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Hong Kong: le proteste non si fermano. La strategia social degli attivisti e la disinformazione di Stato

11 Settembre 2019 8 min lettura

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Hong Kong: le proteste non si fermano. La strategia social degli attivisti e la disinformazione di Stato

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di Carola Frediani*

La scorsa settimana Carrie Lam, capo dell’esecutivo di Hong Kong, ha annunciato in Tv il ritiro del disegno di legge di estradizione in Cina per alcuni reati che da giugno ha innescato proteste e manifestazioni di piazza, con l’arresto di oltre mille persone. Una prima vittoria per i manifestanti che da mesi protestano a Hong Kong. Più volte, in passato, la leader aveva ribadito che il progetto di legge era “morto”, ma, di fatto, non era mai stato ritirato.

Malgrado il ritiro della contestata legge sull'estradizione (considerata dai dimostranti un cavallo di Troia per arrestare anche dissidenti) le proteste, però, non accennano a fermarsi. Tra le prime reazioni del campo democratico e sui forum dei giovani si ripete la frase "troppo poco e troppo tardi". Il ritiro della legge non sembra infatti aver soddisfatto la maggior parte dei manifestanti e le proteste continueranno perché la natura del movimento di protesta si è trasformata e ingrandita nelle ultime 13 settimane e nuove richieste sono state avanzate, come in questi giorni è spesso ribadito dai partecipanti su svariati social al grido di #FiveDemandsNotOneLess:

Non solo il ritiro (ora ottenuto) della legge sulla estradizione, dunque, ma anche il rilascio degli arrestati con archiviazione delle accuse, il ritiro della definizione di riot (sommosse) per le proteste, una indagine indipendente sulla brutalità della polizia, e soprattutto l’implementazione di un vero suffragio universale per scegliere i propri leader.

Lunedì, prima dell'ingresso a scuola, centinaia di studenti in uniforme, con addosso una mascherina a coprire la bocca, hanno formato catene umane nei distretti di Hong Kong a sostegno dei manifestanti dopo un altro fine settimana di scontri nella città governata dalla Cina. Gli studenti, brandendo manifesti con le cinque richieste nei confronti del governo, hanno invitato le autorità a rispondere alle istanze di maggiore libertà, garanzia e tutela dei diritti umani, riconoscimento di uno stato di diritto, riporta Reuters.

Domenica scorsa, invece, uno degli attivisti del campo democratico, Joshua Wong (fondatore e dirigenti del partito politico Demosisto che si batte per l’autodeterminazione di Hong Kong), aveva dichiarato di essere stato fermato all'aeroporto di Hong Kong per "violazioni delle condizioni della cauzione" dopo essere tornato da Taiwan e mentre era diretto in Germania dove era stato invitato a partecipare a "un grande evento con politici e dirigenti del parlamento tedesco". Insieme ad altri attivisti, Wong era stato arrestato a fine agosto accusato, tra i vari capi di imputazione, di "incitare gli altri a prendere parte a riunioni non autorizzate", e poi rilasciato su cauzione. Il giovane attivista è stato rilasciato il giorno successivo dopo che un tribunale ha ravvisato un errore procedurale nell'arresto: i termini della sua cauzione consentono infatti viaggi all'estero programmati da tempo. In un tweet Wong aveva definito ridicolo l'arresto in aeroporto, a suo avviso "diretta conseguenza della persecuzione politica" nei suoi confronti.

In questo contesto i dimostranti sanno di essere a un bivio, e che la decisione di continuare a protestare malgrado l’apparente e parziale vittoria potrebbe far perdere loro consenso. Come scrive anche Simone Pieranni su Il Manifesto, la mossa della governatrice col ritiro della legge “potrebbe essere quella di dividere i manifestanti”.

Il movimento colonizza Twitter

Anche per questa ragione si è intensificato negli ultimi giorni un fenomeno che era già iniziato ad agosto: molti attivisti – che fino ad oggi hanno usato soprattutto mega-chat e canali Telegram, e forum online alla Reddit come LIHKG – hanno iniziato a muoversi e comunicare anche su Twitter, spesso in inglese. L’obiettivo è infatti quello di raggiungere un pubblico internazionale.

