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Le vittime della cattiva informazione tra mancata tutela della privacy, titoli sensazionalistici e virgolettati inventati

26 Novembre 2022 14 min lettura

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Le vittime della cattiva informazione tra mancata tutela della privacy, titoli sensazionalistici e virgolettati inventati

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Il giornalismo informa, controlla, contestualizza, cura, ma a volte, nelle sue forme meno nobili, lascia sul selciato le sue vittime. Il caso più recente è quello di Roberto Zaccaria, 64 anni, che si è tolto la vita il 6 novembre a Forlimpopoli, in provincia di Forlì-Cesena. Quattro giorni prima, l’uomo era apparso in un servizio del programma televisivo Le Iene, nel quale veniva inseguito dall’inviato Matteo Viviani che gli poneva domande pressanti su un altro caso di suicidio [la puntata integrale dell'1 novembre non è più presente sul sito de Le Iene, ndr]: quella di un ventiquattrenne forlivese che aveva avuto un lungo rapporto virtuale di tipo sentimentale con Zaccaria, che però si fingeva una donna. Attorno alle Iene è scoppiata una grossa polemica, mentre per la morte di Zaccaria la procura di Forlì ha aperto un’indagine contro ignoti con l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio.

In casi come questo, anche il Garante della Privacy potrebbe intervenire sul tema della mancata tutela dell’identità delle persone coinvolte. Impossibile invece per l’Ordine dei Giornalisti sanzionare a livello disciplinare i responsabili, poiché molti inviati delle Iene non hanno il tesserino da giornalista. “Purtroppo è difficile riuscire a portare questo giornalismo spazzatura a pagare le conseguenze delle sue azioni, perché si trincera dietro al diritto di cronaca”, spiega a Valigia Blu Anna Masera, giornalista che fino all'ottobre 2021 è stata garante dei lettori a La Stampa. “Se le telecamere non hanno varcato suolo privato, gli inviati delle Iene si sentono legittimati a fare tutto: alla fine ci si passa sopra e si lascia fare, perché si sa che in tribunale non si vince”.

Secondo Masera, sarebbe utile che le trasmissioni che spettacolarizzano l’informazione non ricadessero nella categoria del giornalismo, e che fossero soggette a regole sulla privacy più rigide. “Non credo in campagne moralizzatrici, men che meno nella politica che vuole cogliere l’occasione di questi scandali per legiferare rischiando di ridurre la nostra libertà di espressione”, afferma. “Credo però nella capacità del pubblico di fare campagne culturali per aumentare la qualità dell’informazione e stigmatizzare la spazzatura. Che sia il pubblico a punire queste trasmissioni, riducendone l’audience e convincendo l’editore a chiuderle”.

Diritto di cronaca o violazione della privacy?

La vicenda è cominciata un paio di anni fa, quando un ragazzo di 24 anni di Forlì, Daniele, ha conosciuto online una certa Irene Martini. I due hanno iniziato a scriversi e hanno instaurato una relazione virtuale: in un anno si sono scambiati circa ottomila messaggi, pianificando di andare a vivere insieme e di sposarsi. Il tutto senza che fosse avvenuto nessun incontro dal vivo. 

Peccato che Irene fosse in realtà Roberto Zaccaria che, oltre a spacciarsi per la ragazza, con altri profili fingeva di essere suo fratello (Braim) o un’amica di lei (Claudia): è stato un caso di catfishing, un adescamento in cui ci si spaccia per qualcun altro attraverso account falsi. Quando un anno fa Daniele ha rotto la relazione con “Irene”, non ha retto e si è tolto la vita. In seguito, i genitori hanno scoperto il raggiro: hanno presentato un esposto ai carabinieri e la procura di Forlì ha aperto un’indagine con due ipotesi di reato, “morte come conseguenza di un altro reato” e “sostituzione di persona”. Le indagini hanno portato a Zaccaria, che nel giugno del 2022 è stato condannato a pagare una multa di 825 euro per sostituzione di persona, mentre la procura ha chiesto l’archiviazione per il primo reato. Da parte di Zaccaria, nei confronti di Daniele, non era avvenuto nessun tentativo di estorsione.

