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Comizi d’acciaio: le menzogne sull’Ilva raccontate a fumetti

25 Agosto 2013 4 min lettura

Comizi d’acciaio: le menzogne sull’Ilva raccontate a fumetti

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L'Italia sa essere un Carnevale sadico in cui lo scherzo non finisce mai, e mai si capisce in cosa consista esattamente. Però in questo continuo rovesciamento della realtà qualcuno si diverte, o quanto meno è ben lontano dalle conseguenze del rovesciamento. Sta a posto con la coscienza: mica a Carnevale ti senti in colpa, se rovesci la realtà. La colpa, al limite, è di chi s'offende.

Quando si parla di Ilva, il Carnevale diventa palese: la realtà è un impiccio, specie se ci sono in ballo gli interessi di un grande gruppo industriale che non vuol sentire ragioni sul rapporto tra inquinamento ambientale e tasso di tumori. E allora l'opinione pubblica è investita da una grottesca danza di dati, smentite, polemiche, dichiarazioni, ricatti lavorativi e ingerenze istituzionali, rettifiche, indignazioni a buon mercato; fino ad arrivare all'apatia. Come quando Clini, ministro dell'Ambiente del governo «tecnico» (ah, la retorica dell'obiettività tecnica, contrapposta alla faziosità politica!) smentì prima l'Istituto Superiore della Sanità, e poi sé stesso. Tra un po' si biasimeranno gli abitanti del quartiere Tamburi perché si lamentano dell'inquinamento senza citare ricerche specifiche; i polmoni, si sa, sono poco obiettivi.

Al di là dei paradossi, simili dinamiche impongono di trovare forme espressive che restituiscano consistenza umana ai problemi, togliendoli dalla palude dei dati astratti e delle opinioni a raffica. Lo hanno fatto il giornalista Carlo Gubitosa e il disegnatore Kanjano con il fumetto Ilva: comizi d'acciaio (Becco Giallo). Il libro impasta vari materiali. Ci sono tavole a colori dove sono protagonisti i bambini e le frase tratte dal libro Sognando nuvole bianche; il colore connota simbolicamente le pagine, ricordando che i bambini di Taranto sono vittime di ogni menzogna sparsa sull'Ilva. Ci si muove poi tra microstorie in bianco e nero, dalla creazione del polo siderurgico alle conseguenze sul mondo del lavoro: non riguardano solo pescatori che abbandonano il mare per la fabbrica, ma si estendono sul piano internazionale dell'economia globalizzata che unisce Taranto alla Foresta Amazzonica, dal cui legno si ricava il carbone per il siderurgico. L'unico appunto che si può muovere al libro è di aver lasciato fuori dalle pagine molte delle storie raccolte nella fase di documentazione, per questioni di spazio: Gubitosa ne cita alcune nell'introduzione, e c'è da sperare che trovino una sede congrua.

Tra una storia e l'altra le tabelle scandiscono i numeri del disastro ambientale. Concludono il libro una dettagliata cronologia e un articolo di Alessandro Marescotti, Presidente di PeaceLink, dal titolo Quello che non vi hanno detto sul futuro dell'acciaio. Ne riporto un estratto che andrebbe letto ai tanti sacerdoti votati al culto della Produzione:

La Commissione Europea nel 2013 ha chiarito che la richiesta di acciaio è diminuita del 27% rispetto ai livelli pre-crisi. Quindi l'Ilva si trova di fronte a una flessione consistente della domanda di acciaio. C'è di conseguenza bisogno di meno acciaio, e non di una maggiore produzione. [...] Nel 2012 l'Ilva ha prodotto circa 8 milioni di tonnellate all'anno di acciaio. Con questi numeri, l'Ilva sta producendo acciaio che non serve e che va solo a deprimere i prezzi di un mercato internazionale in forte flessione. Ma questo non viene detto alla gente. Anzi, si sostiene l'esatto contrario. Il Pd proclama che «la siderurgia è strategica per l'Italia». La Fiom: «Difendere e rilanciare il ruolo strategico del settore, fermando la deriva industriale del nostro Paese». La Cgil corre in soccorso: «Serve subito convocare gli Stati generali della siderurgia per impedire il lento e inesorabile declino di un settore strategico per il Paese». [...] L'impressione è che i magistrati di Taranto stiano facendo fuggire l'Ilva e che i Riva possano andare altrove a produrre acciaio. Non è assolutamente vero: l'acciaio dell'Ilva non è indispensabile. Ce n'è già fin troppo.

Credo che iniziative editoriali come Ilva: comizi d'acciaio siano da sostenere. La casa editrice Becco Giallo ha un progetto editoriale di qualità che usa la narrativa a fumetti come forma di mediazione culturale rispetto a temi d'attualità. Nell'attuale crisi che affligge l'editoria, è importante riconoscere e valorizzare chi sa andare controtendenza, proponendo un'estetica e una visione del mondo invece di limitarsi a un catalogo che insegue dubbie mode.

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In Ilva: comizi d'acciaio, inoltre, la precisione del giornalismo e la fantasia del fumetto irradiano di creatività l'arena della retorica, dove l'opinione è una lotta in cui il più forte parte avvantaggiato, e anche i fatti sono costretti a combattere, perché da soli non bastano. Dopo poche pagine si sbriciola quella narrazione che abbiamo assorbito da giornali e tv, giocata su una falsa ineluttabilità: troppe voci ci hanno «venduto» l'Ilva come la roulette russa cui i tarantini non possono sottrarsi, in nome di una fantomatica collettività; come se «impresa», «proprietà», «operaio» e «lavoro» fossero sinonimi, e non espressioni di gerarchie di potere.

Mentre da poco è stato convertito in legge il cosiddetto decreto «Salva-Ilva» (ah, la retorica dei provvedimenti salvifici, che ci fanno sentire tutti più buoni e coesi!) vera e propria «ciambella di salvataggio statale per mettere nuovamente fuori gioco la magistratura», il pulpito dei Comizi d'acciaio ci pone una domanda che non può essere delegata: che cos'è il lavoro? Da più parti, in special modo dalla politica istituzionale, finora è venuta una risposta terribile: il lavoro è un premio calato dall'alto per cui bisogna essere disposti a tutto, anche a farsi uccidere.

 

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