruciano sotto la superficie senza fiamme, consumando materia organica e liberando metano e anidride carbonica nell’area, si legge sul Sole 24 Ore.

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In base a uno studio del geologo Glenn Stracher, riporta sempre Il Sole 24 Ore, la combustione sotterranea della torba potrebbe essere responsabile del 15% delle emissioni globali. Questi incendi e la fusione del permafrost hanno messo in moto un circolo vizioso che si auto-alimenta e accelera l'emergenza climatica.

"Senza un'azione concertata per il clima, il mondo continuerà a sentire gli effetti del riscaldamento dell'Artico", scrive l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) nel suo comunicato.

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