Il post definitivo sul metodo Stamina
15 min letturaQuesta è una storia di sottoscala adibiti a laboratori di ricerca e centri estetici spacciati per cliniche mediche, una storia di ordinanze e decreti, di indagini e rinvii a giudizio, di manifestazioni in piazza e appelli, di personaggi televisivi e cantanti diventati testimonial. La storia di uno «scandalo basato sulla frode e sulle menzogne». La storia del metodo Stamina.
Cellule mesenchimali
2007. Davide Vannoni, 40 anni, è un docente di Psicologia all'Università di Udine. Ha una laurea in Lettere e dirige una piccola società di comunicazione, la Cognition, con sede in via Giolitti a Torino. La Cognition svolge indagini di mercato attraverso un piccolo call center e riceve, per questo, fondi anche dalla Regione Piemonte. Vannoni soffre dal 2004 di una emiparesi facciale, forse causata da un Herpes virus. Si sottopone a numerose visite mediche, in tutta Italia, ma non riesce a risolvere il suo problema. Poi si imbatte in una ricerca, pubblicata nel 2003, di un gruppo di studiosi russi e ucraini, tra cui Elena Schegelskaya, biologa di origine russa della Università Medica Nazionale di Kharkov, in Ucraina. Questo studio ha come oggetto un particolare tipo di cellule, le cellule mesenchimali dello stroma (tessuto connettivo) del midollo osseo.
Le cellule mesenchimali (il mesenchima è un tessuto connettivo, di origine embrionale) sono cellule staminali multipotenti, in grado di differenziarsi, cioè trasformarsi, in alcuni tipi cellulari: cellule del tessuto osseo, delle cartilagini e del tessuto adiposo. Schegelskaya, insieme ai suoi colleghi, descrive un metodo per differenziare queste cellule in cellule del tessuto nervoso, attraverso l'impiego dell'acido retinoico.
Esiste una vasta letteratura scientifica sulle cellule mesenchimali e il loro potenziale di differenziamento in cellule nervose o di altri tessuti, ma le evidenze sono ancora molto limitate e discusse, ancora di più lo sono le potenziali applicazioni cliniche. Ciò non ferma chi, in diversi paesi, le pubblicizza a scopo commerciale come cure miracolose per numerose malattie; una pratica che spesso sfrutta anche la mancanza di regolamentazione.
Vannoni fa le valige e parte per Kharkov. Le circostanze non sono chiare. Sembra, comunque, che nella città ucraina Vannoni si sottoponga a un trattamento per la cura della paresi facciale. L'intervento dovrebbe essere consistito in un'iniezione di cellule mesenchimali del midollo osseo preparate secondo il protocollo del gruppo della Schegelskaya. Nei giorni successivi il trattamento Vannoni nota dei miglioramenti. Non abbiamo riscontri clinici, solo testimonianze (peraltro dubbiose); difficile fare un confronto tra prima e dopo, forse col tempo si è verificata una regressione spontanea. Vannoni tuttavia non ha dubbi: la cura funziona e bisogna portarla in Italia. Convince la Schegelskaya e il collega russo Vyacheslaw Klymenko a venire con lui. Inizia l'avventura Stamina.
"Tornerai a correre"
Al suo rientro a Torino Vannoni acquista alcune attrezzature e le sistema nel sottoscala della Cognition, dove allestisce un laboratorio per la conservazione e la preparazione di cellule staminali. Qui iniziano a lavorare i due ricercatori russi, mentre nel frattempo Vannoni recluta altri collaboratori: medici, infermieri, una biologa. Va in cerca di denaro, non solo presso banche. Grazie ai passati rapporti con la Regione Piemonte ottiene uno stanziamento di 500 mila euro (che però non vedrà mai) per una «attività promozionale per la conoscenza delle cellule staminali», uno di quei lavori di comunicazione e marketing che svolge la sua Cognition.
