La normalizzazione del regime siriano di Assad è l’accettazione dei suoi orrendi crimini
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Aggiornamento 8 maggio 2023: "Il fatto che la maggior parte dei leader arabi ammetta il siriano Assad nonostante le sue indicibili atrocità contro il popolo siriano - armi chimiche, bombe a grappolo, torture ed esecuzioni di massa, miseria deliberata - la dice lunga sulla brutalità dei governi che lo hanno riaccettato. Perché accettare questo mostro?", ha commentato su Twitter Kenneth Roth, ex direttore esecutivo di Human Rights Watch.
Domenica 7 maggio, in un incontro presso la sede della Lega Araba al Cairo, i ministri degli Esteri degli Stati membri della Lega Araba hanno deciso infatti di riammettere la Siria nella Lega Araba dopo l'esclusione di oltre 10 anni fa.
La decisione arriva prima del vertice della Lega Araba che si terrà in Arabia Saudita il 19 maggio e nel contesto di una serie di normalizzazione regionale dei legami con Damasco nelle ultime settimane.
L'adesione della Siria alla Lega Araba è stata revocata dopo che il presidente Bashar al-Assad ha ordinato una repressione dei manifestanti nel marzo 2011 che ha fatto precipitare il paese in una guerra civile che da allora ha ucciso quasi mezzo milione di persone e ne ha sfollate altre 23 milioni.
La votazione è avvenuta a seguito di un incontro tra i massimi diplomatici regionali di Egitto, Iraq, Arabia Saudita e Siria, tenutosi in Giordania la scorsa settimana, durante il quale è stato definito "Iniziativa giordana" il processo per riportare Damasco all'interno della Lega Araba.
Il Segretario generale della Lega Araba, Aboul Gheit, ha detto: "Se lo desidera, perché la Siria, a partire da questa sera, è un membro a pieno titolo della Lega Araba, e da domani mattina ha il diritto di occupare qualsiasi posto".
La ripresa dei legami con Damasco si è accelerata in seguito al terremoto del 6 febbraio che ha colpito Turchia e Siria e al ripristino dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran che avevano appoggiato parti opposte nel conflitto siriano, grazie alla mediazione cinese.
I gruppi di opposizione hanno criticato la normalizzazione dei legami con Damasco. I siriani sfollati nella zona nord-occidentale di Idlib, controllata dai ribelli, si sono detti scioccati dalla decisione della Lega Araba: "Invece di aiutarci e farci uscire da quei campi dove soffriamo e viviamo nel dolore, i leader arabi hanno imbiancato le mani dei criminali e degli assassini dal nostro sangue", ha dichiarato uno di loro all'agenzia di stampa AFP.
Tra i siriani in diaspora molti attivisti hanno commentato negativamente le iniziative dei Paesi arabi per la riabilitazione di Assad. Le parole di Omar Al Ashogre, direttore del Detainee Affairs at the Syrian Emergency Task Force, incarcerato e detenuto nelle prigioni del regime di Damasco e diventato simbolo dell’impegno degli oppositori per chiedere giustizia sono inequivocabili: “La normalizzazione con il regime siriano è l'accettazione dei suoi crimini che hanno ucciso arabi e stranieri, musulmani e cristiani, bambini e anziani. Alziamo la voce contro la normalizzazione”.
Giordania, Kuwait e Qatar si sono opposti alla presenza di Assad al vertice della Lega Araba, affermando che invitare la Siria prima che Damasco accetti di negoziare un piano di pace è prematuro.
“Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi”, diceva Tancredi Falconeri ne Il gattopardo. Osservando i nuovi scenari geopolitici in Medio Oriente e in particolare il processo di normalizzazione delle relazioni tra il mondo arabo e il governo di Damasco, queste parole sembrano descrivere perfettamente la situazione. Uno dopo l’altro i leader arabi riavviano relazioni con Bashar Al Assad. Il terremoto del 6 febbraio che ha colpito la Turchia meridionale e la Siria e i problemi emersi di fronte ai divieti posti all’ingresso delle squadre di soccorso e degli aiuti umanitari ad Aleppo e nelle altre città colpite hanno segnato una sorta di spartiacque, di cui l’unico beneficiario sembra essere il regime di Damasco.
Dopo 11 anni, in Siria si continua a morire e a combattere
Dopo anni di isolamento internazionale, di sanzioni e di critiche, Bashar al Assad e il suo governo tornano infatti a trattare con i vicini arabi. Egitto, Emirati e Arabia Saudita hanno avviato iniziative concrete, ma la riammissione alla Lega Araba, dalla quale il governo di Damasco era stato sospeso a novembre del 2011, non sembra scontata. Nel corso della riunione dello scorso 15 aprile, infatti, non si è arrivati a una decisione unanime in merito alla riammissione di Damasco alla Lega. Alla riunione hanno partecipato sei rappresentanti dei paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Oman, assieme a Egitto, Giordania e Iraq. La perfetta traduzione in fatti del proverbio siriano “Gli arabi si sono messi d’accordo di non accordarsi su nulla”. Tra i paesi più scettici al ritorno di Damasco c’è il Qatar, che negli ultimi anni ha costantemente appoggiato l’opposizione siriana. Secondo Doha sussistono ancora le cause della sospensione.
