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Come Kamala Harris ha rivoluzionato la campagna del Partito Democratico per le elezioni presidenziali americane

30 Agosto 2024 12 min lettura

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Come Kamala Harris ha rivoluzionato la campagna del Partito Democratico per le elezioni presidenziali americane

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Una delle ultime copertine del New Yorker, uno dei più importanti settimanali culturali americani, raffigurava i candidati alla presidenza degli Stati Uniti su un ottovolante. Nel disegno del vignettista Barry Blitt il vagone coi candidati repubblicani – Donald Trump e JD Vance – è in caduta libera, mentre quello dei democratici – Kamala Harris e Tim Walz – sta salendo. L’immagine vuole rappresentare l’andamento della politica americana negli ultimi mesi: dopo mesi di sostanziale stasi, con primarie molto scontate che hanno visto l’inevitabile conferma di Trump e Biden per i rispettivi partiti, sono avvenuti un dibattito desolante per il Presidente in carica, il crollo dei democratici nei sondaggi, l’attentato a Donald Trump, e infine il ritiro di Biden, pressato da varie anime del Partito Democratico, per far correre al suo posto la vicepresidente Kamala Harris.

Questo cambiamento repentino, a soli 100 giorni dal voto di novembre, ha costituito un unicum nella storia politica americana, e ancora più impressionante è stata la risposta che ne è conseguita. Harris, infatti, ha cominciato da subito a ottenere una impressionante mole di donazioni, arrivando a 540 milioni solo nel primo mese, di cui un terzo da persone che non avevano ancora mai donato. Ha poi costruito in tempi rapidissimi una campagna molto diversa da quella che stava conducendo Biden: il risultato è per l’appunto espresso dalla vignetta sopra citata, la sensazione che i democratici siano sempre più in crescita e che i repubblicani non sappiano invertire la tendenza. Uno scenario del tutto impronosticabile solo un mese fa.

Il cambio del messaggio centrale: libertà, gioia e speranza contro la “stranezza” di Trump e Vance

La prima e più sostanziale  differenza confrontando le due campagne è il messaggio. Il presidente Biden aveva cercato di combattere Trump esponendo i rischi legati alla sua rielezione e rendendo centrale il tema della difesa della democrazia americana. Il problema principale di questo messaggio era la figura stessa di Biden: un generale che deve combattere uno scontro così importante e difficile deve proiettare al di fuori un’immagine di forza tale da trascinare le persone. Il vecchio Biden, che ha dimostrato sempre più difficoltà a gestire i tempi massacranti di una campagna elettorale, non poteva essere il leader di questa narrazione. Appena il cambio in corsa tra Biden e Harris si è verificato, però, l’intero messaggio si è modificato. Innanzitutto è stata spuntata quella che era stata l’arma principale di Trump fino a quel momento, l’età avanzata di Biden: ora è Trump a ricoprire lo sgradito ruolo di candidato presidente più anziano della storia degli Stati Uniti per uno dei due maggiori partiti. Successivamente si è deciso di evitare di raffigurare Trump in toni cupi; l’ex-presidente, nella nuova narrazione democratica, è un vecchio egoista, che fa politica solo per sé stesso e per migliorare la vita ai suoi ricchi amici, e che nel farlo dà credito a un gran numero di idee pericolose. Una persona che vuole sfuggire alla giustizia, e che Harris definisce apertamente un criminale: non va dimenticato che Harris, prima di fare carriera politica, è stata procuratrice generale della California. Per questo gioca molto sull’idea che se Trump ha passato la vita a tentare di sfuggire ai guai giudiziari, lei era quella che lavorava per migliorare la comunità di cittadini.

Se Trump poteva sentirsi sostanzialmente onorato di essere il più grande nemico del Partito Democratico – come veniva raffigurato durante la campagna Biden – non riesce a sopportare di essere ridotto a un egoista ossessionato dal potere e dalla grandezza, come è raffigurato ora. Una parola che è entrata nel vocabolario di questa campagna è stata pronunciata dal candidato vicepresidente Tim Walz, quando ha definito il ticket repubblicano weird, cioè strano. Dire che Trump e Vance sono strani da un lato diminuisce la potenza delle loro idee, dall’altro è un termine ombrello che, come ha detto l’analista del Partito Democratico Martha McKenna a POLITICO, “non vale solo per Trump, ma può essere usato come una critica all’intero movimento MAGA”.