È qui che arrivano le Iene. L’inviato Matteo Viviani ha avvicinato Zaccaria nel centro di Forlimpopoli, un paese di 13mila abitanti, mentre era a passeggio con la madre invalida sulla carrozzina: Zaccaria ha tentato di allontanarsi, ma è stato inseguito da Viviani, che nel frattempo gli leggeva alcuni dei messaggi intimi che si era scambiato con Daniele e lo incalzava con domande come “Qual è il motivo che l’ha spinta a fargli così male?”. A un certo punto Zaccaria è diventato aggressivo e ha tentato di allontanare Viviani spintonandolo, mentre la madre anziana urlava “Oddio!” e andava a sbattere contro una colonna. Prima della messa in onda, Zaccaria aveva inviato una diffida a Mediaset, ma non è bastato: il servizio è stato trasmesso ugualmente il primo novembre su Italia 1, in prima serata. Il volto di Zaccaria era oscurato, ma l’uomo era comunque riconoscibile: si vedeva che era pelato, si distinguevano i tatuaggi, si sentiva la sua voce. Il giorno dopo a Forlimpopoli erano apparsi manifesti con la sua faccia e la scritta “Muori e vai all’inferno”. Sabato 6 novembre, l’uomo si è tolto la vita.

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La polemica sul servizio delle Iene si è sviluppata da un articolo dell’opinionista Selvaggia Lucarelli pubblicato sul quotidiano Domani, in cui il programma viene definito “socialmente pericoloso”: “Sono due decenni che si assiste allo scempio che Le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private. A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo”. 

Nella puntata dell’8 novembre, Le Iene hanno replicato alle accuse: Viviani in apertura del programma ha detto che “sicuramente continueremo a occuparci di catfishing perché imparare a riconoscere il problema è un passo per evitarlo”. E il conduttore Teo Mammuccari ha affermato che “questo tema merita riflessioni profonde che continueremo a condividere con voi”. 

Due giorni dopo l’amministratore delegato di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, è intervenuto sul caso: “Penso che dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti [...] Servono attenzione e sensibilità, non è facile. Le Iene è un programma fatto da signori professionisti, Davide Parenti è bravo. Ma è una questione di sensibilità personale: da editore dico che quella cosa lì non mi è piaciuta”.

Anche Davide Parenti, ideatore del programma, ha scritto che “dal giorno del suicidio non smettiamo di domandarci qual è il limite, come bilanciare il diritto a fare informazione su fatti importanti e il diritto alla privacy, anche quella di chi è responsabile di questi fatti. Molti, dopo la morte di Roberto, hanno sollevato critiche sul nostro modo di raccontare, hanno sostenuto che è stato sbagliato, eccessivo. Accogliamo tutte queste critiche. Chi fa il nostro lavoro si muove sul filo sottile della libertà di cronaca, una funzione delicatissima, per questo tutelata dalla Costituzione e disciplinata dalla legge. Molti oggi vorrebbero collegare il gesto di Roberto Zaccaria al fatto di essere stato incalzato da un nostro inviato, perché ha trovato il suo modo irruente, violento. Eppure esiste una differenza tra sensibilità e nesso di causalità”.

Le altre vittime del sensazionalismo dei media

Non è la prima volta che il programma Le Iene viene accusato di utilizzare metodi molto aggressivi e di sottoporre le persone alla cosiddetta “gogna mediatica”. Ma purtroppo esistono anche altri casi di testate che, perseguendo un modello di giornalismo sensazionalista alla ricerca dello scoop, hanno contribuito a mettere alla berlina persone che poi si sono tolte la vita, non potendo reggere la pressione della cattiva stampa.