Nel delicato gioco degli equilibri politici nella regione, va tenuto conto anche del rapporto tra Damasco e i suoi storici alleati, la Russia e l’Iran. Il riavvicinamento dell’Arabia Saudita alla Siria influenzerà le relazioni con l’alleato statunitense? Washington ha infatti dichiarato, tramite il vice portavoce del Dipartimento di Stato americano, Vendal Pate, che "Non crediamo che la Siria si meriti la riammissione nella Lega Araba in questo momento. Non normalizzeremo le relazioni con il regime di Assad in assenza di progressi autentici verso una soluzione politica del conflitto. Continuiamo a chiarirlo pubblicamente e privatamente con i nostri partner".
Intanto la Russia, il principale alleato di Assad, sta approfittando del vuoto che gli Stati Uniti hanno lasciato nella regione per aiutare il presidente siriano a migliorare le sue relazioni con la Turchia. Dopo una serie di consultazioni non ufficiali, il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, si prepara a incontrare i suoi omologhi in Russia, Iran e Siria il prossimo maggio. Come è noto, la Turchia ha costantemente sostenuto l'opposizione politica e armata contro Assad durante tutta la crisi siriana e ha dispiegato le sue forze in vaste aree della Siria settentrionale. Assad si considera vittorioso nel conflitto siriano e agisce di conseguenza tentando di imporre le sue condizioni alla Turchia. Vuole che la Turchia ritiri tutte le sue unità militari dal suolo siriano, ceda tutto il sostegno alle organizzazioni armate, partecipi agli sforzi antiterrorismo e metta fine alla sua interferenza negli affari interni della Siria. Lo scorso anno ci sono stati alcuni segnali di un cambiamento nella posizione della Turchia, portando a un incontro che ha riunito i viceministri degli Esteri della Turchia e del regime siriano a Mosca. Nella stessa direzione si è riunito il “Quartetto” che Mosca ha sostenuto, mettendo allo stesso tavolo Turchia, Siria, Iran e Russia appunto. Ankara è stata sempre esplicita nell'esortare il regime di Assad a compiere passi concreti per favorire il ritorno dei 3,7 milioni di rifugiati siriani attualmente sfollati all'interno del territorio turco.
L’attività diplomatica tra la Siria e i paesi arabi si fa sempre più fitta. Il ministro degli Esteri siriano Faisal Mekdad ha fatto visita all’Arabia Saudita il 12 aprile scorso, su invito del principe Faisal bin Farhan, al fine di ripristinare le relazioni tra i due paesi arabi. Proprio Farhan aveva recentemente dichiarato che insistere sull’isolamento della Siria sarebbe "futile e insostenibile". In una nota ufficiale del governo di Damasco è stato annunciato che i colloqui si sono concentrati sugli sforzi “per raggiungere una soluzione politica alla crisi siriana che preservi l'unità, la sicurezza e la stabilità della Siria e per facilitare il ritorno dei rifugiati siriani in patria e garantire l'accesso umanitario alle aree colpite dal sisma". Riad sollecita Damasco ad approvare un pacchetto di riforme per migliorare la situazione interna nel paese, agevolare il rapporto con l'opposizione, e contrastare le operazioni di contrabbando di droga dai territori siriani alla Giordania. Già lo scorso marzo l’Arabia Saudita aveva annunciato di voler riaprire la propria ambasciata a Damasco.
A non chiudere mai la propria sede diplomatica in Siria è stato l’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, che dalla sua ascesa al potere nel 2014 ha dimostrato per primo tra i leader arabi segnali distensivi con Damasco. Va ricordato che nel 2016, il capo dell'intelligence siriana, Ali Mamlouk, ha visitato il Cairo, nella sua prima visita ufficiale all'estero dall'inizio della guerra. A segnare la volontà di rafforzare le relazioni tra i due paesi è stata anche la visita del ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry a Damasco il 27 febbraio scorso. Visita ricambiata dall’omologo siriano Faisal al Mekdad il 31 marzo.
Ancor prima, il 20 febbraio, dopo il devastante terremoto che ha causato oltre 6mila vittime in Siria, il presidente Assad si è recato in Oman, dove ha incontrato il sultano Haitham bin Tariq. Muscat, tuttavia, ha mantenuto contatti diplomatici con Damasco e nel 2020 è diventato il primo stato del Golfo a reintegrare il proprio ambasciatore in Siria. A marzo è stata invece la volta della visita ufficiale negli Emirati Arabi Uniti il 19 marzo, paese in cui era già stato lo scorso anno, ricevuto dal primo ministro e vice presidente degli Emirati, Sheikh Mohammed bin Rashid al-Maktoum. Nel corso dell’ultimo colloquio Assad ha invece incontrato il presidente degli Emirati Sheikh Mohammed bin Zayed al-Nahyan che su Twitter ha parlato “dell’importanza di riportare stabilità nella regione”. Nella stessa occasione, Sheikha Fatima bint Mubarak, definita la “Mother of the Nation'' degli Emirati Arabi Uniti ha ricevuto la consorte del presidente siriano, Asma al Assad, nella sua prima visita ufficiale all’estero dall’inizio della repressione in Siria nel 2011.