Jennifer Mercieca, storica della Texas A&M University, ha detto ad Associated Press che il modo migliore per evitare di normalizzare l’autoritarismo è ridicolizzarlo, ed è quello che la campagna Harris sta facendo, anche sui social: l’account KamalaHQ attacca direttamente Trump e Vance, ridicolizzandone posizioni e modo di porsi con le persone, in un modo che ricorda attivamente il comportamento dei troll. Quando Trump, qualche giorno fa, ha paventato la possibilità di ritirarsi dal dibattito in programma il 10 settembre tra i candidati presidenti, il canale di Harris ha ripostato la dichiarazione aggiungendo gli effetti sonori dei versi del pollo. Negli Stati Uniti, infatti, to be a chicken è un modo di dire colloquiale per parlare di una persona che ha paura di qualcosa; in questo caso, di affrontare Harris in un dibattito.

Le campagne elettorali statunitensi spesso tendono a raccontare una storia: i repubblicani hanno costruito un messaggio proprio di un’America corrotta, che sotto l’amministrazione democratica si sarebbe allontanata dai suoi valori tradizionali. L’atmosfera che si respira nei comizi repubblicani è prettamente cupa, in un modello sempre uguale dal 2016, quando Trump si è imposto sul vecchio establishment del partito; a quest’atmosfera Biden, come detto, ne proponeva un’altra ugualmente cupa. La neonata campagna Harris ha da subito dato una scarica di ottimismo: il primo video di lancio della candidatura era pieno di riferimenti alla fiducia nel futuro, con una canzone cara alle giovani generazioni come Freedom di Beyoncé. Il linguista George Lakoff, professore emerito a Berkeley e autore di Non pensare all’elefante, uno dei libri cardine sul discorso politico pubblico, ha scritto su X che “le emozioni in politica sono tutto”, e provare gioia verso un candidato è un “sentimento molto potente”. 

La campagna Harris ha subito assunto personaggi che avevano lavorato alla campagna di Obama 2008, che la stessa Harris aveva vissuto aiutando il candidato durante le primarie in Iowa. Tra questi figura David Plouffe, una delle menti apicali della campagna del 2008 e poi senior advisor di Obama nella seconda fase del suo primo mandato alla Casa Bianca. Plouffe, che lavorava nel settore privato dal 2014, ha detto che voleva lavorare a una campagna senza precedenti, da costruire in meno di 100 giorni.

L’elaborazione di un patriottismo ottimista e il ruolo del candidato vicepresidente Tim Walz

La vicinanza con la campagna di Obama si è vista, oltre che in una visione ottimista del futuro, nel tentativo di reimpossessarsi del patriottismo, un sentimento che negli anni aveva creato una faglia divisiva tra i due partiti: i democratici, scottati dalla guerra in Vietnam, si erano sempre più allontanati, a partire dalla fine degli anni ‘60, dall’esporre un patriottismo marcato, che, a partire dalla candidatura di Reagan nel 1980 in avanti era diventato quasi un’esclusiva repubblicana. Nel discorso alla convention democratica di Boston del 2004, che rese Obama una figura mediatica, l’allora candidato senatore per l’Illinois disse che non esistevano gli stati blu e rossi, democratici e repubblicani, ma solo gli Stati Uniti, e tutti contribuivano a renderli un paese migliore. 

Harris sta recuperando questo patriottismo ottimista, che i democratici stavano tentando di costruire ma che si era perso nella polarizzazione degli ultimi dieci anni. La convention democratica di Chicago che si è appena conclusa, ad esempio, è stata riempita di bandiere statunitensi, mentre ai delegati sono stati distribuiti cartelli con scritto “USA”. Nel raffigurare gli Stati Uniti come qualcosa che appartiene a tutti i cittadini e non solo a una parte sono serviti alcuni discorsi di repubblicani lontani dal trumpismo. In particolare Adam Kinzinger, ex-deputato che aveva rotto con Trump dopo i fatti del 6 gennaio, ha detto alla convention che “i democratici sono patriottici tanto quanto i repubblicani”; giorni dopo, su Substack, ha rimarcato che andare a fare un discorso dai democratici non era un modo di cambiare affiliazione partitica, ma di energizzare le persone che credono che la difesa dello Stato di diritto, messo in crisi dai trumpiani, sia la cosa più importante. 

