Ungheria, quello contro Ilaria Salis è un processo politico in assenza di uno Stato di diritto
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Aggiornamento 15 maggio 2024: Ilaria Salis, la maestra elementare di 39 anni in carcere in Ungheria da più di un anno e tre mesi con l’accusa di aver aggredito alcuni manifestanti neonazisti, potrà essere messa agli arresti domiciliari: un tribunale d’appello ungherese ha accolto il ricorso presentato dai suoi avvocati dopo che il 28 marzo scorso la richiesta di arresti domiciliari era stata rifiutata.
Al momento Salis è in detenzione preventiva in attesa di una sentenza in un carcere di Budapest e potrà andare ai domiciliari ma restando sempre in Ungheria. L'insegnante rischia fino a 24 anni di carcere: per gli stessi reati che le vengono contestati, in Italia le pene sono solo di pochi anni.
Per poter effettivamente uscire dal carcere Salis dovrà pagare una cauzione che pare ammontare intorno ai 40mila euro.
Aggiornamento 28 marzo 2024: Ilaria Salis resta in carcere: il tribunale di Budapest ha respinto infatti la richiesta di passare ai domiciliari in Ungheria presentata dai legali della trentanovenne in carcere da 13 mesi con l'accusa di aver aggredito due esponenti di estrema destra.
"Le circostanze non sono cambiate", ha detto il giudice Jozsef Sós aggiungendo che "esiste sempre il pericolo di fuga".
La decisione di respingere i domiciliari per Ilaria Salis è stata "l'ennesima prova di forza del governo Orban", ha commentato Roberto Salis, il padre della donna. "Un po' me lo aspettavo - ha aggiunto - Ilaria qui è considerata un grande pericolo". "I nostri ministri non hanno fatto una bella figura e il governo italiano dovrebbe fare un esame di coscienza", ha aggiunto il padre di Ilaria. "Le catene non dipendono dal giudice ma dal sistema carcerario e quindi esecutivo e il governo italiano può e deve fare qualcosa perché mia figlia non sia trattata come un cane" ha aggiunto.
“Mia figlia potrebbe essere la più pericolosa serial killer che esista sul pianeta, ma non cambia nulla. Nessuno si deve permettere di calpestare in quel modo la dignità di un individuo”. Sono le parole del padre di Ilaria Salis, maestra elementare di 39 anni, che da quasi un anno si trova in detenzione preventiva in un carcere ungherese con l’accusa di aver aggredito tre neonazisti. Lunedì 29 ottobre si è tenuta la prima udienza del processo contro di lei: Salis è stata portata nell’aula del tribunale in catene, con le manette ai polsi e i piedi legati da cinturoni di cuoio chiusi con lucchetti.
Mauro Straini, uno dei suoi avvocati, l’ha definito “un guinzaglio collegato a un dispositivo alle caviglie e uno ai polsi”, simile a quello che aveva durante il colloquio prima dell’udienza preliminare. “Quello alle caviglie è stato rimosso durante l’udienza, quello ai polsi no, ed è stato tenuto saldamente da un agente per tutta la durata dell’udienza”, ha spiegato Straini. L’altro avvocato, Eugenio Losco, ha raccontato che è rimasta così per tre ore e mezza: “È stato scioccante, un'immagine pazzesca. È una grave violazione della normativa europea. L’Italia deve far finire questa situazione ora”.
