In diretta dall’Egitto: giustizia fai da te?
4 min letturaSono trascorsi nove giorni dalla sentenza finale per il massacro di Port Said.
Come da previsione (ne parlammo QUI), il risultato ha provocato una reazione di violenza che ha ucciso tre persone al Cairo, tra cui un bimbo di 8 anni, e ferito venti persone.
Nonostante sia stata confermata la pena di morte per i 21 accusati dell'omicidio dei giovani tifosi allo stadio, sia stato condannato a 15 anni Essam Samak, ex responsabile della sicurezza di Port Said, siano stati condannati a pene che vanno dai 5 ai 15 anni altri dieci imputati, nonostante tutto questo gli ultras dell'Ahly non si sono sentiti soddisfatti. Sono 28, infatti, le persone assolte tra cui poliziotti e responsabili del club di Port Said, e questo non è stato digerito dagli ahlawy che in un'esplosione di violenza hanno dato fuoco alla sede della Federcalcio egiziana e al circolo della polizia.
Moltissime coppe e trofei della storia del calcio egiziano sono stati trafugati e la colpa è ricaduta sugli ultras dell'Ahly.
Il campionato di calcio, però, non è stato fermato.
Mentre al Cairo accadeva tutto questo, a Port Said le famiglie dei condannati a morte si sono riversate nelle strade per protestare contro la sentenza e naturalmente contro Morsi.
In un discorso alla nazione, tenutosi lo scorso giovedì, Morsi ha parlato proprio a Port Said, dopo aver incontrato tre famiglie che avevano perso i propri cari durante gli scontri che, da fine gennaio scorso, non sono quasi mai cessati nella città. Il presidente ha dichiarato che tutte le persone decedute nei suddetti scontri saranno considerate 'martiri'.
Ad oggi sono circa 50 le persone che hanno perso la vita a Port Said e le famiglie delle vittime riceveranno l'indennizzo monetario riservato ai 'martiri della rivoluzione'.
Il motivo che sicuramente ha peggiorato una situazione già complicata è stato lo sciopero intrapreso da molti poliziotti e distretti di polizia che chiedevano il permesso di utilizzare le armi e di portarle durante le manifestazioni.
Per venire incontro alle richieste, il ministro degli interni ha dato libertà di 'difesa personale' ai poliziotti dopo l'utilizzo prima di gas lacrimogeni e poi di proiettili di gomma.
Il settimo giorno di sciopero, per spingere la polizia a tornare a lavorare, il procuratore generale, Talaat Ibrahim, in una nota pubblica ha dato via libera alla 'giustizia fai da te'.
Questa possibilità era prevista fin dal 1950 nel codice penale egiziano ed il procuratore, nella sua dichiarazione, ha invitato i cittadini egiziani ad esercitare il diritto sancito dall'articolo 37 di arrestare e di consegnare alle autorità chiunque sia colto in flagranza di reato.
Temo saranno pericolosissime le conseguenze che potranno derivare da questa legge. Non tanto per il significato, ma per l'uso improprio che potrà farne quella fetta di egiziani ignoranti, appartenenti a gruppi fanatici religiosi o protettori dei Fratelli (non) Musulmani.
Purtroppo queste persone si ritengono salvatori e protettori dei diritti e della moralità sociale ed il fatto che sia stata data loro legittimità di azione proprio dal procuratore, anche se in maniera indiretta, non potrà fare altro che spingerli ad agire con ancora più convinzione e forza.
Oggi, a Samanod, nel Delta del Nilo, due ladri colti nel tentativo di rubare (sembra) due tuc- tuc (mezzi di trasporto composti da un motorino e dei sedili coperti) sono stati 'arrestati' da un folla, picchiati a sangue, denudati ed appesi a testa in giù alla fermata dei pullman dove erano stati sorpresi a rubare.