Nel 2005 c’è stato il caso di Giuseppe Ales, 23 anni, incensurato: Giuseppe viveva a Pantelleria, un’isola di 7mila abitanti a largo della costa sud occidentale della Sicilia. Lavorava come geometra e nel tempo libero faceva il manovale per aiutare la famiglia. Il 18 marzo, otto carabinieri fanno irruzione nella sua abitazione, senza alcun mandato di perquisizione: in casa c'erano solo i genitori e la nonna. Trovano alcune piantine di marijuana: Giuseppe viene denunciato per traffico e produzione di stupefacenti. Rischia da uno a 6 anni di carcere. Il giorno dopo, Il Giornale di Sicilia pubblica un articolo dal titolo “Scoperto traffico nell'isola, arrestati gli spacciatori”. Nel testo, vengono resi noti nomi, cognomi e indirizzi di residenza delle persone coinvolte in un’operazione antidroga svolta il giorno prima nella provincia di Trapani, tra cui Giuseppe: per questo articolo, la testata riceve tre querele. Nel pomeriggio del giorno successivo, Giuseppe si toglie la vita.

Una storia simile è quella di Alberto Mercuriali, 28 anni, agronomo. Era il 5 luglio del 2007 quando Alberto viene fermato dai carabinieri perché stava fumando marijuana insieme a due amici. Le forze dell’ordine procedono con una perquisizione a casa sua a Castrocaro, in provincia di Forlì: dentro a un libro trovano una piccola quantità di hashish. Domenica 8 luglio Il Resto del Carlino titola “Imbottito di droga. Insospettabile agronomo smascherato dai carabinieri”. Non c'è il suo nome, ma molti altri dati sì, e ci vuole poco a fare due più due in un paese di cinquemila abitanti. Il telefono di Alberto comincia a squillare. Il giorno dopo, l’uomo si toglie la vita. La famiglia denuncia stampa e carabinieri per induzione al suicidio: l’inchiesta però viene archiviata, Il Resto del Carlino ha esercitato il diritto di cronaca. 

Cosa possono (e non possono) fare i giornalisti

Il diritto di cronaca è tutelato dall’articolo 21 della Costituzione italiana. Il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può essere effettuato senza il consenso dell’interessato, ma pur sempre con modalità che ne garantiscano il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità personale. Questo è quanto prevede il Testo unico dei doveri del giornalista: in particolare, le regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, all’articolo 8, stabiliscono che “salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine”.

Il testo non è solo una normativa interna ai professionisti del settore: è richiamato dal Codice della privacy (decreto legislativo 196/2003, aggiornato con il decreto legge 139/2021) e dal Gdpr (General Data Protection Regulation, il Regolamento europeo 2016/679) e ha quindi valore di legge. La sua violazione implica sia una responsabilità disciplinare, da far valere davanti al Consiglio dell’Ordine dei giornalisti competente, sia una responsabilità di tipo civile, con conseguente obbligo di risarcimento del danno per il cronista e la testata per cui lavora. 

Carlo Bartoli, presidente del Consiglio dell’Ordine, riguardo al suicidio di Roberto Zaccaria in una nota ha scritto che “continuiamo a ricevere richieste di intervento sulla vicenda che ha coinvolto il programma Le Iene. Ci sono programmi televisivi non giornalistici che quotidianamente violano il principio di presunzione di innocenza, in qualche caso con conseguenze drammatiche come accaduto di recente. L’informazione professionale è altra cosa, ha un perimetro deontologico, ha dei doveri da osservare, a partire dal linguaggio e dal rispetto delle persone. Quando questo non accade il giornalista può essere sottoposto a provvedimenti disciplinari nei modi stabiliti dalla legge. Per chi non è giornalista, c’è la magistratura”.

Anche il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Riccardo Sorrentino, ha mandato una lettera a Pier Silvio Berlusconi per rispondere alle sue dichiarazioni, affermando che “parlare del lavoro delle Iene a proposito delle vicende di Roberto Zaccaria e del 24enne Daniele come di lavoro giornalistico è sbagliato [...] perché il programma che ospita i video delle Iene non è una testata registrata e non rispetta dunque le regole prescritte dall’ordinamento giuridico per l’attività giornalistica (come accade, purtroppo, anche per altri programmi delle televisioni da Lei guidate) e perché i componenti delle Iene, pur svolgendo attività che voi considerate giornalistiche, non sono iscritti all’Ordine”. Sorrentino invita poi Berlusconi a fare almeno un primo passo verso la regolarizzazione della situazione, dando “forma giornalistica a quel lavoro, attraverso la registrazione al tribunale dei programmi che fanno a qualsiasi titolo informazione con la conseguente nomina di un direttore responsabile che sia garante della correttezza del lavoro che abbia una dimensione informativa”.

