Bambini e adolescenti tra i più esposti all’impatto indiretto della pandemia
9 min letturaLe bambine, i bambini e gli adolescenti hanno subito con minore incidenza e gravità l’impatto diretto dell’infezione da virus SARS-CoV-2 ma sono tra i più esposti all’impatto indiretto della pandemia.
Assieme alle persone anziane che hanno già sofferto le conseguenze più devastanti del contagio incontrollato, agli operatori sanitari e assistenziali e alle persone che già si trovavano in condizioni di fragilità fisica o psicologica, i più giovani dovranno affrontare le maggiori conseguenze psicosociali a lungo termine della pandemia e delle prolungate misure di contenimento dell’infezione decretate per l’intera popolazione.
Nelle prime settimane di restrizioni, nonostante le informazioni frammentarie e contraddittorie, si è osservato un graduale adattamento ai nuovi comportamenti da intraprendere per proteggersi e proteggere. La situazione è diventata più critica a partire dal 4 aprile con il prolungamento della quarantena e con le incertezze legate alla durata delle misure di contenimento e della transizione verso la ripresa delle attività produttive. Nel secondo mese di quarantena siamo diventati più consapevoli che non torneremo alla normalità pre-pandemia sia per i profondi cambiamenti già verificatisi nelle vite di tanti sia per le trasformazioni individuali e collettive che seguiranno.
La misura più drastica e di lunga durata – la chiusura delle scuole – comporterà, con l’avvicinarsi della stagione estiva, un periodo di almeno sei mesi di allontanamento di alunne/i e studenti/esse dalle proprie classi e di permanenza esclusiva nel contesto familiare.
Inoltre, la quarantena ha reso ancor più evidenti e ha accentuato le disuguaglianze nell’accesso dei più giovani alle opportunità di apprendimento e di socializzazione.
Gli effetti della deprivazione sociale sulla crescita
In generale, i bambini e le bambine presentano notevoli capacità di adattamento ai cambiamenti di contesto. Nel primo periodo di quarantena, in molte case, hanno fornito essi stessi ai genitori le motivazioni per affrontare giornate alle quali trovare nuove strutture e abitudini per mantenere un salutare equilibrio. Alcuni possono avere manifestato paura, irritabilità, scarsa iniziativa e sono riusciti ad affrontarli ricevendo dagli adulti informazioni chiare e adatte all’età, rassicurazioni sulle condizioni dei propri cari, spazi per esprimere le proprie emozioni, regolarità negli impegni della nuova quotidianità. I più fragili, che avevano già vissuto un trauma, che affrontano un disordine del neurosviluppo o una condizione di disabilità possono aver mostrato una regressione, aver richiesto molte più attenzioni o aver manifestato sintomi ansiosi rilevanti. Con il prolungamento della quarantena la situazione si è complicata. Mentre per i più piccoli, i bisogni relazionali possono essere soddisfatti almeno temporaneamente dagli adulti di riferimento, per gli adolescenti, che stabiliscono relazioni più complesse con i coetanei, la deprivazione sociale può avere effetti a lungo termine sulla salute psicologica.
L’adolescenza, oltre ai cambiamenti biologici e ormonali della pubertà, può essere considerata un periodo sensibile per lo sviluppo sociale, parzialmente dipendente dalla maturazione di quelle aree cerebrali implicate nella percezione e cognizione sociale, affermano Amy Orben, Livia Tomova e Sarah-Jane Blakemore in un articolo in corso di revisione.
Le autrici sottolineano come l’adolescenza sia anche un periodo di alta vulnerabilità per le difficoltà psicologiche, se si tiene conto che il 75% dei disturbi mentali esordisce prima dei 24 anni di età. Inoltre, l’ambiente sociale può essere sia un fattore di rischio in caso di bullismo e esclusione, sia un fattore protettivo in caso di buone relazioni. Si può quindi ipotizzare, secondo le ricercatrici, che la deprivazione sociale possa avere un impatto sullo sviluppo cerebrale e comportamentale nell’adolescenza ma è necessario studiare più a lungo questi aspetti.
