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Hong Kong, prove di resistenza fra linguaggio in codice dei dissidenti e l’enorme partecipazione alle primarie pro-democrazia

18 Luglio 2020 13 min lettura

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Hong Kong, prove di resistenza fra linguaggio in codice dei dissidenti e l’enorme partecipazione alle primarie pro-democrazia

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Hong Kong: rinviate le elezioni del Consiglio legislativo a causa del coronavirus

Aggiornamento 31 luglio 2020: Il capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, ha annunciato che a causa della pandemia le elezioni, inizialmente previste per il 6 settembre, saranno rinviate. «Oggi comunico la decisione più difficile degli ultimi sette mesi… il rinvio delle elezioni del Consiglio legislativo», ha detto Lam ai giornalisti. Secondo South China Morning Post, le elezioni potrebbero essere rinviate anche di un anno.

Un gruppo di 22 legislatori ha accusato l'amministrazione di Hong Kong di aver usato la pandemia come pretesto per il rinvio delle elezioni. Opinione condivisa anche dai candidati pro-democrazia: «La nostra resistenza continuerà e speriamo che tutto il mondo stia al nostro fianco in questa battaglia sempre più in salita per noi. Non possono ucciderci tutti», ha dichiarato Joshua Wong, uno dei principali attivisti, già leader del movimento degli ombrelli nel 2014.

"Il rinvio delle elezioni scatenerà un'enorme controversia politica e legale, compreso il modo in cui verrà gestito il parlamento locale", ha commentato la corrispondente di DW Phoebe Kong.

Il 30 luglio, dodici candidati dell'opposizione erano stati estromessi dalle elezioni. Tra gli esclusi anche Joshua Wong.

Su Twitter Wong ha accusato il governo cinese di mostrare totale disprezzo per la volontà dei cittadini e di calpestare l'ultimo pilastro dell'autonomia della città.

In una dichiarazione, il governo di Hong Kong ha affermato di approvare la decisione del Comitato elettorale motivata dal mancato rispetto dei candidati della Legge fondamentale - la Costituzione di Hong Kong - recentemente ampliata con la legge sulla sicurezza imposta da Pechino che criminalizza secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere.

"Il Comitato sta verificando la validità di altre candidature", ha aggiunto il governo. "Non escludiamo la possibilità che un numero maggiore di candidati possa essere estromesso".

La decisione di vietare ai candidati la partecipazione alle elezioni è stata comunicata all'indomani dei primi arresti effettuati in base a quanto previsto dalla legge sulla sicurezza.

Quattro le persone fermate dalla polizia, tre uomini e una donna, tutti studenti di età compresa dai 16 ai 21 anni accusati di sovversione in base agli articoli 20 e 21.

In una conferenza stampa il portavoce della polizia ha dichiarato che gli arrestati sono sospettati di far parte di un gruppo nato su Internet il cui obiettivo è l'indipendenza di Hong Kong.

In particolare l'azione incriminata sarebbe la pubblicazione, il 21 luglio scorso, di un post su Facebook e Instagram in cui veniva annunciata la nascita del Partito di iniziativa per l’indipendenza, fondato da membri del disciolto gruppo politico Studentlocalism attualmente residenti all’estero.

Nonostante la chiusura, a seguito dell'entrata in vigore della legge sulla sicurezza, Studentlocalism non ha eliminato le sue pagine sui social media auspicando la prosecuzione delle attività da parte degli attivisti all'estero.

«Li abbiamo arrestati per sovversione e per organizzazione e incitamento alla secessione», ha dichiarato Li Kwai-wah, sovrintendente della polizia presso il Dipartimento di sicurezza nazionale di Hong Kong. «Volevano riunire tutti i gruppi indipendenti di Hong Kong per promuovere l'indipendenza della Regione».

Amnesty International ha definito gli arresti “allarmanti”.

