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I siriani in fuga dal Libano rischiano arresti, torture e morte in carcere una volta tornati in Siria

31 Ottobre 2024 10 min lettura

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I siriani in fuga dal Libano rischiano arresti, torture e morte in carcere una volta tornati in Siria

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di Human Rights Watch

Secondo Human Rights Watch, i siriani in fuga dalle violenze in Libano rischiano una volta tornate la repressione e le persecuzioni del governo siriano. Tra i rischi che corrono ci sono sparizione forzata, tortura e morte in carcere. A causa dell’intensificarsi degli attacchi aerei in Libano, sono centinaia di migliaia i siriani che dalla fine di settembre sono costetti a fuggire nel loro paese d’origine. Finora le persone uccise negli attacchi sono almeno 2710, tra cui almeno 207 siriani, secondo il SOHR (Osservatorio Siriano per i Diritti Umani).

I siriani in fuga dal Libano, in particolare gli uomini, rischiano detenzioni arbitrarie e abusi da parte delle autorità siriane. Human Rights Watch ha documentato quattro arresti di persone rientrate durante questo periodo, mentre altri gruppi, tra cui Syrian Network for Human Rights (SNHR), ne hanno segnalati almeno decine. Secondo fonti informate, almeno due uomini deportati dal Libano e dalla Turchia in Siria lo scorso anno sono morti in circostanze sospette durante la detenzione governativa siriana nel corso del 2024; altri due invece sono stati sottoposti a sparizione forzata una volta consegnati alle autorità siriane a gennaio e luglio.

“I siriani che fuggono dalle violenze in Libano sono costretti a tornare in Siria, anche se rimane un paese non sicuro e privo di riforme significative per affrontare le cause profonde dello sfollamento”, ha dichiarato Adam Coogle, vicedirettore per il Medio Oriente di Human Rights Watch. “Le morti in circostanze sospette dei deportati in custodia evidenziano il rischio palese di detenzioni arbitrarie, abusi e persecuzioni per chi fugge dal Libano e l'urgente necessità di un monitoraggio efficace delle violazioni dei diritti in Siria”.

Il governo siriano e i gruppi armati che controllano alcune zone della Siria continuano a impedire alle organizzazioni umanitarie il pieno accesso a tutte le aree, compresi i siti di detenzione, ostacolando gli sforzi di documentazione e nascondendo la reale portata degli abusi.

La Mezzaluna Rossa Araba Siriana (SARC) ha riferito che, tra il 24 settembre e il 22 ottobre, circa 440 mila persone, il 71% siriani e il 29% libanesi, sono fuggite dal Libano verso la Siria attraverso i valichi di frontiera ufficiali. Si stima che altre persone abbiano attraversato il confine in modo non ufficiale. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e la SARC stanno guidando gli interventi umanitari di emergenza al confine e nelle comunità ospitanti, mentre la Siria ha finora mantenuto aperte le frontiere e alleggerito le procedure di immigrazione. Circa 50779 persone sono arrivate nel nord-est dell paese il 25 ottobre, mentre altre 6600 sono arrivate il 24 ottobre. Un numero significativo di arrivi è costituito da donne e bambini.

Human Rights Watch ha intervistato tre siriani in Libano e otto siriani ritornati nel loro paese, compresi i parenti di cinque uomini arrestati dalle autorità siriane a ottobre. Sono stati intervistati anche due ricercatori siriani per i diritti umani, che hanno documentato altri arresti, e diverse persone - tra cui i parenti - sulla sorte dei deportati.

Dei cinque recenti arresti documentati da Human Rights Watch a ottobre, due sono avvenuti al valico di frontiera di Dabousieh, tra il Libano settentrionale e Homs, e due persone sono state arrestate in un incidente a un posto di blocco tra Aleppo e Idlib. Secondo il racconto dei familiari, tutti gli arresti sono stati eseguiti dall'intelligence militare siriana senza che alle famiglie fossero fornite informazioni sui motivi o sul luogo di detenzione.

Una donna ha raccontato di essere fuggita a ottobre in Siria con il marito, un ex soldato siriano di 33 anni, e i quattro figli. Il marito aveva vissuto in Libano per 13 anni. Quando i bombardamenti israeliani si sono intensificati alla fine di settembre, con la famiglia ha ricevuto un avviso di evacuazione. Sono fuggiti senza niente, vivendo per strada per 10 giorni prima di trovare i fondi per tornare in Siria. Anche se il marito non si era registrato per il servizio militare come riservista, ha detto la donna, credevano che una recente amnistia del governo siriano, che includeva la diserzione militare, lo avrebbe protetto.

Il 7 ottobre hanno attraversato la Siria al valico di frontiera di Dabousieh a Homs, dove, secondo la donna, i servizi segreti siriani hanno immediatamente arrestato il marito. “Mi hanno detto di continuare a camminare perché lui sarebbe restato con loro”, ha raccontato la donna. Ha aspettato per cinque ore, implorando senza successo per avere informazioni. Ora la donna vive insieme alla famiglia in un alloggio angusto in Siria, non ha idea di dove si trovi il marito e lotta per provvedere ai suoi figli. “Vorrei che fossimo rimasti sotto i razzi piuttosto che affrontare tutto questo”, ha detto, affermando che la sua unica speranza è il rilascio del marito.

In Libano, i rapporti indicano che molti rifugi danno la priorità agli sfollati libanesi e palestinesi, negando l'accesso ai siriani, e che alcuni proprietari hanno sfrattato i loro inquilini siriani per far posto agli sfollati libanesi. Anche prima dell'offensiva israeliana, i siriani in Libano vivevano in un ambiente coercitivo, progettato per spingerli a valutare il ritorno in Siria. Hanno affrontato condizioni durissime, una crescente xenofobia e la deportazione.