Tuttavia, a mitigare gli effetti potenzialmente negativi dell’assenza di interazioni faccia a faccia, potrebbero essere i telefonini e le reti sociali digitali che i più giovani stanno utilizzando su larga scala proprio per restare connessi ai propri pari e ai propri familiari. È quanto sostengono Orben e colleghe, riportando le evidenze finora disponibili e richiamando all’uso differenziale dei social media: l’uso attivo (scrivere post, lasciare commenti oppure inviare messaggi) si dimostra efficace nel migliorare il benessere e nel mantenere le relazioni mentre l’uso passivo (scorrere ripetitivamente i post altrui), incrementando la competizione e l’invidia, si dimostra non migliorare ma avere effetti negativi sul benessere. Sono quindi indispensabili studi che permettano di identificare l’impatto a breve e lungo termine della deprivazione sociale e che analizzino gli effetti differenziali del coinvolgimento attivo o passivo nelle interazioni digitali per comprendere meglio gli effetti della pandemia sugli adolescenti.
La chiusura delle scuole
In tutto il mondo, tra le misure per contenere il contagio, la chiusura delle scuole è stata adottata da 188 paesi e interessa più di 1.5 miliardi di bambine/i e ragazze/i, riporta l'UNESCO. La didattica a distanza è intervenuta a mitigare l’interruzione del percorso di apprendimento. Tuttavia, non ha coinvolto né la totalità di alunne/i e studenti, né tutti gli insegnanti e docenti a causa delle pregresse e profonde disuguaglianze nell’accesso alle tecnologie e nelle competenze digitali.
La didattica a distanza non risulta al momento sufficientemente inclusiva per bambine/i e ragazze/i con disordini dello sviluppo, disabilità e necessità di seguire programmi individualizzati o personalizzati. Le abitudini scolastiche per quanto possano essere difficili da acquisire rappresentano una delle principali risorse di adattamento e di espressione delle potenzialità individuali. La mancanza di interazioni faccia a faccia e la più complessa strutturazione della classe digitale limitano attualmente l’adattamento e la partecipazione. Inoltre, l’interruzione degli interventi riabilitativi (logopedia, psicomotricità, fisioterapia, ecc..) la cui efficacia si basa sull’instaurazione di una positiva interazione faccia a faccia può ulteriormente rallentare lo sviluppo e l’emergere di abilità tanto più quanto più è prolungato il distanziamento. Anche in questo caso operatrici e operatori di riabilitazione stanno facendo tutti gli sforzi per mantenere la relazione e proporre pur con molti limiti alcune attività.
Ove è stata applicata la didattica a distanza, gli espedienti utilizzati sono stati i più vari e con diversi gradi di interconnessione: dall’assegnazione dei compiti attraverso la messaggistica o sul registro elettronico, alla richiesta ai genitori di spiegare ai propri figli i testi delle lezioni allegati, all’invio di videomessaggi registrati, alle video-lezioni interattive. Anche nella più virtuosa classe digitale, almeno per la scuola primaria, i dispositivi disponibili hanno sempre richiesto la supervisione di un adulto, alterando la relazione precedentemente instaurata con l’insegnante, le compagne e i compagni e limitando l’autonomia nell’esecuzione delle attività didattiche online e offline.
Una mappa dettagliata sulle forme della didattica a distanza nelle diverse scuole e nelle diverse regioni potrà fornire indicazioni su cosa fare e come intervenire.
La chiusura delle scuole e le norme di quarantena restrittive e colpevolizzanti hanno anche limitato l’attività fisica regolare di bambine/i e ragazze/i, fondamentale per lo sviluppo quanto la socializzazione: soltanto chi ha a disposizione uno spazio sufficiente, attrezzature, iniziativa o incitamento ha organizzato delle sessioni più o meno quotidiane di esercizi motori.