Intorno all’Ordine dei giornalisti e alla sua capacità di intervenire in casi come questo è in atto da anni un vivace dibattito. Anche perché, anche quando a essere implicati sono giornalisti con regolare tesserino, si è constatata una certa reticenza dell’Ordine a prendere posizione.

Per capire le motivazioni, bisogna tener conto del fatto che la sua principale mansione non è quella di vigilare sulla qualità del lavoro giornalistico, ma di tutelare i suoi iscritti, cioè i giornalisti stesso. Quando accadono casi come quelli di Ales, Mercuriali e Zaccaria, in molti si chiedono allora se il ruolo dell’Ordine sia ancora fondamentale, se sia da riformare o se sia invece inutile e da abolire. Ma qualcosa, lentamente, sta cambiando: pochi giorni fa sono state aggiornate alcune modalità di accesso all’esame di stato da giornalista, a cui verrà ammesso anche chi lavora come freelance e non ha una testata di riferimento, che potrà fare praticantato e prendere il tesserino. “È un modo per allargare l’Ordine, riconoscere la professionalità di tanti giornalisti precari e far sentire voci diverse”, spiega Anna Masera. “La speranza è che si vada verso uno svecchiamento della professione”.

Il problema dei virgolettati inventati

Meno grave, ma sempre problematica e attuale, è poi la questione dei virgolettati inventati. Sui giornali leggiamo spesso dichiarazioni riportate tra virgolette, che però non corrispondono alle parole dette realmente dalla persona intervistata. La pratica è illustrata chiaramente in una vignetta di Zerocalcare pubblicata sul suo profilo Twitter lo scorso 18 ottobre. Il giornalista di Repubblica gli chiede: “Pensi che in Italia ci sia il rischio del ritorno del fascismo?”. Zerocalcare risponde in maniera articolata: “No, non penso che ritorna il fascismo. I riferimenti economici restano sempre quelli neoliberisti e il posizionamento internazionale rimane atlantista. Penso che delle differenze ci possono stare sul piano della società, dei diritti, in senso autoritario e tradizionalista. Che è drammatico eh, mica dico di no, ma ecco non penso che mò per vent’anni non ci stanno più le elezioni”. Come trascrive questo concetto Repubblica? “È drammatico. Però, insomma, spero che in Italia ci siano di nuovo delle elezioni, almeno entro i prossimi vent’anni”. Il Secolo d’Italia riprende poi la notizia travisando ulteriormente le parole del fumettista: “La ridicola tesi del ‘democratico’ Zerocalcare: ‘Tornare al voto, Italia nel dramma con la destra’”. Un pericoloso gioco del telefono senza fili, che non danneggia solo chi rilascia la dichiarazione, ma anche la credibilità e la reputazione degli organi di stampa e degli stessi giornalisti.

Nelle ultime settimane, altri due casi hanno riaperto il dibattito sui virgolettati inventati, questa volta nell’ambito della cronaca politica. Il primo è quello che ha coinvolto, il 27 settembre, il primo ministro Giorgia Meloni. La Repubblica pubblica un articolo intitolato “Il veto di Meloni su Salvini: ‘Matteo non avrà ministeri chiave’”. Ma nel testo non si trovano tracce di questo virgolettato. Il giorno successivo è la volta della Stampa, che titola “Meloni non cede su Salvini: ‘Non lo voglio, è vicino a Putin’”. All’interno dell’articolo, di nuovo, non c’è nessuna frase di questo tipo: l’unico riscontro sta in una dichiarazione attribuita neanche a Giorgia Meloni, ma a uno dei dirigenti di Fratelli d’Italia, la cui identità non viene rivelata: “’Come ci si può presentare a Washington con un ministro di peso che voleva farsi comprare dall’ambasciata russa i voli per Mosca?’ si chiede uno dei dirigenti che ha mandato un messaggio chiaro a Meloni: ‘Deve restare fuori’”. Poche ore dopo, Giorgia Meloni interviene su Twitter, postando una foto dei due titoli e commentando: “Trovo abbastanza surreale che certa stampa inventi di sana pianta miei virgolettati, pubblicando ricostruzioni del tutto arbitrarie. Si mettano l’anima in pace: il centrodestra unito ha vinto le elezioni ed è pronto a governare. Basta mistificazioni”.