«Che quattro giovani possano essere condannati all'ergastolo sulla base di alcuni post pubblicati sui social media mette a nudo la natura draconiana della legge sulla sicurezza nazionale», ha dichiarato Nicholas Bequelin, direttore di Amnesty International per l'Asia e il Pacifico. «L'idea che chiunque possa ora essere incarcerato per aver espresso la propria opinione politica su Facebook o Instagram fa rabbrividire la società di Hong Kong. Nessuno dovrebbe essere arrestato solo per aver espresso un'opinione contraria a quella del governo».

Sono passate poco più di due settimane dall'entrata in vigore a Hong Kong della legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina, senza l'approvazione delle autorità locali, e i suoi effetti non hanno tardato a manifestarsi, nonostante Pechino abbia più volte sottolineato che il provvedimento miri a ripristinare la stabilità dopo un anno di proteste, senza reprimere le libertà dei cittadini e colpendo una "minoranza molto piccola".

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Un primo risultato immediato la norma lo ha già ottenuto: il diffondersi della paura in una città abituata a esprimersi liberamente, con la polizia che arresta i manifestanti perché pronunciano slogan per l'indipendenza o perché rivendicano una maggiore autonomia e i ristoranti e i negozi che rimuovono i “Lennon wall” (muri ricoperti di post-it e altri cartelli inneggianti alla democrazia che prendono il nome dal “Lennon wall” di Praga che dagli anni '60 e soprattutto dopo la morte di John Lennon nel 1980 “ospita” poesie romantiche, graffiti e messaggi anti-governativi) all'esterno dei propri locali.

A pochi giorni dall'attuazione del provvedimento libri scritti da attivisti democratici di spicco sono scomparsi dagli scaffali delle biblioteche della città, come dimostrano i cataloghi online. Tra gli autori, i cui titoli non sono più disponibili, Joshua Wong, l'attivista pro-democrazia già leader del movimento degli ombrelli nel 2014 e cofondatore del partito Demosisto sciolto subito dopo l'approvazione della legge, e Tanya Chan, nota parlamentare.

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Il dipartimento dei servizi culturali della città, che gestisce le biblioteche, ha dichiarato che i libri sono stati rimossi per stabilire se violino il provvedimento cinese e che nel corso del processo di revisione non saranno disponibili per il prestito e la consultazione.

Questa mossa ha inevitabilmente sollevato dubbi sulla persistenza della libertà accademica nella Regione dove hanno sede alcune delle più prestigiose facoltà asiatiche - teatro di scontri durante le proteste del 2019 - in cui si discute e si scrive di argomenti che sarebbero tabù sulla terraferma.

Pechino ha chiarito fin da subito la volontà che l'istruzione in città diventi più "patriottica".

A confermare tale orientamento una decisione assunta dal segretario all'Istruzione di Hong Kong, Kevin Yeung, che proibisce agli studenti di pubblicare online slogan con messaggi politici, di formare catene umane e di riprodurre, trasmettere o cantare l'inno di protesta "Gloria a Hong Kong", obbligando le scuole a fermare tali attività.

Il brano, scritto e composto da un anonimo, successivamente adattato dai manifestanti e diventato un grido di protesta durante le manifestazioni, "contiene forti messaggi politici ed è strettamente correlato agli incidenti, alla violenza e alle azioni illegali che perdurano da mesi", ha dichiarato il segretario all'Istruzione. «Pertanto, le scuole non devono consentire agli studenti di suonarlo, cantarlo o trasmetterlo negli istituti», ha aggiunto.

Per Yeung, come racconta il New York Times, gli studenti sono stati ingannati e incitati a esprimere la loro posizione politica in ambito scolastico in diversi modi: boicottando le classi, citando slogan, formando catene umane, pubblicando frasi o cantando canzoni che contengono messaggi politici.