Coerente con questa strategia è la scelta del candidato alla vicepresidenza, il governatore del Minnesota Tim Walz. Nato e cresciuto nel Midwest, Walz proviene dalla stessa regione del candidato vicepresidente repubblicano JD Vance. Ma se quest’ultimo è di Middletown in Ohio, una media città post-industriale e legata alla manifattura, Walz è invece molto più vicino al mondo agrario, essendo cresciuto in una fattoria in Nebraska, in un paese di circa 400 abitanti. Alle visioni cupe di Vance, che accusa la globalizzazione di aver distrutto le comunità operaie, Walz contrappone il suo ottimismo da professore di scuola superiore e coach di football americano dei ragazzi della scuola, un personaggio molto amato nella sua comunità. In un’elezione in cui saranno centrali Michigan e Wisconsin, stati del Midwest che hanno votato Trump nel 2016 e Biden nel 2020, Walz si propone come un uomo semplice che vuole che vengano rispettate le libertà individuali, e che a differenza di Vance ama la terra dove è nato e cresciuto. Il repubblicano ha studiato a Yale e poi si è trasferito nella Silicon Valley, mentre Walz ha fatto la spola tutta la vita tra Nebraska e Minnesota. Walz incarna nuovamente gioia e positività, e questo sentimento ottimistico contribuisce a tenere la narrazione di Trump ai margini del discorso.

Proprio il candidato repubblicano, descritto come sempre più arrabbiato per il tipo di attacchi che riceve, sta facendo fatica a tornare al centro del dibattito mediatico, cosa di cui era sempre stato maestro fin dall’inizio della sua esperienza politica. Le persone a lui vicine gli consigliano di focalizzarsi sui temi, come economia e immigrazione, che continuano a non premiare i democratici: nonostante questo Trump continua a proporre eventi di campagna fondamentalmente sconnessi, pieni di attacchi personali a Harris che non riescono a pungere e di lunghe divagazioni incomprensibili, come quella sul fatto che i laghi sono meglio del mare perché non ci sono gli squali oppure il continuo citare Hannibal Lecter, che sono state ridicolizzate sempre più costantemente sui social della campagna Harris.

La strategia sui social

La presenza di Harris sui social è pervasiva e del tutto diversa da quella a cui siamo stati abituati. Da quando c’è stato il cambio di candidato l’account BidenHQ sui principali social ha cambiato nome in KamalaHQ e l’engagement su TikTok è salito tra il 15 e il 25%. La differenza con il modo precedente di gestire le campagne è l’approccio fondamentalmente bottom up utilizzato soprattutto su TikTok: se prima si utilizzavano i social per veicolare un messaggio studiato a fondo e preparato dalla campagna, in cui il ruolo delle persone comuni era semplicemente quello della ricondivisione, la campagna Harris ha creato una vera e propria fabbrica di contenuti. Gran parte dei video che vediamo su TikTok provengono solo in parte dalla campagna Harris, e sono molto più spesso idee di creator indipendenti che diventano virali. La campagna sceglie quali contenuti virali sono più utili alla presenza pubblica della candidata, li rilancia e inizia a giocarci sopra.

È il caso dell’oramai famosissima “palma da cocco”: la battuta che Harris ha fatto parlando di giovani nel 2023, citando la madre che diceva sempre “pensi di essere caduta da una palma di cocco”, ha generato un insieme di contenuti a sé stante, con ragazzi che utilizzano l’emoji del cocco per indicare il loro supporto a Harris. Altro esempio è la velocità con cui la campagna entra nei dibattiti esterni: quando la cantante britannica CharliXCX, che ha da poco pubblicato un album dal titolo Brat, ha scritto su X la frase “Kamala is brat”, parola che indica la ricerca di un’estetica da ragazza impertinente e libera, Harris ha subito rilanciato il post rivendicando di essere una brat girl, entrando tra i meme più in voga del momento. Proprio le giovani sono state un segmento importante nel cambio di prospettiva della campagna: il 67% delle ragazze di età compresa tra 18 e 29 anni vuole votare Harris, ma non era sicuro di votare Biden, percepito come troppo vecchio, e non trovava interesse nello scontro tra Biden e Trump, due vecchi uomini bianchi da cui non si sentivano rappresentate.

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L’attenzione alle dinamiche social non è una novità per Harris. Quando si candidò alle primarie del Partito Democratico nel 2020 fa aveva assunto una consulente, Deja Foxx, che monitorava cosa veniva detto di lei sui social media in modo tale da coordinarsi con influencer che la sostenevano per costruire clip base facilmente modificabili dai creator, che le potevano così adattare velocemente ai loro messaggi. Era la base del lavoro che sta facendo oggi, che Foxx ha definito a USA Today “una condivisione di messaggi che sono unici, veri per chi li condivide e specifici per le comunità con cui queste persone si interfacciano online”. Secondo questa idea la chiave è far sentire le persone attivamente coinvolte nella campagna: il fandom di Harris sui social si è autodefinito K-Hive, con un palese riferimento ai Beyhive, ovvero la fanbase di Beyoncé. Le persone che fanno parte di questo gruppo creano molte fancam, una particolare produzione nata dai fan del K-Pop (la musica pop della Corea del Sud) che fa collage di foto e video di una persona inserendo canzoni. Secondo Dan Caldwell di Know Your Meme, le fancam sono importanti perché esprimono facilmente eccitazione verso qualcosa. La strategia social di Harris prevede anche attacchi diretti ai candidati repubblicani: il tentativo di questi attacchi, che avvengono principalmente attraverso il canale KamalaHQ, è mostrare le idee assurde dei repubblicani.

