L’arresto del pediatra e direttore dell’ultimo ospedale rimasto a nord di Gaza, Hussam Abu Safiya, e la distruzione del sistema sanitario
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Hussam Abu Safiya era già stato arrestato dai soldati israeliani. Era successo a fine ottobre, per poche ore. Il direttore sanitario del Kamal Adwan, l’ospedale della cittadina di Beit Lahiya, il più importante nosocomio del nord della Striscia di Gaza, era stato preso assieme ad altre decine di medici e di personale sanitario, interrogato e poi rilasciato. Rilasciato, quasi subito, mentre l’ospedale continuava a essere sotto un assedio durissimo, più duro di quello che, a corrente alternata, ne aveva reso difficile l’operatività già all’indomani del 7 ottobre 2023.
Un prezzo altissimo, però, i militari israeliani glielo avevano fatto comunque pagare, al dottor Hussam Abu Safiya, palestinese, pediatra, medico molto stimato, nato 51 anni fa a Jabalia, a un pugno di chilometri proprio dall’ospedale. Un drone delle forze armate israeliane aveva ucciso suo figlio Ibrahim, appena quindici anni, colpendolo mentre si trovava all’ingresso del centro sanitario. Suo padre aveva guidato la preghiera durante il funerale. Indossava il camice bianco, il camice d’ordinanza dei medici di tutto il mondo.
È lo stesso camice bianco che il dottor Hussam Abu Safiya avrebbe indossato due mesi dopo, il 27 dicembre del 2024, nell’immagine divenuta iconica e virale nei social, i veri canali di informazione globale riguardanti la guerra su Gaza. Nella foto, Hussam Abu Safiya si inerpicava tra le macerie del quartiere distrutto dalle truppe israeliane. Solo. Incredibilmente solo, nel camice bianco, in mezzo alle macerie di Beit Lahiya: la rappresentazione simbolica della popolazione di Gaza, sola, nel nulla di un mondo (politico) assente.
In cima alla strada distrutta, due carri armati dell’esercito di Tel Aviv. È l’ultima immagine che abbiamo di Hussam Abu Safiya, assieme a quel video che le forze armate israeliane hanno montato e diffuso il giorno dopo, e che ritrae il medico ‘accolto’ dai militari dentro l’abitacolo di uno dei due tank. Abu Safiya è lì per trattare i termini dell’evacuazione dell’ospedale di cui è direttore sanitario. Poi, più nulla. Nessun’altra immagine, e soprattutto nessun’altra registrazione della sua voce, che per mesi aveva descritto passo per passo la vita, il dolore, la mancanza di tutto, l’assedio, le morti, i bombardamenti di parti dell’ospedale, il suo stesso ferimento a opera di un cecchino israeliano, le sue richieste pressanti per la fine dell’assedio impenetrabile. Una voce conosciuta in pochi mesi in tutto il mondo, da quel buco nero che era divenuto l’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya. Un volto conosciuto, divenuto famoso. Forse troppo, per chi ha voluto mettere sotto silenzio tutto ciò che succede a Gaza, non solo impedendo l’ingresso di giornalisti internazionali, ma soprattutto uccidendo oltre duecento giornalisti palestinesi di Gaza.
Dopo la sua scomparsa, di lui si sanno notizie di seconda, terza mano. È stato arrestato assieme a decine di altri medici, personale sanitario, civili che si trovavano nell’ospedale Kamal Adwan. Forse condotto a Sde Teiman, il famigerato centro di detenzione militare su cui si addensano le accuse pesantissime di torture, violazioni, sodomizzazioni dei detenuti, morti per negligenza e pestaggi.
A chiedere della sua sorte, sono le associazioni per la difesa dei diritti umani. A pretendere spiegazioni e notizie è soprattutto l’associazione principe dei medici per diritti umani israeliani, Physicians for Human Rights–Israel (PHRI), che subito contesta la prima risposta delle autorità militari israeliane: “Non si hanno indicazioni dell’arresto o della detenzione” del direttore dell’ospedale Kamal Adwan.