E poi c’è la vicenda che ha coinvolto il 30 ottobre il presidente del Senato Ignazio La Russa che, in un’intervista rilasciata a La Stampa, alla domanda "Celebrerà il 25 aprile?" risponde: “Dipende. Certo non sfilerò nei cortei per come si svolgono oggi, perché lì non si celebra una festa della libertà e della democrazia ma qualcosa di completamente diverso, appannaggio di una certa sinistra”. Il titolo pubblicato sul quotidiano però riporta un virgolettato diverso: “Non celebrerò questo 25 aprile”. La Russa allora accusa La Stampa di aver scritto un titolo “volutamente fuorviante”. Il direttore della Stampa Massimo Giannini replica allora che il titolo “non ha ‘fuorviato’ un bel niente”, chiedendo ai lettori di valutare se quel virgolettato travisa il senso delle parole di La Russa: “Risposta netta e inequivocabile, quella del presidente del Senato, da cui si deduce che, ‘ad oggi’, non lo celebrerà. 

Quanto al ‘domani’, chissà, magari il presidente La Russa ha in animo di festeggiarlo privatamente, nella sua casa in cui troneggia il busto del Duce, oppure di organizzare qualche suo corteo alternativo, cosa che a questo punto dell'avventurosa transizione italiana, purtroppo, non si può escludere”. Un punto di vista condivisibile, quello di Massimo Giannini, che però non affronta la questione che sta alla base della polemica: le parole scritte tra virgolette devono riportare fedelmente quanto detto, senza aggiunte, modifiche né interpretazioni. Bastava non mettere la frase tra virgolette, e il titolo sarebbe stato corretto.

Nel giornalismo anglosassone, invece, per finire in pagina il virgolettato deve rigorosamente uscire dalla bocca dell’intervistato: per questo, i giornalisti in genere registrano e usano espressioni come “I need a quote” o “Can you rephrase that?”, per chiedere alla persona di dire una frase chiara e letterale da citare nel testo. Se l’intervistato è stata confuso o ha espresso un concetto con una frase di troppo, si chiede di ripetere. E se va aggiunta una parola in più per rendere la dichiarazione comprensibile, questa va segnalata tra parentesi quadre. In un articolo di Matteo Bordone su Il Post, si parla delle virgolette nel giornalismo anglosassone come “uno spazio sacro”, “il confine tra lo spazio a discrezione del giornalista e quello inviolabile dell’intervistato”. 

In Italia, invece, vige la regola non scritta che non sia necessario rispettare così rigidamente le virgolette: il virgolettato è spesso una libera sintesi di quello che è stato effettivamente detto, tanto che a volte si arriva a travisare il senso della dichiarazione originale. “I quotidiani italiani hanno sempre utilizzato i virgolettati con una certa creatività, soprattutto nei titoli: l’obiettivo è attirare e incuriosire il lettore e alimentare il dibattito”, spiega Anna Masera. “C’è poi una ragione di spazio: il titolo è ancora pensato in base agli ingombri della pagina. Chi lo scrive è quasi sempre il caporedattore e non l’autore dell’articolo: spesso ha un’idea preconcetta della notizia e a volte non ha neanche il tempo di leggere il pezzo. È una delle molte cattive abitudini che dimostrano la debolezza del giornalismo italiano, che non impara dai propri errori e non sembra aver intenzione di cambiare”. Questo atteggiamento non è privo di conseguenze, perché mina la reputazione dei media e fa perdere di valore anche a quei contenuti di reale qualità. “Non ci dobbiamo lamentare se i giornali continuano a perdere copie”, conclude Masera. “In un’epoca in cui la disinformazione è tanta, il pubblico vuole un giornalismo diverso, un giornalismo che si attenga ai fatti e che sia di servizio ai lettori. Superando il sensazionalismo e il titolo a effetto”.

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Immagine in anteprima: frame video della puntata de Le Iene andata in onda lo scorso 1 novembre

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