Prima di quell’udienza, l’ultima volta che Ilaria aveva visto i suoi genitori era stato a metà novembre, nel carcere di massima sicurezza di Budapest, da dietro un vetro, con una cornetta per parlare. “Come l’ho trovata? Resiste. Ma in un anno di prigione mi sembra che sia invecchiata di dieci anni”, ha detto il padre di Salis. Le immagini di Ilaria incatenata sono state pubblicate da tutti i giornali e le tv, suscitando indignazioni e proteste. Il Comitato Ilaria Salis il 12 gennaio scorso ha lanciato una petizione che oggi conta più di 80 mila firme.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che il governo italiano “si sta attivando, attraverso i canali diplomatici, facendo tutto il possibile per attenuare le condizioni rigorose in cui è detenuta”. Nel frattempo il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha convocato l’ambasciatore ungherese. “Questa volta mi sembra che si sia ecceduto”, ha detto. Ha precisato però che il presidente Viktor Orbán “non c'entra niente”, visto che “la magistratura è indipendente”. Il ministro Tajani ha poi aggiunto che “il reato ipotetico è avvenuto in Ungheria, quindi deve essere processata in Ungheria. Noi non possiamo interferire sull'attività giudiziaria, ma possiamo intervenire perché siano rispettate le norme comunitarie sul trattamento detenuti. Su manette a mani e polsi ho chiesto che non accada più”.
Un’odissea cominciata 352 giorni prima
Questa vicenda comincia nel febbraio 2023, durante le celebrazioni del “Giorno dell’onore”, il Tag der Ehre, in ricordo del battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Si tratta di una ricorrenza celebrata dagli anni Novanta, con una serie di cortei, concerti ed eventi: ogni anno per festeggiare arrivano a Budapest migliaia di nostalgici neonazisti da tutta Europa. E con loro arrivano anche militanti antifascisti, a contestarli. Negli ultimi anni la polizia ungherese non autorizza le parate più grandi, a causa del pericolo di scontri e disordine pubblico, ma alcune celebrazioni e cortei più piccoli sono comunque accettati.
Quel 10 febbraio 2023, giorno in cui Ilaria Salis si trovava a Budapest, diversi militanti neonazisti erano stati aggrediti per strada da un gruppo di persone a volto coperto. Alcuni episodi erano stati anche ripresi dalle telecamere di sicurezza. Il giorno dopo, l’11 febbraio, Ilaria si trovava a bordo di un taxi con due cittadini tedeschi quando è stata arrestata, accusata delle aggressioni. Il padre di Ilaria ha raccontato che le tre presunte vittime non hanno sporto denuncia e hanno dichiarato che si vendicheranno in strada. Nel frattempo su un sito ungherese è stato pubblicato il nome e l’indirizzo di casa di Ilaria, a Milano: “Sembra quasi una chiamata alle armi dalle truppe naziste mitteleuropee”, ha commentato il padre.
Da quel momento per Ilaria è iniziato l’inferno: la donna è stata rinchiusa per otto giorni in una cella di isolamento del carcere di massima sicurezza di Budapest, con i vestiti sporchi, senza carta igienica, sapone e assorbenti, nonostante avesse il ciclo. Sono passati 35 giorni prima che l'ambasciata le consegnasse un pacco con gli asciugamani. In una lettera che ha fatto arrivare in Italia attraverso i suoi avvocati all’inizio di ottobre, Salis ha scritto di aver vissuto per mesi in “condizioni disumane”, raccontando che nella sua cella c’erano topi, scarafaggi e cimici dei letti, che le avevano provocato una reazione allergica: nonostante ciò, il personale del carcere non le ha fornito né creme né farmaci. Inoltre, è capitato più volte che non le fosse dato da mangiare per cena. Per i primi sei mesi di detenzione preventiva le sono stati impediti i contatti con la famiglia, che da settembre è riuscita a visitarla solo due volte. L’avvocato Eugenio Losco ha spiegato che Salis non ha “mai potuto leggere gli atti, che non le sono stati mai tradotti”, e che non ha nemmeno mai visto “le immagini su cui sostanzialmente si fonda l’accusa”.