Il punto sostanziale è che, in base alle prove scientifiche disponibili, la chiusura massiva delle scuole non è una misura efficace nel rallentare il contagio del virus nelle epidemie, come riportato nella revisione di Russell Viner e collaboratori. Per gli autori, che hanno analizzato 9 studi relativi all’epidemia di SARS del 2003 e 7 studi su COVID-19, la chiusura delle scuole ha minimi effetti su un virus ad alta trasmissibilità e ridotto impatto clinico sui bambini come il SARS-CoV-2, mentre ha conseguenze economiche e sociali profonde. Tale misura deve essere considerata con molta cautela proprio per gli alti costi che ha la chiusura prolungata. I ricercatori richiamano l’attenzione delle istituzioni su altre misure di distanziamento che siano meno drastiche come la sospensione più o meno prolungata delle lezioni per le classi con bambini positivi al virus, la riorganizzazione delle attività per ridurre i raggruppamenti (ad es., chiusura degli spazi comuni, cancellazione di incontri e attività non essenziali, distanziamento in classe, riduzione dell’orario quotidiano e settimanale, modifica degli orari e delle modalità della ricreazione e dei pasti).
Secondo le stime basate sulla mobilità e i contatti sociali medi riportati nella bozza del rapporto del Comitato tecnico scientifico sull'emergenza COVID-19, "riaprire le scuole innescherebbe una nuova e rapida crescita dell'epidemia di COVID-19. In particolare, la sola riapertura delle scuole potrebbe portare allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva attualmente disponibili a livello nazionale". Nella simulazione si assume una riapertura massiva delle scuole a partire dal 4 maggio e non vi è riferimento a scenari di riapertura parziale in cui le attività didattiche siano riorganizzate in funzione della riduzione dei raggruppamenti. Una sperimentazione coordinata di diverse ipotesi di riorganizzazione potrebbe aggiungere ulteriori dati e indicazioni sui tempi e le modalità di ritorno a scuola.
In questa direzione si stanno muovendo alcuni Comuni e Regioni per testare nei prossimi mesi e implementare a settembre le misure di distanziamento sociale che si siano dimostrate più efficaci, in modo da garantire un regolare inizio dell'anno scolastico. Il rischio è che un ritardo nella riorganizzazione faccia slittare anche l'inizio del prossimo anno scolastico soprattutto nelle scuole con maggiori difficoltà strutturali e che si accentuino così le disuguaglianze nelle opportunità di apprendimento di alunne/i e studenti.
Le famiglie nella pandemia
Nell’affrontare la quarantena e il suo prolungamento, l’abitazione è diventata il luogo più o meno confortevole di tutte le attività quotidiane. Molti genitori hanno dovuto dividersi tra lavoro a distanza, attività domestiche, supporto ai figli durante le attività didattiche a distanza e cura. La fatica, i disturbi del sonno e lo stress sono gradualmente aumentati e in tanti casi sono stati aggravati dalle incertezze economiche, dalla certezza di perdere il lavoro o dalla compromissione di una carriera precaria.
L'impatto economico escluderà ancor più le donne dal lavoro e dai processi decisionali, come spiega un rapporto delle Nazioni Unite sugli effetti di COVID-19 sulle donne. Spesso un genitore ha dovuto continuare a lavorare e non ha potuto garantire che i propri figli seguissero tutte le attività scolastiche a distanza. Altri non avevano neppure i mezzi e gli spazi sufficienti per farlo. Gli ammalati di COVID-19 e gli operatori sanitari hanno dovuto affrontare periodi anche lunghi di separazione dai propri figli e nei casi più gravi dei lutti da elaborare.
Le preoccupazioni non possono che aumentare nella cosiddetta fase 2, nella quale ciascun nucleo famigliare dovrà scegliere tra ripresa o cambiamento dell’attività lavorativa e cura dei figli, tra la paura del contagio e l’ansia per le difficoltà economiche, tra il bisogno e il senso di colpa del coinvolgimento dei famigliari anziani nel supporto alla cura dei figli. Nelle situazioni migliori, le famiglie dovranno continuare a dividersi tra le opportunità del telelavoro, la supervisione delle attività scolastiche, la pianificazione delle uscite all’aria aperta e l’approvvigionamento di disinfettanti e mascherine. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lo scorso 27 aprile, ha annunciato che il governo sta studiando un "piano per l'infanzia": «Ci rendiamo conto che avere figli in casa è un fatto emergenziale al quale le famiglie non erano preparate. Cercheremo di dare sostegno economico, stiamo studiando un piano per l'infanzia per ragazzi e ragazze che vanno a scuola e cerchiamo di affrontare in prospettiva anche l'estate con delle misure».
