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In diretta dall’Egitto: assalto al Palazzo

5 Dicembre 2012 4 min lettura

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In diretta dall’Egitto: assalto al Palazzo

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Fino al 25 gennaio 2011 nessun egiziano aveva mai sostato davanti al palazzo presidenziale di Moubarak.
Le strade ad esso adiacenti erano completamente blindate, i negozi chiusi, i palazzi pieni di telecamere. Solo per i pochi eletti del regime, il palazzo presidenziale non era off limits.

Durante la Rivoluzione, che ha buttato giù il regime trentennale di Moubarak, le manifestazioni a oltranza in piazza Tahrir erano bastate. Tra molotov, cecchini, sassate e cammelli, il popolo aveva vinto.
Solo una volta si era arrivati nelle vicinanze del palazzo presidenziale, ma nessuno aveva mai osato avvicinarvisi.
Perché Moubarak era off limits, così come il suo palazzo.

Ieri, invece, la folla si è ritrovata proprio lì, davanti al palazzo.
Le vie piene di egiziani che manifestavano al grido di "erhal", "vattene", lo stesso grido riservato al vecchio rais che se la riderà sotto i baffi, in questi giorni, nella sua cella.
A nulla sono servite le reti spinate messe per evitare che la folla si avvicinasse troppo al palazzo.
I manifestanti le hanno distrutte ricevendo in cambio dalla polizia gas lacrimogeni.
La folla è però riuscita ad arrivare proprio davanti alle mura di cinta e qualcuno ha anche provato a tirare sassi all'interno della sede presidenziale.
La guardie, con uno sparo in aria dall'interno, hanno fatto passare a tutti la voglia di osare di più.

E sono rimasti lì i manifestanti, per tutta la notte, mentre Morsi, dopo un incontro con il governo per definire i dettagli del referendum, è stato portato via dalle guardie di sicurezza, per protezione.

La polizia non ha impedito le manifestazioni, come accadeva ai tempi di Moubarak. Nessuna manganellata, nessuna violenza, anzi. Hanno lasciato i manifestanti salire sulle camionette, dove in molti si sono messi a ballare e cantare sventolando la bandiera egiziana.
Erano circa 200.000 persone quelle davanti al palazzo del presidente ieri sera, e non 25 milioni come si legge dappertutto in rete.
E non tutti gli egiziani sono d'accordo con quanto è accaduto ieri.
200.000 persone non sono l'Egitto intero.

Ieri, davanti al palazzo, sono state sistemate delle tende dai manifestanti a oltranza e stamani Morsi è tranquillamente rientrato.

Qualche ora fa, il vice presidente Mekki, in una conferenza stampa, ha invitato il Fronte di salvezza nazionale, costituito dalle forze di opposizione, ad incontrare il governo Morsi per parlare di un accordo e della Costituzione. Sono circa quindici gli articoli della nuova Costituzione reputati ambigui e non chiari sui quali il vice Presidente ha invitato l'opposizione a discuterne.

Mentre vi scrivo le strade davanti al palazzo sono nuovamente piene e stavolta sono scesi in piazza anche i sostenitori di Morsi e i Fratelli (non) Musulmani.
Delle immagini alla tv,  poco fa, hanno mostrato degli assegni che i sostenitori di Morsi avrebbero trovato in alcune tende distrutte da loro.

Non condivido assolutamente gli atti avvenuti ieri sera.
E come me migliaia e migliaia di egiziani, come me non sostenitori di Morsi e nemmeno dei Fratelli (non) Musulmani.
Mi chiedo perché arrivare a gesti così estremi.
Moubarak, che ha distrutto questo paese, inquinando le acque e le terre, facendo vivere per strada tre milioni di bambini, rendendo analfabeta il 40% del popolo, non garantendo nessuno dei diritti umani fondamentali, non ha ricevuto tanto.

Nessuno impedisce a chi si oppone al decreto di manifestare. È giusto ed è un diritto inviolabile.
Ma per quello c'è piazza Tahrir, il simbolo della Rivoluzione.
Allora è bastata la piazza a rimuovere un regime, perché adesso la piazza non basta più?

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La folla è ormai intrisa di sostenitori di Moubarak e di Shafik, mischiati ai sostenitori dei liberali e ai sostenitori della democrazia e della Rivoluzione, tutti insieme ancora con uno scopo sulle labbra e uno differente nel cuore.

Oggi l'enittente Al Arabiya ha fatto sapere che Morsi sta prendendo in considerazione l'annullamento anticipato del decreto.
Chissà se è vero o meno, il discorso del suo vice non parlava di una cosa del genere.
Sarebbe invece ottimo se lo facesse davvero e per tempo, prima che qualcuno ci rimetta la vita un'altra volta.

Jasmine Isam
Jasmine Isam è nata a Roma da padre egiziano e madre italiana. Dal 1997 vive al Cairo con il marito archeologo col quale gestisce un’agenzia di viaggi. Mamma di due bambini sostiene la Rivoluzione alla quale partecipa in piazza e attraverso un suo blog che stiamo ospitando.

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