Il nome di Vannoni inzia a farsi conoscere, anche grazie ad alcuni depliant inviati a scopo pubblicitario. In uno di questi, distribuito a famiglie di paraplegici, si parla di «recuperi dal 70 al 100%». Si appoggia a una clinica privata di Carmagnola e a un centro a San Marino che sembra un centro estetico, invece di una clinica medica. Istituto di bellezza, è scritto su una carta intestata per un bonifico, come testimonierà poi la figlia di uno dei malati trattati da Vannoni. Già, i bonifici. Perché, nonostante ciò che ha sempre sostenuto Vannoni, ovvero di volere «curare gratis», nelle sue mani iniziano a girare versamenti da 4.000 a 55 mila euro. Naturalmente in anticipo, ovvero «sulla promessa di effetti terapeutici». A San Marino, associata al nome di Vannoni, è poi individuata anche una Rewind Biotech srl, una banca di cellule staminali. Nel 2009 Vannoni fonda la Stamina Foundation, il brand con cui diventerà celebre. Sindrome di Kennedy, morbo di Parkinson, atrofia muscolare spinale, sclerosi laterale amiotrofica, tetraplegie, ictus, leucodistrofia metacromatica sono alcune delle patologie che sostiene di curare con successo.
Vannoni non si sposta solo da Torino a San Marino: recluta personale anche in altre città. Arriva fino a Trieste, all'ospedale pediatrico Burlo Garofolo, dove lavora Marino Andolina, che diventerà uno dei più stretti collaboratori di Vannoni e sua spalla quando esploderà il caso mediatico. Con il Burlo Garofolo Vannoni riesce a stipulare una convenzione per l'esecuzione di ricerche di laboratorio, ma senza alcuna applicazione clinica. Riesce comunque a portare ad Andolina diversi pazienti da trattare, anche di domenica, all'interno delle strutture dell'ospedale.
Intanto, a Torino, gli impiegati della Cognition, diventata ormai sede e centro operativo di Stamina, vedono passare nei loro uffici malati accompagnati dai loro parenti e iniziano a domandarsi che cosa succeda. Ai pazienti Vannoni fa vedere un video, dove appare una persona dapprima immobilizzata su una sedia a rotelle, poi in piedi e capace di ballare. A uno di loro, un malato di Parkinson, promette: «Vedrà, anche lei tornerà a fare queste cose. Potrà rimettersi a correre». Qualcuno minaccia denunce, un dipendente fa trapelare qualcosa all'esterno, la voce arriva fino in Regione: è ancora solo un sospetto, sufficiente però a bloccare qualsiasi promessa di finanziamento alla Cognition.
Vannoni non si fa scoraggiare, nemmeno dalla mancanza di denaro. Riuscirà, in seguito, a farsi dare 450 mila euro dalla Medestea, una azienda farmaceutica, già finita sotto inchiesta, i cui prodotti vanno dai cosmetici fino a terapie (non validate) con cellule staminali, in diversi paesi. La Medestea sembra essere, tuttora, il partner commerciale principale di Vannoni e di Stamina.
Ma non tutto fila liscio. Un impiegato di Cognition, forse lo stesso che aveva fatto arrivare la voce in Regione, deposita un esposto in Procura. Testimonianze arrivano ai giornali. Sono ormai decine, dal 2007 al 2009, i pazienti trattati da Vannoni e collaboratori. Sul Corriere della Sera si racconta di un neurologo che consiglia, per un paziente colpito da ictus, una terapia con cellule staminali mesenchimali. Dà un numero di telefono e un nome: Davide Vannoni.
La procura della Repubblica di Torino apre un'indagine e la affida al giudice Raffaele Guariniello. I Carabinieri dei NAS perquisiscono i locali della sede di Cognition e scoprono il laboratorio clandestino. Si indaga anche su ciò che accade a San Marino e si raccolgono le testimonianze dei pazienti sulle terapie e le ingenti somme di denaro pretese. L'ipotesi di reato è associazione per delinquere finalizzata alla truffa e alla somministrazione di medicinali guasti. Sono indagate sedici persone, tra cui lo stesso Vannoni e alcuni medici. Nel frattempo, i due ricercatori russi se ne tornano in Ucraina. L'inchiesta si concluderà, nell'agosto del 2012, con una richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli indagati, compreso Vannoni.
La storia di Stamina sembrerebbe dover terminare così, come la storia di un fatto di cronaca, un inganno smascherato e destinato a concludersi nelle aule di un tribunale. Ma non sarà così. Le denunce dei pazienti e le indagini della procura di Torino non basteranno a mettere la parola fine alla vicenda.
Frodi e contaminazioni
Nonostante le inchieste - giornalistiche e giudiziarie - che hanno svelato il sistema Stamina, Vannoni riesce ancora a far somministrare la cura all'interno di un ospedale. Non in una sconosciuta clinica privata o in un centro estetico, ma all'interno di un ospedale del sistema sanitario della Regione Lombardia, l'Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia, il «secondo miglior ospedale italiano», con cui il 28 settembre 2011 Vannoni sottoscrive un accordo di collaborazione.