Attraverso gli avvocati, la famiglia Salis ha chiesto per quattro volte che Ilaria potesse attendere il processo in Italia, ma le richieste sono state respinte per rischio di fuga. Il padre ha detto di aver scritto più volte alle più alte cariche dello stato, fra cui la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i ministri Antonio Tajani e Carlo Nordio, senza aver mai ricevuto risposta. Solo il 30 gennaio i genitori di Ilaria sono stati ricevuti dall’ambasciata italiana a Budapest, ambasciata che per mesi “ha totalmente dormito sul caso”, ha detto il padre “e ha permesso che una cittadina italiana venisse torturata gravissimamente per 8 giorni e in modo molto grave per 35 giorni, senza fare rimostranze ufficiali al paese che si è permesso di fare questo”. Il padre ha anche aggiunto che i funzionari italiani hanno partecipato ad almeno altre quattro udienze in cui sua figlia aveva mani e piedi incatenati, ma non hanno fatto nulla.
Un processo politico in assenza di uno Stato di diritto
Ilaria Salis si è sempre dichiarata innocente e ha rifiutato una proposta di patteggiamento a 11 anni, sostenendo di non aver partecipato alle aggressioni. Oggi è considerata l’imputata principale, accusata dalla procura ungherese di far parte di Hammerbande, un gruppo tedesco di estrema sinistra che avrebbe pianificato le aggressioni contro i militanti di estrema destra. Il padre di Salis ha dichiarato che la donna non ha mai parlato alla famiglia dell’organizzazione, e anche gli avvocati affermano che Ilaria non risulta fra i membri di Hammerbande. Assieme a lei sono stati incriminati due militanti antifascisti tedeschi, un uomo e una donna.
Il 29 gennaio è cominciato il processo. La procura ungherese sostiene che Salis abbia “partecipato a più aggressioni causando lesioni corporali aggravate” e ha chiesto 11 anni di carcere alla luce della presunta pericolosità degli atti compiuti. Alla fine dell’udienza il giudice Jozsef Sòs ha confermato le misure cautelari contro di lei e ha rinviato il processo alla prossima udienza, prevista per il 24 maggio. L’uomo tedesco accusato di aver fatto parte dell’organizzazione criminale assieme a Salis si è dichiarato colpevole ed è stato condannato a tre anni di carcere con giudizio immediato, mentre la donna tedesca non è comparsa in giudizio.
Oggi Ilaria rischia fino a 24 anni di carcere: per gli stessi reati che le vengono contestati, in Italia le pene sono solo di pochi anni. Questo non solo perché le leggi ungheresi sono più dure in questo ambito, ma anche perché all’accusa di lesioni si aggiungono anche due aggravanti: aver commesso il reato all’interno di un’organizzazione criminale, e aver messo a rischio la vita delle vittime. Il tutto nonostante le persone aggredite riportassero prognosi molto lievi, da 5 a 8 giorni.
Per inquadrare il processo a Ilaria Salis, bisogna considerare il contesto del paese nel quale è stato messo in piedi. Da 13 anni l’Ungheria è guidata dal governo autoritario di estrema destra di Viktor Orbán: oggi le violazioni dello Stato di diritto sono all’ordine del giorno. Nel 2015 il paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per le gravi violazioni dei diritti dei detenuti che avvengono nelle carceri ungheresi. Anche per questo, lo scorso dicembre il sostituto procuratore generale di Milano ha negato l’estradizione in Ungheria di Gabriele Marchesi, un 23enne accusato degli stessi reati di Salis: fra le motivazioni è stata citata anche la lettera in cui Salis descriveva le sue condizioni di detenzione e la natura politica del suo processo.
“Da una parte abbiamo una persona che è sottoposta a una condizione detentiva disumana, dall’altra abbiamo un processo politico, perché a fronte di una prognosi risibile da parte degli aggrediti, Ilaria rischia di scontare 11 anni di carcere”, ha spiegato il fumettista Zerocalcare, che sulla rivista Internazionale ha pubblicato il fumetto In fondo al pozzo sulla vicenda di Ilaria Salis. “Questa cosa avviene perché Ilaria è considerata un’antifascista, e le persone aggredite sono dei neonazisti. Questo connota quest’aggressione come qualcosa di più grave, qualcosa che va punito con più accanimento”.
Immagine in anteprima: frame video Rainews.it