Dopo questi passi in avanti della diplomazia araba, c’è quindi da chiedersi se Assad verrà ufficialmente invitato alla trentaduesima riunione della Lega Araba prevista per il prossimo 19 maggio, proprio sotto la guida dell’Arabia Saudita. Il ritorno della Siria alla Lega Araba un decennio dopo la sospensione della sua adesione sarebbe probabilmente in cima all'agenda del vertice, insieme alle relazioni con l'Iran, con cui recentemente Riad ha riallacciato relazioni diplomatiche.
Tra i siriani in diaspora molti attivisti hanno commentato negativamente le iniziative dei Paesi arabi per la riabilitazione di Assad. Le parole di Omar Al Ashogre, direttore del Detainee Affairs at the Syrian Emergency Task Force, incarcerato e detenuto nelle prigioni del regime di Damasco e diventato simbolo dell’impegno degli oppositori per chiedere giustizia sono inequivocabili: “La normalizzazione con il regime siriano è l'accettazione dei suoi crimini che hanno ucciso arabi e stranieri, musulmani e cristiani, bambini e anziani. Alziamo la voce contro la normalizzazione”.
Ryan Bohl, analista degli affari del Medio Oriente e del Nord Africa, ritiene che il dominio prevalente di Assad nell'ultimo decennio lo abbia reso "un modello per affrontare la prossima inevitabile ribellione pubblica" nei paesi arabi e non solo. Bohl avverte che "altri regimi e attori non democratici in Medio Oriente e Nord Africa rischiano di vedere il successo di Assad come una prova che la forza è un'opzione molto valida per reprimere le minacce al loro controllo". Alcuni analisti suggeriscono che Assad, vista l'ampia solidarietà con la Siria dopo il recente terremoto, stia cogliendo tutte le opportunità per accelerare la normalizzazione con i suoi vicini, in particolare da quando l'Iran, suo alleato, ha ripreso le relazioni diplomatiche con l'Arabia Saudita dopo una frattura durata sette anni.
"Il terremoto Turchia-Siria ha molto potenziale per portare alla 'diplomazia del terremoto', accelerando il processo di normalizzazione di diversi governi in Medio Oriente, che si impegnano con Assad come se fosse un 'normale' capo di stato arabo", ha dichiarato Giorgio Cafiero, CEO della società di consulenza sui rischi geopolitici Gulf State Analytics, basata a Washington. Sam Heller, ricercatore specializzato in questioni siriane ha dichiarato al quotidiano indipendente Enab Baladi che il terremoto di febbraio è stato un “punto di svolta”, e il momento in cui Paesi che erano già propensi a riallacciare i rapporti con Damasco hanno deciso di dire che basta e che è arrivato il momento giusto per andare avanti con la normalizzazione.
Per i civili siriani già tanto duramente colpiti da guerra, terrorismo, povertà, il terremoto è stata un’ulteriore iniezione di dolore. Sul versante siriano, infatti, oltre alle 6mila vittime, si contano più di duemila edifici danneggiati o inagibili in tutto il nord-ovest della Siria, inclusi 20 ospedali, 35 centri sanitari e 36 scuole. “Ben 55.000 famiglie sono state sfollate dal terremoto e ora affrontano paure e ansie quotidiane mentre cercano di adattarsi alla vita nelle tende, senza nemmeno i beni di prima necessità, con temperature ancora rigide. I nostri volontari hanno spianato 146.000 metri quadrati di terreno per creare nuovi campi e rifugi”, ha dichiarato Raed al-Saleh, capo dei White Helmets, la protezione civile operativa nel nord-ovest della Siria.
In un rapporto pubblicato lo scorso 13 marzo, dall’Independent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic (COI) si documentano nuove, gravi violazioni dei diritti umani fondamentali e del diritto umanitario in tutta la Siria, con un coinvolgimento diretto della Russia. Secondo quanto riportato nel documento, più di 13 milioni di persone sono sfollate o rifugiate in un momento in cui il 90% di tutti i civili siriani vive in povertà e si stima che 15,3 milioni di persone abbiano bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere.Proprio per i crimini commessi ai danni dei civili siriani per la prima volta una Corte d'assise francese ha deciso il rinvio a giudizio di tre funzionari del regime di Damasco coinvolti nella repressione e ritenuti responsabili della morte di due cittadini franco-siriani. I due, padre e figlio, sono stati arrestati senza una motivazione ufficiale e sono morti in carcere. Le accuse sono a carico di Ali Mamluk, il principale funzionario dei servizi di intelligence e stretto consigliere di Bashar Assad, di Jamil Hassan, ex direttore dei servizi di intelligence dell'aeronautica, e di Abdel Salam Mahmoud, uno dei suoi sottoposti. Un’iniziativa giudiziaria importante, che ricorda che le vittime della repressione in Siria meritano di non essere consegnate all’oblio.
Immagine in anteprima: Mahmoud Bali (VOA), Public domain, via Wikimedia Commons