È questo uno degli aspetti più inquietanti del caso Stamina. Un trattamento senza sufficienti evidenze scientifiche e sperimentazione clinica controllata, privo di qualsiasi autorizzazione, al centro di un'indagine giudiziaria per associazione a delinquere, diventa oggetto di una convenzione che coinvolge un ospedale pubblico. Come si sia arrivati a tanto è una domanda che si porranno sia il Ministero della Salute che l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Scopriranno che il «paziente zero» della terapia Stamina presso gli Spedali Civili di Brescia ha lo stesso nome, cognome e data di nascita di un alto dirigente della Sanità lombarda.
Dall’ottobre 2011 all’aprile 2012 sono trattati a Brescia, con la cura Stamina, dodici pazienti, di cui quattro bambini. L'accordo prevede, addirittura, che all'interno dell'ospedale, siano tecnici di Stamina a lavorare alla preparazione delle cellule da iniettare nei pazienti. Questa situazione dura fino al maggio 2012, quando l'AIFA ordina un'ispezione, insieme ai Carabinieri dei NAS, presso gli Spedali Civili di Brescia. I NAS sequestrano alcuni campioni contenenti cellule, che sono analizzati in un laboratorio e coltivati secondo il metodo Stamina.
Ma che cos'è il metodo Stamina? Lo stesso Vannoni non rivela alcun dettaglio. Gli unici documenti disponibili sono le richieste di brevetto che Vannoni, con l'aiuto di una biologa, ha depositato nel 2010 negli Stati Uniti (oggi consultabili su Google). Vannoni cercherà poi di ritirare le richieste ma arriverà prima la bocciatura dell'ufficio brevetti, che rileva numerosi difetti e mancanze, come descrizioni e fotografie non chiare e dati non specificati. Inoltre, la procedura descritta nella domanda di brevetto si riferisce a studi già esistenti, rispetto ai quali, tuttavia, non propone alcuna modifica e innovazione sostanziale. In sintesi: ciò che si descrive, come l'utilizzo dell'acido retinoico per il differenziamento cellulare, esiste già e ciò che di nuovo si pretende di introdurre è vago o non confermato.
Un esempio: nel brevetto di Vannoni si parla di cellule mesenchimali che si trasformano in neuroni funzionanti in sole due ore («after about 2 hours of treatment completely formed and functional mature neurons are already present»), un tempo di differenziamento cellulare impossibile dal punto di visto biologico e mai documentato in letteratura. La stessa ricerca del gruppo della Schegelskaya, che aveva ispirato Vannoni nel 2007, parla di un differenziamento ottenuto incubando le cellule di partenza per diversi giorni e con una concentrazione di acido retinoico pari a un decimo di quella indicata nel brevetto. La conclusione dell'ufficio brevetti è che, nelle condizioni sperimentali descritte, la comparsa di cellule simil-nervose sarebbe probabilmente l'effetto di cambiamenti citotossici (cioè dannosi per le cellule) all'interno della coltura.
Nel 2013, nel pieno della polemica mediatica, la rivista Nature scoprirà che la richiesta di brevetto di Vannoni non contiene solo errori e omissioni. Una fotografia chiave, che dovrebbe documentare la presenza in coltura delle cellule nervose in seguito al differenziamento, non è originale. È la stessa pubblicata in una ricerca del 2003, proprio la ricerca del gruppo della Schegelskaya. «Noi abbiamo sempre lavorato e condiviso materiale con i russi e con gli ucraini», si difende Vannoni, ma ciò non trova conferma nelle parole della ricercatrice russa:
Nel suo brevetto sono state utilizzate due figure pubblicate nei miei articoli (anni 2003-2006) con altri coautori prima di aver conosciuto Vannoni. Queste figure non possono essere usate in nessun brevetto senza il permesso mio e dei coautori.
Quell'immagine, dunque, non solo non può testimoniare l'efficacia del protocollo presentato da Vannoni e dalla sua biologa, poiché raffigura qualcosa che è avvenuto in condizioni sperimentali completamente diverse, ma costituisce anche una frode scientifica.
Lo studio dei campioni sequestrati dai NAS, effettuato nel Laboratorio di Biologia cellulare dell'Università di Modena e Reggio Emilia, rivela non soltanto l'assenza di cellule nervose in seguito a trattamento delle cellule di partenza (effettuato con il protocollo contenuto nella richiesta di brevetto di Vannoni), ma anche qualcosa d'altro. Dice il responsabile del laboratorio:
In tutte le terapie con staminali, stando a lavori scientifici pubblicati in letteratura, si utilizzano per ogni somministrazione preparati con almeno un milione di staminali per ogni chilo di peso, quindi in un adulto si va oltre 7o milioni di cellule. Qui le staminali erano 200 mila. In pratica una dose omeopatica.
