I partiti e la manovra: autolesionismo da guerra fredda?
4 min letturaNessuno è contento della manovra Monti. E non è una questione ideologica
o parziale: le valutazioni sono approfondite e circostanziate.
A sinistra non piace l'intervento sulle pensioni, a destra il
ritorno dell'Ici e l'aumento della pressione fiscale.
Dal Pd denunciano scarsa equità, il Pdl non si presenta in Parlamento
(solo un quarto dei componenti del gruppo parlamentare alla Camera era
ieri tra i banchi ad ascoltare la relazione di Monti).
Neanche il Terzo Polo, principale sponsor del governo tecnico, sembra
gradire particolarmente la medicina che il Governo sta somministrando
agli italiani e, di conseguenza, anche ai loro elettori.
Alla fine però questa manovra sarà votata da un'ampia
maggioranza. Berlusconi ha proposto di porre la questione di fiducia,
Casini si è accodato. Una proposta non banale e che certifica, se mai
fosse necessario, che il pallino è ancora saldamente nelle mani del
Parlamento e dunque delle forze politiche. Non si spiegherebbe
altrimenti come sia possibile che il governo con la più ampia
maggioranza della storia (più dell'80% del Parlamento lo ha sostenuto
alla sua fondazione) debba ricorrere al voto di fiducia sul suo primo
provvedimento, peraltro caricato di un potentissimo significato
retorico. Monti avrebbe fatto felice Lakoff: chiamando la manovra salva-Italia
pone gli oppositori nella condizione cognitiva di essere anti-Italia.
Ma cosa succederebbe alla credibilità di Monti se fosse necessaria
un'altra manovra?
Se la politica come sistema è ancora molto
forte, lo stesso non si può dire delle singole forze politiche. Tutti i
grandi partiti si trovano in una situazione di profondo imbarazzo. Se
siamo arrivati a una manovra che non mette d'accordo nessuno è proprio a
causa dei veti incrociati: ogni leader ha voluto mettere la firma su un
provvedimento correttivo che però ha rappresentato un elemento oggetto
di contestazione parziale o totale da parte della controparte. E così i
capitali scudati sono stati tassati ma non troppo, non c'è stato
l'aumento dell'Irpef ma si è chiesto un sacrificio alle pensioni, ma non
a quelle d'oro. Ci sono state imposte di tipo patrimoniale, ma
'orizzontali' (l'Ici) e non sulle grandi ricchezze: il superbollo
riguarda quasi tutti e la tassa sul lusso invece riguarda una nicchia
molto particolare, quella dei possessori di posti barca. La
tracciabilità c'è, ma la soglia è stata spostata in su, da 500 a 1000€.
E questi sono i provvedimenti approvati. Se pensiamo a tutto ciò
che invece non è stato neanche tenuto in considerazione -misure per la
lotta all'evasione, pagamento dell'Ici per le proprietà commerciali
della Chiesa, tagli incisivi dei costi della politica sono le misure più
richieste-, possiamo facilmente immaginare la profondità e la
complessità della trattativa.
Ne emerge una manovra sfumata, da 'vorrei ma non posso', dove
questa frase corrisponde sia a ciò che il Governo avrebbe voluto mettere
in campo senza riuscirci, sia a ciò che i partiti pensano oggi:
vorrebbero non votare la manovra, ma sono obbligati a farlo. La
contestano, si oppongono -specie per le uscite individuali di alcuni
battitori liberi, che non si rendono conto del danno comunicativo di
quelle uscite, affermando il contrario di ciò che poi faranno- ma poi si
preparano a dire il contrario di ciò che sostengono, aumentando così la
distanza già siderale con i cittadini. Comunicare l'indigeribilità
della manovra è, dunque, il primo grave errore di comunicazione. I
leader dovrebbero restare in silenzio, lavorare nelle commissioni, e poi
attestarsi i meriti eventuali degli emendamenti dopo il voto. In questo
scenario Monti ha un ingrato ruolo 'scisso': leader forte e mediatore
'debole'. La sua autorevolezza personale cresce giorno dopo giorno,
comunica bene e gode anche di grandi capacità di leadership; molto si è
detto delle lacrime della Fornero, pochissimo della capacità di Monti di
gestire quella crisi comunicativa. Allo stesso tempo scende il suo
potere negoziale verso i partiti che, pressati dalla necessità di non
far scappare il loro elettorato, trattano su tutto.
Ed è qui che, a mio avviso, i partiti stanno oggi commettendo il
secondo errore: diluire una manovra oggi, quando il consenso dei
cittadini sulla necessità di fare dei sacrifici è massimo e altrettanto
massima è la distanza dalle elezioni (ci si può solo avvicinare al
momento del voto), è il miglior modo per ritrovarsi poi a dover
affrontare sfide molto più gravose nei prossimi mesi. Quando il Governo
chiederà ai partiti ciò che i cittadini chiedono oggi, i partiti
dovranno scegliere, con urgenza ancora maggiore, se cedere alle
pressioni o far saltare il Governo, attestandosi la responsabilità di
una crisi politica che, a detta di molti esperti italiani e
internazionali, diventerebbe il giorno dopo una crisi economica
mondiale.
Lo ha capito l'Idv che oggi subirà una serie interminabile di
critiche, ma che probabilmente ha solo anticipato un comportamento di
uscita dalla maggioranza che, progressivamente, coinvolgerà pezzi anche
significativi dei partiti che oggi appoggiano i provvedimenti di Monti.
Giocare d'anticipo garantirà un credito elettorale difficilmente
contestabile soprattutto se ci sarà fibrillazione nelle forze politiche
che, facendo mancare l'appoggio in futuro, saranno ben più
irresponsabili dei dipietristi oggi.
La guerra fredda Pd-Terzo Polo-Pdl sta consegnando all'Italia una
manovra impopolare (non equa), ma che va approvata, come riporta il sondaggio Ipr per Repubblica
di oggi. I veti incrociati fanno male solo ai partiti: approvare tutto
ciò che non piace ai loro elettorati di riferimento, tutto insieme,
avrebbe portato allo stesso effetto di socializzazione dei danni
elettorali ottenuti con la manovra 'diluita', ma avrebbe messo tutti
nelle condizioni di lavorare per un anno, e in tranquillità, sul
recupero del consenso.
L'attuale manovra è invece impopolare (doppiamente grave, perché
i cittadini sono pronti ad affrontarla) non tanto per le misure che
contiene, ma per ciò che non ha al suo interno. E ciò che non c'è è
percepito dai cittadini come esclusiva responsabilità dei partiti e non
di Monti (percepito come un patriota costretto ad accettare i veti pur
di salvare l'Italia)
Il percorso, però, è oramai segnato. O si rovescia il tavolo oggi,
ignorando le motivazioni elettorali, o le motivazioni elettorali saranno
proprio il paradossale motivo per un'inevitabile perdita di consenso.