Alla convention democratica di Chicago, a differenza di quella repubblicana di Milwaukee, gli influencer potevano accreditarsi come tali, e non come giornalisti. La campagna Harris ha invitato personalmente 200 content creator per costruire un’immagine online dei lavori della convention, e il canale TikTok KamalaHQ, gestito da cinque persone della Gen-Z, ha mandato in streaming l’evento registrandolo in verticale, in modo da poter costruire contenuti più velocemente. A Chicago gli influencer sono stati corteggiati: hanno avuto grande accesso alle personalità politiche, in contrasto coi giornalisti che criticano Harris per non aver ancora concesso loro interviste esclusive, e sono stati trattati come vere e proprie celebrità, con palchi vip privati e molti gadget. Va detto che questo comportamento genera sfumature molto meno marcate tra giornalismo e attivismo: molti dei creator non sono giornalisti, non seguono un codice etico e non hanno lo scopo di dare notizie, bensì di migliorare la visibilità del candidato. Dare loro un accesso preponderante vuol dire anche evitare le domande scomode e far sì che il messaggio che si vuole propagandare passi in maniera più facile.

Dopo forti pressioni, il 29 agosto Harris ha concesso un’intervista più istituzionale: lei e Walz si sono seduti con la giornalista dell’emittente televisiva CNN Dana Bash per circa mezz’ora. Come ha detto Maggie Haberman, giornalista del New York Times, si è trattato di un’altra introduzione agli americani, volta più a non farsi male con errori comunicativi - come già le era successo nel 2021, in un’intervista in cui aveva minimizzato la situazione del confine meridionale degli Stati Uniti - che a cercare di attrarre nuovi elettori. Si sono riviste le tematiche già preponderanti alla convention: ha rivendicato apertamente i risultati raggiunti da Biden ed evitato di rispondere alle accuse razziste che Trump le aveva rivolto. Non ha ancora delineato un programma coeso di politiche da attuare nei primi 100 giorni di presidenza, ma il fatto che Trump su Truth, il social media di sua proprietà, abbia a caldo definito l’intervista “una noia” senza porre attacchi specifici, fa pensare che la campagna abbia raggiunto il suo obiettivo comunicativo principale: non commettere errori.

La lunga strada fino al 5 novembre 

Questo cambio repentino del modo di gestire la campagna ha generato una crescita consistente nei sondaggi, che ora vedono i due candidati sostanzialmente appaiati, e nelle donazioni. La sfida della campagna adesso è mantenere l’entusiasmo, cercando di minimizzare il più possibile gli scontri interni che avverranno, e che stanno già avvenendo, soprattutto nella posizione del partito sulla guerra tra Israele e Hamas. La convention ha infatti visto molte discussioni sull’opportunità o meno di far parlare sul palco un delegato di origine palestinese: a perorare la causa è stato il movimento degli Uncommitted, un gruppo di delegati eletti dalle persone in dissenso con le posizioni di Biden sulla guerra in corso a Gaza. Il movimento durante le primarie ha ottenuto circa il 4% dei voti e 37 delegati, che hanno trattato con la leadership democratica per avere opportunità di parola alla convention. Questo però non è avvenuto, probabilmente perché il team Harris ha visto come i lavori si stessero svolgendo con una copertura mediatica ottima, e ha perciò voluto evitare un momento potenzialmente divisivo. Resta il fatto che gli Uncommitted, che hanno evitato di partecipare alle proteste che si sono tenute fuori dalla convention per trattare internamente col partito, non hanno ottenuto niente dal loro tentativo istituzionale. 

Michelle Obama, nel suo discorso alla convention di Chicago, ha rimarcato che l’entusiasmo è bello, ma che la sfida è lontanissima dall’essere vinta. Raccontare questo mese di luna di miele per Kamala Harris non vuol dire raccontare una vittoria annunciata: Harris e Walz sono nella fase di salita della montagna russa, ma entro l’inizio del voto ci saranno scossoni e discese, e una campagna costruita in soli 100 giorni deve saperli affrontare.

Immagine in anteprima via flickr.com

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