Ciò che è più grave è che i campioni di cellule - cellule somministrate a pazienti a Brescia - contengono anche ciò che non dovrebbero: inquinanti. In particolare, cellule ematiche, cellule del sangue. La presenza di queste contaminazioni pone, dunque, un serio rischio per la sicurezza delle persone sottoposte al trattamento con questi campioni. Nella migliore delle ipotesi, possono provocare rigetti immunitari.
Già prima dell'esito delle analisi di laboratorio, in seguito al sequestro disposto dai NAS, la AIFA, il 15 maggio 2012, emette un'ordinanza con cui vieta:
prelievi, trasporti, manipolazioni, colture, stoccaggi e somministrazioni di cellule umane presso l'Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia in collaborazione con la Stamina Foundation ONLUS.
Sembra una pietra tombale per Stamina, eppure, anche questa volta, non sarà la fine. Anche perché stanno per accendersi i riflettori della televisione.
A scuola di Filosofia della scienza da Adriano Celentano
Da febbraio del 2013 la trasmissione televisiva Le Iene inizia a mandare in onda una serie di servizi in cui si racconta la storia di alcuni bambini con patologie gravi. A occuparsene sarà sempre l'inviato Giulio Golia. Golia visita in ospedale un bambino affetto da una malattia neurodegenerativa, la SMA (atrofia muscolare spinale) tipo I. Incontra i suoi genitori e parla degli «intoppi legali e burocratici» che impediscono loro di accedere «all'unica terapia che forse può salvarlo». Una «corsa contro il tempo».
I genitori del bambino si mettono in contatto con un professore, Davide Vannoni, presidente della Stamina Foundation, che, dice Golia, «da qualche anno, con un metodo messo a punto dal suo gruppo di ricerca, prova a curare con le cellule staminali». Questa terapia viene somministrata presso una struttura pubblica: gli Spedali Civili di Brescia. «Con questa metodica a Brescia sono state curate altre persone, bimbi, adulti. Sembra che i progressi dei pazienti siano stati notevoli». Non si citano dati, evidenze, non si analizzano cartelle cliniche e non si fanno confronti obiettivi tra prima e dopo queste cure. Ma grazie all'interessamento di Golia, il bambino riesce ad accedere alla cura Stamina a Brescia. Si sottopone a una prima iniezione e, al suo ritorno a casa, Golia incontra i genitori che gli parlano dei miglioramenti avvenuti. Ora sembra in grado di muovere un braccio e un piede. Difficile farsi un'opinione, anche per il coinvolgimento emotivo che inevitabilmente provoca la trasmissione.
In un altro servizio si racconta la storia di Sofia, una bambina affetta da leucodistrofia metacromatica e della lotta dei suoi genitori per accedere alle cure di Stamina, di cui sono venuti a conoscenza. Sofia diventa uno dei simboli della battaglia pro-Stamina. Golia cita le indagini di Guariniello e le ispezioni dei NAS, ma spiega anche come, grazie alle sentenze di alcuni tribunali che garantiscono il diritto all'accesso alle cosiddette «cure compassionevoli», molti pazienti sono riusciti e riescono tuttora ad accedere alla terapia di Vannoni.
Le «cure compassionevoli» sono somministrate quando non sono disponibili altre terapie. Come recita il decreto ministeriale del 2003 l'autorizzazione può essere rilasciata soltanto qualora:
Il medicinale sia già oggetto, nella medesima specifica indicazione terapeutica, di studi clinici sperimentali, in corso o conclusi, di fase terza o, in casi di particolari condizioni di malattia che pongano il paziente in pericolo di vita, di studi clinici già conclusi di fase seconda.
E inoltre:
I dati disponibili sulle sperimentazioni siano sufficienti per formulare un favorevole giudizio sull'efficacia e la tollerabilità del medicinale richiesto.
Sono requisiti che il metodo Stamina, con tutta evidenza, non possiede. Ma questo non impedisce a diversi tribunali di accettare numerosi ricorsi di pazienti e famiglie. Dunque, a dispetto di quanto predisposto da AIFA, le somministrazioni di cellule Stamina continuano (e continueranno fino a oggi) e agli Spedali Civili di Brescia la situazione si fa insostenibile («è un girone dantesco. Un inferno unico», «non sappiamo quel che avviene dopo le dimissioni»).