Così, sotto gli auspici di hashtag come #HKTwitter新手攻略, #HKTwitterForDummies e #FollowBackHongKong, è iniziato un cinguettio degli attivisti, in cui i più esperti della piattaforma si prodigano in consigli di utilizzo per gli altri, e in cui l’obiettivo è seguirsi a vicenda e creare una cassa di risonanza verso l’esterno.

Le voci dei manifestanti

“Ci sono alcune persone sul forum LIHKG che hanno spinto l’idea di andare su Twitter per raggiungere un pubblico internazionale, e io sto cercando di aiutare i nuovi utenti di Hong Kong a connettersi gli uni con gli altri perché mi sembra che abbiano solo poche dozzine di followers. Anche perché su Twitter finora ci stava un piccolo gruppo”, spiega a Guerre di Rete Jeff, dell’account @goofrider, che dispensa consigli tecnici per i manifestanti.

"Molti di questi infatti usavano soprattutto Facebook o Instagram mentre Twitter era utilizzato prevalentemente da chi seguiva media giapponesi, o il mondo anime/comic/game", aggiunge sempre a Guerre di Rete Galielo Cheng: “O altri, come me, lo usavano da tempo per seguire accademici o dissidenti, o ancora politica estera. Finché a un certo punto hanno notato che per far crescere l’interesse internazionale Twitter sarebbe stato meglio di Facebook. L’hashtag e l’idea di #FollowbackHongKong è nata ad agosto in un post sul forum LIHKG e già quel giorno è diventato trending”. Che prima si preferisse Facebook e che l’arrivo più di massa su Twitter sia stato pensato nelle ultime settimane viene confermato anche dall’utente dietro al profilo @HKDemoNow: “I manifestanti hanno sempre cercato l’attenzione internazionale, perché pensano che sia un modo efficace per mettere pressione sia sul governo locale sia su quello cinese”.

Anche un altro utente, che non vuole essere nominato, spiega come recentemente “proprio dal forum LIHCG è partita la recente ondata di utenti su Twitter”. Che, così come già avviene su Telegram, è anche usato per fare sondaggi fra i manifestanti: “Il ritiro della legge vi soddisfa?”, twitta ad esempio @HongkongHermit, specificando di non votare se non si è parte in causa. Risultato: l'82% vuole “tutte e 5 le richieste, non una di meno”.

In realtà, aggiunge ancora Cheng, “alla fine la discussione avviene soprattutto sulla scena delle manifestazioni, o in grandi gruppi online tra i 20 e i 100mila utenti, o sul forum LIHKG”.

La campagna di disinformazione statale

I manifestanti non sono gli unici a cercare un consenso internazionale. Anche il governo locale lo fa, arrivando a comprare pagine sul Financial Times e altri media globali.

Un paio di settimane fa Twitter giorni fa ha bloccato una campagna coordinata che ha definito statale, e in cui gli account provenivano dalla Cina. Proprio su questa campagna sono emersi più dettagli. Il 19 agosto infatti Twitter ha rilasciato dei dati su una rete di account provenienti dalla Cina (poi smantellati) che erano parte di una operazione di disinformazione diretta contro i manifestanti di Hong Kong (definiti in quegli articoli un “nemico pubblico”, terroristi, violenti, guidati da forze politiche filo-americane), e attribuita dal social network a un soggetto statale. Tuttavia, secondo l’istituto australiano di cyber policy ASPI – che ha analizzato il dataset (circa 900 account tra quelli più attivi, ma in totale ne sono stati eliminati 200mila cui erano collegati) e in questi giorni ha pubblicato un report – si è trattato di un’operazione tutto sommato piccola e frettolosa, e non di una sofisticata campagna progettata per tempo come invece è stata ad esempio – si legge nel rapporto – quella russa del 2016 negli Usa, in cui “l’IRA (Internet Research Agency, la cosiddetta fabbrica di troll russa, per capirci, ndr) aveva una chiara comprensione della segmentazione del pubblico, del linguaggio colloquiale, e di come le comunità online inquadrino le loro identità e posizioni politiche”.