L’associazione presieduta da una delle figure storiche del pacifismo israeliano, Ruchama Marton, si muove subito per raccogliere testimonianze e contestare la risposta ufficiale, anche a nome della famiglia di Hussam Abu Safiya. I medici palestinesi dell’ospedale Kamal Adwan, interpellati dal PHRI, descrivono ciò che è successo dopo il fermo immagine che mostra il dottor Hussam Abu Safiya nel carroarmato israeliano. I palestinesi vengono riuniti e condotti nella scuola al Fakhoura. Come già spesso mostrato in altri arresti di massa, i maschi vengono fatti denudare, sino a rimanere solo con gli indumenti intimi. Dopo alcune ore, dice uno dei testimoni sentiti da PHRI, “gli ufficiali ci hanno detto che un gruppo sarebbe stato arrestato, mentre un altro gruppo avrebbe potuto lasciare la scuola… All’ultimo minuto, hanno chiamato di nuovo il dottor Hussam, gli hanno fatto indossare l’uniforme bianca dei prigionieri, di fronte a tutto il personale medico. È stato quindi ufficialmente arrestato e rimasto in loro custodia. Noi, invece, abbiamo lasciato la scuola e ci siamo incamminati verso la nostra destinazione”.
Le autorità militari cambiano la loro versione. Sì, dicono, Hussam Abu Safiya “è in questo momento sotto interrogatorio delle forze di sicurezza israeliane”, senza però aggiungere accuse specifiche, se non il sospetto che sia un terrorista e che rivesta un ruolo importante dentro Hamas.
La prima domanda, banale e allo stesso tempo senza risposta, emerge sin da subito. Se il dottor Hussam Abu Safiya fosse stato considerato organico ad Hamas, perché i soldati israeliani non lo avevano trattenuto già alla fine di ottobre? L’accusa di “essere di Hamas”, assieme alle accuse che gli ospedali siano centri di comando di Hamas, rispondono a uno schema che va avanti da quindici mesi. Le accuse non sono mai state circostanziate, sono rimaste vaghe, come confermato nei rapporti che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dedicato al genocidio di Gaza e che sono consultabili in rete.
Il caso di Hussam Abu Safiya ha assunto una dimensione globale, e soprattutto simbolica. È attraverso la sua storia personale che emerge con più forza quello che sta succedendo al personale sanitario e all’intera rete degli ospedali di Gaza. Oltre mille medici e operatori sanitari sono stati uccisi dall’ottobre 2023, secondo i dati raccolti dal ministero della Salute palestinese, mentre meno di metà dei 36 ospedali di Gaza è ancora, e solo parzialmente, funzionale. 17 ospedali sono fuori uso, compreso il più grande, al Shifa, il primo a essere preso di mira dalle forze armate israeliane, che si sono particolarmente concentrate sul sistema sanitario. Le denunce dell’OMS e delle agenzie dell’Onu sono quotidiane, anche se rimangono inascoltate. Situazione ancora più pesante al nord della Striscia, perché subito dopo la chiusura ed evacuazione del Kamal Adwan, le forze armate israeliane si sono dirette contro gli altri due ospedali, a poca distanza l’uno dall’altro. L’ospedale indonesiano, già parzialmente distrutto, e al Awda.
Perché? Perché contro gli ospedali, in patente violazione del diritto internazionale umanitario? L’interpretazione diffusa, sia tra le associazioni per i diritti umani, così come tra i giuristi e gli analisti, è che è l’intera vita civile di Gaza che deve essere annientata. Dagli ospedali alle scuole, dai serbatoi dell’acqua alle centrali elettriche, dalle strade ai panifici. Tutto deve essere disarticolato e distrutto, per cancellare la memoria, sterminare gli abitanti, impedire che a Gaza si possa rimanere.
A raccontare tutto, visivamente, è uno degli ultimi lavori di Forensic architecture, il centro di indagine interdisciplinare dell’Università Goldschmid di Londra, fondato e diretto da Eyal Weizman. A Cartography of Genocide descrive nei minimi particolari la strategia e gli obiettivi delle forze armate israeliane. I medici sono bersagli privilegiati perché sono oggettivamente il primo ostacolo al genocidio. Hussam Abu Safiya ne è il simbolo.
Immagine in anteprima: Frame video Al Jazeera via YouTube