«Le scuole sono luoghi in cui gli studenti possono imparare e crescere», ha affermato Yeung. «Non dovrebbero essere utilizzate per esprimere le proprie richieste politiche», ha proseguito, precisando che sono almeno 1.600 gli studenti di età inferiore ai 18 anni arrestati nel corso dell'ultimo anno.

Modalità alternative di protesta

A seguito degli arresti e delle minacce conseguenti a qualsiasi azione che promuova una maggiore autonomia o indipendenza, gli abitanti di Hong Kong hanno reagito in maniera creativa pur di continuare a esprimere il dissenso. Un esempio è l'uso di giochi di parole e di frasi estratte da testi di riferimento del Partito comunista cinese.

Come riportato da Al Jazeera nei primi giorni di luglio, su un ponte che attraversa l'affollato quartiere Causeway Bay dedicato allo shopping - luogo simbolo di tante proteste -, campeggiava un graffito che diceva: "Alzatevi, voi che rifiutate di essere schiavi", successivamente rimosso.

La frase, tratta dalla prima strofa dell'inno nazionale cinese e che potrebbe far pensare a un disegnatore nazionalista patriottico, era molto più probabilmente una dichiarazione di dissenso e un invito a non arrendersi.

Suggerimenti su modalità sicure di protesta per eludere la legge hanno riempito nelle ultime settimane social media e forum. Tra queste l'utilizzo di vari linguaggi in codice.

In tal modo, lo slogan "Liberare Hong Kong, la rivoluzione dei nostri tempi" vietato dal governo locale, può continuare a essere diffuso senza subire ripercussioni.

Per alcuni quella frase rappresenta una reale aspirazione di separazione dalla Cina, per molti altri, invece, è un grido in nome della democrazia e un'espressione di crescente frustrazione per il dominio di Pechino.

Nella versione "GFHG, SDGM" vengono usate le prime lettere delle parole inglesi della stessa frase traslitterata "gwong fuk heung gong, si doi gak ming".

In quella "3, 2, 1, 9, 0, 2, 4, 6" viene invece utilizzato un linguaggio più complesso che richiama il tono e il ritmo dello slogan usando le cifre in cantonese.

Anche gli stessi caratteri cinesi offrono ampia possibilità di scelta di sovversione linguistica.

Ed è proprio una questione linguistica al centro degli sviluppi del primo arresto effettuato ai sensi della nuova legge sulla sicurezza.

Durante le proteste in piazza avvenute il giorno successivo all'emanazione della legge, la polizia ha annunciato con la pubblicazione di un tweet l'arresto di un uomo in possesso di una bandiera su cui era scritto lo slogan "Hong Kong Independence".

Ingrandendo l'immagine, però, si legge un piccolo “no” inserito prima della frase.

A oggi non si sa se il manifestante sia stato incriminato.

Un'altra azione di protesta è l'affissione di biglietti e cartelli senza slogan, completamente vuoti, sia per l''impossibilità di esprimere le proprie idee sia in riferimento al "terrore bianco", un'espressione cinese usata per descrivere la persecuzione politica.

Non ultimo, l'uso di uno slogan diventato virale che non è altro che una citazione del leader cinese Mao Zedong che dice: "Coloro che sopprimono i movimenti studenteschi non vedranno un lieto fine".

Le primarie dell'opposizione pro-democrazia

Grande è la speranza riposta dall'opposizione nelle elezioni che il prossimo 6 settembre eleggeranno i settanta membri che comporranno il futuro Consiglio legislativo di Hong Kong.

Per selezionare i candidati democratici con maggiori probabilità di essere eletti - aspirando così alla conquista di più della maggioranza dei seggi che compongono l'assemblea parlamentale monocamerale - lo scorso fine settimana il gruppo Power for Democracy ha istituito in tutta la città più di 250 postazioni presidiate da migliaia di volontari, allestite sui marciapiedi e in luoghi non convenzionali come un negozio di biancheria e un autobus a due piani, per permettere ai cittadini di esprimere le proprie preferenze alle primarie.