I ricorsi, nel frattempo, si moltiplicano perché il caso Stamina, dopo i servizi della trasmissione Le Iene, è diventato ormai di dominio pubblico e sempre più persone chiedono di andare a curarsi a Brescia. Nasce il Movimento Pro Stamina Italia, con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica e promuovere la cura. Si susseguono iniziative a sostegno di Vannoni e manifestazioni di piazza, anche con iniziative eclatanti.
Della vicenda inizia a interessarsi anche la politica, sollecitata dalle stesse Iene. Giulio Golia cerca di far ottenere, per Sofia, l'accesso alla cura di Vannoni e invoca per questo l'intervento del ministro della Salute, Renato Balduzzi. Interviene Adriano Celentano:
Signor ministro Balduzzi, l'altra sera ho avuto modo di vedere il programma Le Iene e ho provato un senso di schifo e di vergogna.
Questo nonostante la stessa associazione Famiglie SMA si esprima contro «le campagne mediatiche che stravolgono i fatti».
A marzo, il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro Balduzzi, approva un decreto che garantisce, eccezionalmente, la prosecuzione delle cure con il metodo Stamina all'ospedale di Brescia. A maggio, nonostante il parere negativo di AIFA, Istituto Superiore di Sanità e Centro Nazionale Trapianti, la Commissione Affari sociali della Camera approva il decreto Balduzzi, con un emendamento che stabilisce l'avvio, a luglio, di una sperimentazione clinica del metodo Stamina. A questo scopo la Camera stanzia tre milioni di euro. L'equivalente di 80 borse di dottorato di ricerca.
È qui che insorge la comunità scientifica. L'Accademia dei Lincei si oppone («si rischia di incoraggiare pratiche che si stanno rapidamente diffondendo per esclusivi fini commerciali»), interviene la rivista Nature, insieme ai massimi esperti italiani di cellule staminali, che si rivolgono anche al nuovo ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, per chiedere che il protocollo Stamina sia reso pubblico. Già, ma quale protocollo? Quello della richiesta di brevetto? Dapprima Vannoni non collabora, rifiuta di consegnare i suoi protocolli, afferma che il suo metodo «non è una ricetta» e rifiuta le obiezioni della comunità scientifica. Ma alla fine si convince a modificare la sua ricetta secondo quelle good manufacturing practices (norme di buona fabbricazione) cui deve sottostare ogni protocollo di ricerca. Vannoni consegna i documenti all'Istituto Superiore di Sanità in agosto. Una prima bocciatura, da parte del comitato scientifico, arriva in settembre, in ottobre segue il "no" definitivo del Ministero.
«Il trionfo della fiducia magica nel risultato immediato»
La storia del metodo Stamina ripercorre, soprattutto nelle dinamiche all'interno dell'opinione pubblica, il copione che si è già svolto in passato, durante analoghi casi di medicina mediatica. Sono eventi destinati a ripetersi ciclicamente, perché in grado di smuovere pulsioni profonde, come la nostra empatia (chi non vorrebbe trovare, subito, una cura per un malato?), che nella maggior parte delle persone, comprensibilmente, esercitano un effetto molto maggiore di una fredda rassegna di dati ed evidenze sperimentali.
Anche mettendo in fila i fatti, è difficile darsi una spiegazione razionale del perché una cura senza evidenze di efficacia arrivi a essere discussa, seriamente, da Governo e Parlamento. Colpa della televisione? Se la televisione ha una responsabilità è nel suo potere di inventare storie. E per inventare s'intende anche adottare un punto di vista invece che un altro. Se la trasmissione Le Iene avesse raccontato, del metodo Stamina, la truffa medica oggetto di un'indagine, se avesse raccontato solo una storia di laboratori clandestini, di versamenti di migliaia di euro e denunce, certo l'opinione del pubblico sarebbe stata molto diversa.
Forse allora è colpa della politica? Una classe politica pressoché indifferente ai temi della scienza, della ricerca e della cultura, e che si limita ad amministrare l'emergenza, come ha fatto anche in questo caso, tappando buchi destinati a riaprirsi, certo ha le sue responsabilità.