Le cure sanitarie nella pandemia
Le misure restrittive stabilite per far fronte alla pandemia hanno comportato anche l’interruzione delle attività sanitarie non urgenti, inclusi i ricoveri. Tuttavia, bambine/i e ragazzi/e continuano ad ammalarsi presentando altre infezioni diverse da COVID-19 o l’esordio di condizioni croniche. Il prolungamento delle misure di contenimento del contagio e la paura di recarsi in ospedale durante la pandemia hanno avuto alcune conseguenze negative derivanti dall’accesso ritardato agli ospedali pediatrici, documentate a marzo nell’ambito della rete pediatrica italiana. Molti centri stanno attivando modalità di televisita specialistica che permetteranno di ridurre l’affluenza per le attività ambulatoriali.
Tuttavia, non si può escludere un impatto sui tempi delle nuove diagnosi e sulla tempestività degli interventi terapeutici e/o riabilitativi. La riorganizzazione delle attività sanitarie e territoriali secondo linee guida uniformi e la corretta informazione delle famiglie saranno cruciali per ridurre oltre ai rischi di infezione da coronavirus anche quelli di diagnosi tardive.
Il rapporto delle Nazioni Unite: “Dobbiamo agire ora, con decisione e su larga scala”
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite sull’impatto di COVID-19 su bambine e bambini, pubblicato il 15 aprile, le conseguenze della pandemia saranno evidenti lungo quattro dimensioni: l’aumento della povertà, con effetti devastanti per le bambine e i bambini che vivono in ambienti con scarse risorse economiche e sociali; l’apprendimento, dal momento che la chiusura prolungata delle scuole oltre agli effetti a lungo termine aumenterà l’abbandono scolastico e limiterà le opportunità di istruzione soprattutto per le ragazze; la salute e la sopravvivenza, per la riduzione dell’accesso alle prestazioni sanitarie essenziali e alle misure di prevenzione; la sicurezza, per l’incremento degli episodi in cui bambine e bambini sono vittime o testimoni di violenze e abusi in famiglia e per l’aumento del rischio per molti ragazzi di cadere nelle maglie della criminalità.
L’impatto sarà ancora maggiore per i più vulnerabili, per le bambine e i bambini rifugiati, per quelli che vivono in istituzioni o in luoghi di detenzione e che durante la pandemia sono deprivati delle interazioni faccia a faccia con operatori e volontari.
Per ridurre le conseguenze negative, secondo il rapporto, è necessario intervenire in tre direzioni: più informazioni, più solidarietà, più azioni. Rispetto a queste ultime, per minimizzare gli effetti dell’emergenza sui bambini, i governi sono chiamati, ad esempio a estendere l’assistenza sociale, a dare priorità ai servizi centrati sui bambini con equità di accesso e attenzione alla protezione da violenze e abusi, a estendere l’accesso al digitale, a supportare genitori e caregiver.
La ripresa delle attività e l’auspicato ritorno in classe in condizioni di sicurezza dovranno essere inseriti in una fase di transizione che preveda un piano di interventi psico-educativi e di supporto ai bambini e alle famiglie. Tali interventi sono indispensabili e devono essere orientati a: allenare al mantenimento di comportamenti sicuri, far esprimere le emozioni rispetto alle esperienze vissute, sviluppare o rafforzare le strategie di adattamento, promuovere la solidarietà e il supporto nei confronti dei più vulnerabili e di chi ha subito le conseguenze più gravi dell’epidemia.
Come conclude il rapporto delle Nazioni Unite, “dobbiamo agire ora, dobbiamo agire con decisione e su larga scala”.