La votazione era molto attesa perché considerata una cartina di tornasole utile a comprendere quanto ampio fosse il dissenso dopo l'entrata in vigore della legge sulla sicurezza.

Nonostante il timore di rappresaglie - alimentato alla vigilia del voto dalla perquisizione da parte della polizia degli uffici del sondaggista indipendente Robert Chung il cui istituto, l'Hong Kong Public Opinion Research Institute (HKPORI), ha contribuito a organizzare le consultazioni - e sfidando gli avvertimenti dei funzionari locali secondo i quali il voto avrebbe potuto essere considerato un reato - il risultato è andato ben oltre le più rosee aspettative.

Sono state, infatti, oltre 600.000 le persone che hanno espresso la propria preferenza online e ai seggi, nell'arco di due giorni, spesso rimanendo in fila per ore.

«L'alta affluenza invia un segnale molto forte alla comunità internazionale perché noi di Hong Kong non ci arrenderemo mai», ha detto alla Reuters Sunny Cheung, un sostenitore 24enne dell'opposizione.

Forte preoccupazione è stata espressa dagli attivisti che temono che - come accaduto recentemente - le autorità possano impedire ad alcuni candidati di presentarsi alle elezioni.

«Possono arrestare o escludere senza una buona ragione qualunque candidato non gradito grazie alla legge sulla sicurezza nazionale», ha dichiarato Owen Chow, giovane candidato democratico.

Ma chi sono i candidati eletti alle primarie?

I primi risultati hanno mostrato che i candidati eletti sono quelli che hanno guidato le proteste. Le scelte degli elettori indicano il desiderio che le richieste dei manifestanti arrivino al governo e che preferibilmente siano attivisti che hanno cercato forme di mediazione tra manifestanti e polizia nel corso dei disordini, come riporta il New York Times.

«Sono a favore dell'elezione di persone che hanno partecipato al movimento di protesta in modo che possano proseguirle» all'interno dell'organo legislativo, ha affermato Ma Ngok, professore associato di Scienze politiche presso l'Università cinese di Hong Kong.

Joyce Leung, madre 35enne di due bambini, ha dichiarato di aver votato a favore di candidati che hanno partecipato regolarmente alle proteste nonostante il rischio di esclusione dalla competizione.

«Penso che saranno esclusi» - ha detto - «Ma volevo dimostrargli comunque che molte persone li stanno sostenendo».

La maggior parte degli eletti appartiene a una generazione molto giovane e ribelle, come indica la Reuters. Tra di loro ci sono i cosiddetti “localisti”, un termine utilizzato per indicare coloro che non si considerano cinesi, che mirano alla salvaguardia delle libertà dell'ex colonia britannica e che tendono a essere più assertivi dei democratici tradizionali.

I localisti parlano di resistenza e di salvaguardia della democrazia, ma non hanno tutti la stessa visione per il futuro di Hong Kong. Alcuni sognano l'indipendenza senza parlarne apertamente, soprattutto adesso che rischierebbero la prigione.

Il loro successo alle primarie riflette la frustrazione, soprattutto tra i giovani elettori, nei confronti dei politici più moderati e tradizionali.

«Il localismo è diventato mainstream», ha dichiarato il candidato localista Henry Wong. «Resisteremo alla tirannia».

Le reazioni delle autorità alle primarie

Il sistema elettorale di Hong Kong non è mai stato equo, quando era una colonia e successivamente poiché è stato mantenuto il sistema coloniale britannico a voto limitato.

La metà dei settanta seggi del Consiglio legislativo rappresenta i distretti geografici ed è nominata direttamente dagli elettori delle cinque circoscrizioni. L'altra metà è rappresentata dai cosiddetti collegi elettorali funzionali nominati attraverso collegi professionali sulla base di elettorati limitati. Questo sistema ha storicamente scoraggiato la partecipazione al voto di molti residenti di Hong Kong.