Ma forse è colpa di tutto un paese, che organizza rivolte pro Stamina mentre diserta le urne in occasione di referendum sulla ricerca (comunque la si pensi in merito). Del resto trova molto seguito, in questo periodo, l'idea che via sia una contrapposizione radicale tra «la gente» e «la Casta» e la Casta, in questo caso, è quella che vuole negare le cure ai malati, magari perché è pagata dalle multinazionali (chi propone cure miracolose, stranamente, non è mai oggetto di simili sospetti). È una spiegazione che ci soddisfa, perché ci mette sempre dalla parte giusta.
Umberto Eco, riferendosi al caso Di Bella, ha parlato di «trionfo della fiducia magica nel risultato immediato» ed è un'espressione che calza bene anche al caso Stamina.
Aggiornamento del 22 ottobre:
I numerosi servizi che la trasmissione Le Iene ha dedicato al caso Stamina hanno dato un contributo fondamentale alla nascita di un diffuso movimento di opinione a sostegno di Davide Vannoni e della sua fondazione. Inoltre, come scritto nell'articolo, l'inviato Giulio Golia si è impegnato anche per sollecitare l'interessamento da parte della politica, fino a far arrivare il caso Stamina all'interno di un commissione parlamentare. Perciò sarebbe importante che Golia e Le Iene si confrontassero sul modo con cui hanno deciso di raccontare la vicenda all'opinione pubblica, sugli elementi che hanno ritenuto di dare e su quelli che invece hanno omesso, per una mancanza di verifica o forse perché interessati solo a raccontare una «storia» come tante altre, senza badare troppo alle conseguenze.
Per questo ho contribuito alla stesura di alcune domande rivolte a Le Iene, nella speranza di avere una risposta. Le domande, che trovate di seguito, sono state preparate insieme ad alcuni giornalisti e blogger che si sono occupati nei mesi scorsi del caso Stamina e vengono pubblicate anche sui loro blog:
Silvia Bencivelli, Marco Cattaneo (Le Scienze) , Salvo Di Grazia (MedBunker), Emanuele Menietti (Il Post), Alice Pace (Wired Italia).
Dieci domande a Giulio Golia e a Le Iene
1. Perché voi di Le Iene non spingete Davide Vannoni a rendere pubblico il metodo Stamina? Se è davvero così efficace, non pensa sia giusto dare la possibilità a tutti i medici e pazienti di adottarlo?
2. Nei suoi servizi per Le Iene ci ha mostrato alcuni piccoli pazienti in cura con il metodo Stamina. Dopo otto mesi e quasi 20 puntate, perché non ha mai coinvolto le altre persone che Vannoni dice di aver curato negli ultimi anni, invitandole a mostrare i benefici del metodo Stamina?
3. Perché non ha mai sentito la necessità di dare voce anche a quei genitori che, sebbene colpiti dalla stessa sofferenza, non richiedono il trattamento Stamina e anzi sono critici sulla sua adozione?
4. Nel primo servizio su Stamina lei dice che Vannoni prova a curare con le staminali casi disperati «con un metodo messo a punto dal suo gruppo di ricerca». Di quale gruppo di ricerca parla? Di quale metodo?
5. La Sma1 non sarebbe rientrata nella sperimentazione nemmeno se il Comitato l’avesse autorizzata, perché lo stesso Vannoni l’ha esclusa, ritenendola troppo difficile da valutare in un anno e mezzo di studi clinici. Come mai continua a utilizzare i bambini colpiti da questa patologia come bandiera per la conquista delle cure compassionevoli?
6. Perché non ha approfondito la notizia delle indagini da parte della procura di Torino su 12 persone, tra cui alcuni medici e lo stesso Vannoni, per ipotesi di reato di somministrazione di farmaci imperfetti e pericolosi per la salute pubblica, truffa e associazione a delinquere?
7. Perché non ha mai interpellato nemmeno uno dei pazienti elencati nelle indagini della procura di Torino?
8. Perché ha omesso ogni riferimento alle accuse di frode scientifica da parte della comunità scientifica a Vannoni, al dibattito attorno alle domande di brevetto e alle controversie che hanno portato a un ritardo nella consegna dei protocolli per la sperimentazione?
9. In trasmissione lei fa riferimento alle cure compassionevoli, regolamentate dal Decreto Turco-Fazio. Perché non ha spiegato che il decreto prevede l'applicazione purché «siano disponibili dati scientifici, che ne giustifichino l'uso, pubblicati su accreditate riviste internazionali»?
10. Se il metodo Stamina si dimostrasse inefficace, che cosa si sentirebbe di dire alle famiglie dei pazienti e all'opinione pubblica?