Sono entrambi deceduti e testimoni raccontano di un'enorme folla, di circa tremila persone, tra cui donne e bambini, che urlava "uccideteli" .
Le foto dell'accaduto girano in rete e sono inguardabili.
Troppa violenza, troppa inumanità, troppa aggressività.
La polizia non è riuscita a raggiungere subito il luogo dell'accaduto perché le strade erano bloccate da manifestanti che chiedevano una soluzione alla dilagante mancanza di gasolio.
Sinceramente sono rimasta sconvolta, sia dalle immagini, sia dai commenti di egiziani che elogiavano l'accaduto come fosse un avviso ai delinquenti e un esempio di ciò che potrebbe loro capitare.
Sabato scorso, davanti al quartier generale dei Fratelli (non) musulmani, un gruppo di sostenitori della fratellanza ha selvaggiamente picchiato alcuni manifestanti anti Morsi che stavano disegnando dei graffiti anti governo.
Una donna, conosciuta dalla rete come grande sostenitrice del vecchio regime Moubarak, è stata schiaffeggiata violentemente.
Gli scontri sono continuati fino a sera quando manifestanti anti Morsi hanno dato fuoco ad una camionetta della polizia, davanti alla sede della fratellanza.
Avere la libertà di decidere o di impersonare la legge è quanto di peggio potesse capitare all'Egitto in un momento come questo.
Da qualsiasi lato si voglia affrontare la questione, non si potrà mai giungere ad un punto abbastanza convincente e civile da giustificare 'la giustizia fai da te'.
Il turbine di violenza che potrebbe scaturire a causa di semplici azioni di delinquenza, come aver rubato, o atti di libertà, come aver disegnato un graffito, è paragonabile ad una bomba ad orologeria con i secondi contati.
Le forze armate si sono dette contrarie a qualsiasi tipo di 'milizia' e sono convinta che bisognerebbe cancellare quest'articolo o crearne un altro che lo definisca in maniera più chiara.
Insomma, lo Stato deve quanto prima trovare una soluzione, perché l'invito ad avvalersi di questa legge è l'unica cosa che mi ha davvero spaventata dall'inizio della Rivoluzione ad oggi.
La scorsa settimana manifestanti sono scesi in strada al Cairo ed in altre città chiedendo l'intervento dell'esercito.
La gente crede che riportare l'esercito al governo restituirà all'Egitto la stabilità e la tranquillità (di facciata) che c'erano al tempo di Moubarak.
Quelle che vogliono l'esercito sono persone che la Rivoluzione non l'hanno mai veramente voluta o che speravano che tutto si sistemasse in poco tempo.
Ovviamente ciò non è possibile e ci vorranno anni prima che l'Egitto torni ad essere realmente stabile in ogni senso.
Ma più che politicamente vorrei che gli egiziani si stabilizzassero mentalmente.
Perché è da pazzi e criminali urlare di gioia nel vedere due ladri appesi a testa in giù, mezzi nudi e sanguinanti.
E se il Popolo, una parte, anche se minima, gioisce di fronte alla violenza, allora c'è qualcosa di sbagliato proprio alla base.
Voglio terminare questo post dedicando un pensiero, profondo e da mamma, al bimbo di 8 anni rimasto ucciso durante gli scontri della scorsa settimana.
Un bambino forse di strada, forse un venditore ambulante, ora un martire della Rivoluzione.
Questi bambini, questi angeli, sono una triste realtà di questo paese, ma soprattutto sono martiri anche da vivi, martiri di una società e di un governo che vuole prepotentemente andare avanti senza fermarsi neanche un secondo a guardarli.
Jasmine Isam
Jasmine Isam è nata a Roma da padre egiziano e madre italiana. Dal 1997 vive al Cairo con il marito archeologo col quale gestisce un’agenzia di viaggi. Mamma di due bambini sostiene la Rivoluzione alla quale partecipa in piazza e attraverso un suo blog che stiamo ospitando.