Ma il 24 novembre scorso, dopo mesi di aspre e talvolta violente proteste antigovernative, gli elettori si sono presentati in gran numero alla consultazione per la nomina dei consiglieri distrettuali, conseguendo una vittoria schiacciante dei candidati pro-democrazia e del movimento (390 seggi su 452, rispetto ai 124 ottenuti alle precedenti consultazioni).

Il successo ottenuto non solo ha sorpreso Pechino ma ha incoraggiato i manifestanti pro-democrazia a puntare a un obiettivo più ambizioso: i seggi del Consiglio legislativo, un organo molto più potente.

Se i candidati pro-democrazia riuscissero a conquistare la maggioranza del parlamento, potrebbero bloccare l'agenda del governo e porre il veto sul bilancio per determinare lo scioglimento dell'assemblea. E se anche la successiva assemblea legislativa dovesse bloccare il bilancio, il capo dell'esecutivo sarebbe costretto a dimettersi.

Erick Tsang, segretario per gli Affari Costituzionali, ha però avvertito che le primarie avrebbero potuto essere potenzialmente considerate un atto sovversivo in base alla nuova legge sulla sicurezza nazionale se il loro obiettivo fosse stato quello di formare una maggioranza per bloccare le politiche del governo di Hong Kong.

Le reazioni ufficiali di Pechino, attraverso l'intervento dell'Ufficio di collegamento a Hong Kong e delle autorità locali, non si sono fatte attendere a lungo. A due giorni dalla chiusura dei seggi la Cina ha dichiarato che le primarie rappresentano "un comportamento palesemente illegale" che ha causato "gravi danni all'equità e alla giustizia" delle elezioni legislative, individuando in Benny Tai, lo stratega dell'opposizione, il principale responsabile, accusandolo di lavorare al servizio di forze non identificate.

"L'obiettivo della banda di Benny Tai e dell'opposizione è quello di impadronirsi del potere della governance a Hong Kong e di mettere deliberatamente in scena la versione di Hong Kong della "rivoluzione colorata"", si legge nella dichiarazione. "Manipola le elezioni così apertamente. Da chi ha ricevuto istruzioni? Chi gli ha dato tanta fiducia?".

La sera precedente Carrie Lam, capo dell'esecutivo di Hong Kong, aveva annunciato l'apertura di un'indagine, affermando che l'intenzione dei candidati di votare contro la legislazione del governo potrebbe violare le leggi sulla sicurezza nazionale.

L'Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao in Cina ha definito le primarie una "manipolazione illegale" e una "sfida sfacciata" alla legge sulla sicurezza.

La polizia di Hong Kong ha arrestato il vice presidente del partito Democratico della città, Lo Kin-hei, con l'accusa di assemblea illegale per una protesta che si è svolta nel novembre scorso.

Il parlamentare e attivista pro-democrazia, Au Nok-hin, si è dimesso subito dopo le prese di posizione dell'Ufficio cinese di collegamento e dell'Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao annunciando il ritiro con un post su Facebook, citando i rischi per la sua incolumità.

«Il ritiro è l'unica scelta per proteggere me stesso e gli altri», ha scritto.

Non ha aspettato tanto Nathan Law, uno dei più importanti attivisti democratici cofondatore di Demosisto. Due giorni dopo l'entrata in vigore della legge sulla sicurezza ha dichiarato di essersi allontanato da Hong Kong senza rivelare la sua destinazione.

Successivamente ha poi annunciato di essersi rifugiato a Londra.

«Fino a oggi ho mantenuto un profilo basso sulla mia destinazione per limitare i rischi», ha detto. «In questa terra straniera, ho iniziato a pianificare la vita che mi aspetta. Ci sono così tante incertezze» ha spiegato, aggiungendo: «Gli abitanti di Hong Kong non si arrenderanno mai. Non ci hanno spezzati. Al contrario, siamo ben attrezzati per affrontare la prossima, difficile battaglia».

foto in anteprima via Studio Incendio

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