La campagna cinese sarebbe nata come risposta rapida all’impatto e alla forza imprevisti delle proteste a Hong Kong, e il suo intento sarebbe stato quello di influenzare un pubblico globale. In parte data in outsourcing a contractor, o forse gestita in modo meno abile da attori statali a causa di una minore padronanza di piattaforme internazionali (rispetto a quelle interne come Wechat o Weibo), ha riutilizzato/ricomprato account di spam già esistenti, che avevano in precedenza twittato su vari argomenti e in varie lingue, inclusi account pornografici. Una parte di questi account erano stati usati fin dall’aprile 2017 per colpire oppositori del governo cinese.

Anche il ricercatore di sicurezza italiano Luigi Gubello (noto online come @EvaristeGal0is) ha analizzato sia il dataset russo che questo cinese su Hong Kong giungendo a conclusioni simili a quelle di ASPI. “Il dataset russo è fatto in modo da essere perfetto per una disinformazione mirata su gruppi, con finti account di news americane, con profili che sostenevano comunità specifiche, con alcuni che erano molto ‘umani’ e cercavano di pubblicare contenuti virali, e con una rete volutamente “debole”, in cui i collegamenti e le interazioni fra gli account non erano così evidenti e facili da intercettare”, spiega a Guerre di Rete Gubello. “Invece questa rete cinese sembra essere stata messa in piedi in modo frettoloso e più superficiale, probabilmente subappaltata a soggetti terzi specializzati in botnet, forse anche perché diversamente non sarebbero riusciti a creare in fretta abbastanza account (faccio notare che tra l’altro in Cina Twitter è bloccato, e lo puoi usare attraverso una Vpn, insomma intervenire pesantemente su una piattaforma bloccata per scelta governativa risulta più difficile)”.

Negli stessi giorni, peraltro, proprio il forum LIHKG ha subito un attacco DDoS (un attacco di negazione del servizio distribuita, in pratica un eccesso improvviso di richieste che sovraccaricano le risorse del sito mandandolo offline) senza precedenti. Secondo alcuni ricercatori le modalità usate per l’attacco sarebbero simili a quelle impiegate nel 2015 in un celebre attacco al sito Github (un sistema di reindirizzamento del traffico da altri siti che fu denominato il Great Cannon). In passato anche Telegram ha subito pesanti DDoS.

Secondo uno studio RAND, l'uso dei social media come strumenti di disinformazione statale sta crescendo ma, si legge in un rapporto al riguardo, non è possibile ancora stabilire con certezza il suo impatto e occorrono più studi sul fenomeno.

Qui i nostri articoli e post sulle proteste a Hong Kong:

Hong Kong, prima vittoria dopo mesi di proteste: annunciato il ritiro della legge sull'estradizione

Hong Kong: la protesta degli elmetti gialli. Medici, giornalisti, funzionari pubblici contro le violenze della polizia

Hong Kong, le proteste per la difesa della democrazia e la strategia del caos coordinato

Hong Kong, una catena umana lunga 40 km: continuano le proteste dei cittadini in difesa della democrazia

La voce dei giovani di Hong Kong e la campagna di disinformazione della Cina contro di loro

Oltre un milione di cittadini sfila ad Hong Kong per difendere la democrazia

Hong Kong, migliaia di manifestanti occupano l'aeroporto per protestare contro la violenza della polizia. Cancellati più di 150 voli

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Hong Kong: ancora migliaia di cittadini in piazza, il primo sciopero in 50 anni, gli scontri con la polizia

*Questo approfondimento è tratto dalla Newsletter settimanale Guerre di Rete curata da Carola Frediani. Per iscriversi qui.

Immagine in anteprima via Reuters

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