Alcuni leader europei sostengono sempre più spesso che la Siria è sicura per i rimpatri, promuovendo politiche che potrebbero revocare le protezioni per i rifugiati, nonostante le continue preoccupazioni per la sicurezza e i diritti umani. A fronte di reti di informazione inaffidabili e di un monitoraggio inadeguato da parte delle agenzie umanitarie, i paesi che ospitano i rifugiati siriani dovrebbero riconoscere che la Siria non è sicura per i rimpatri, fermando immediatamente qualsiasi rimpatrio forzato o sommario così come qualsiasi piano per facilitare tali rimpatri.

L'UNHCR dovrebbe continuare a mantenere la sua posizione del marzo 2021: la Siria non è sicura per i rimpatri e è possibile promuovere o facilitare i rimpatri finché non saranno garantite condizioni sicure e dignitose. Inoltre, come previsto dal Quadro operativo regionale per il ritorno dei rifugiati in Siria del 2019, l'UNHCR dovrebbe spingere con urgenza per un meccanismo di protezione e monitoraggio indipendente ed efficace in Siria, attraverso il quale le organizzazioni umanitarie siano in grado di monitorare e riferire sulle violazioni dei diritti umani dei rimpatriati.

Da un lato i governi che sostengono economicamente l'UNHCR dovrebbero fornire un considerevole aiuto finanziario e ogni tipo di supporto alle persone sfollate in Siria, dall'altro dovrebbero garantire che la programmazione umanitaria sia in Siria che nei paesi ospitanti non incentivi inavvertitamente i rimpatri prematuri. I paesi che hanno imposto sanzioni alla Siria, ovvero gli Stati Uniti, il Regno Unito e gli Stati membri dell'Unione Europea, dovrebbero inoltre attuare esenzioni umanitarie complete per tutte le operazioni di aiuto in Siria, garantendo così un accesso illimitato ai servizi essenziali.

“La Siria non è più sicura per il ritorno di quanto non lo fosse prima, ma l'aggravarsi dei pericoli in Libano ha lasciato molti siriani senza un altro posto dove andare”, ha dichiarato Coogle. “Il loro ritorno non indica un miglioramento delle condizioni in Siria, testimonia invece la cruda realtà di una mancanza di alternative sicure che costringe le persone a tornare in un paese dove affrontano ancora il rischio di detenzione e abusi, oppure la morte”.

Dall’ottobre 2023 anche gli attacchi aerei israeliani si sono intensificati in tutta la Siria, così come i combattimenti su diverse linee del fronte, causando morti e feriti tra i civili.

Al di là delle ostilità in corso, la persecuzione del governo siriano nei confronti di chi è sospettato di avere opinioni favorevoli all'opposizione è una minaccia per i rifugiati che ritornano nel paese. Spesso sono visti con diffidenza, a prescindere dalle loro opinioni politiche. Human Rights Watch ha documentato casi dal 2017 di detenzioni arbitrarie, torture e uccisioni di rifugiati di ritorno. Altri gruppi armati non statali hanno adottato simili pratiche di detenzione abusiva nelle aree da loro controllate.

Come ha documentato la Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite (COI) nel suo ultimo rapporto sulla Siria, l'illegalità pervade il paese frammentato, con varie forze che praticano l'estersione contro i civili, ricorrendo alla violenza. Insieme alle devastanti condizioni economiche e umanitarie, i rimpatriati lottano per mantenere i propri mezzi di sostentamento. Human Rights Watch ha documentato condizioni economiche e umanitarie, tra cui la diffusa distruzione di proprietà all'interno della Siria, che nel complesso possono minacciare i diritti alla vita, all'integrità fisica e alla dignità dei rimpatriati.

Oltre a proteggere i siriani rimpatriati da violenze, torture e persecuzioni, Human Rights Watch chiede a tutti i paesi che ospitano siriani di fermare i rimpatri forzati, a causa delle condizioni disumane e degradanti che quelle persone molto probabilmente dovranno affrontare, e che possono minacciare i loro diritti alla vita, alla libertà e all'integrità fisica.

Mancano informazioni accurate e aggiornate sulle condizioni all'interno della Siria per chi sta pensando di ritornare. Un'indagine su un gruppo privato di Facebook per i siriani in Libano, dedicato alla condivisione di informazioni pratiche e consigli, indica confusione e preoccupazione tra i siriani, in particolare per quanto riguarda i requisiti per il servizio militare.

Detenzione e sparizioni forzate

Un uomo di 34 anni è tornato in Siria dal Libano a ottobre dopo non essere riuscito a ottenere un visto per la Libia, nonostante temesse di essere arrestato, come ha raccontato la moglie; nel 2013 le autorità siriane avevano detenuto suo fratello di 16 anni, di cui non si avevano più notizie. Il 7 ottobre, agenti dell'intelligence militare siriana hanno arrestato l'uomo al valico di frontiera di Dabousieh; hanno dato il suo telefono a un amico che viaggiava con lui dicendogli che avrebbe dovuto informare la  famiglia. Da allora i familiari non hanno ricevuto aggiornamenti, ma hanno segnalato il caso all'UNHCR. La moglie ha detto di aver raccolto finora "soltanto voci”. Alcuni suggeriscono che l’uomo sia stato trattenuto per il servizio militare, nonostante l'abbia completato nel 2013.

L'8 ottobre, due uomini siriani di 27 anni, temendo di essere arrestati per non aver completato il servizio militare, hanno pagato dei contrabbandieri perché li aiutassero a tornare in Siria, come raccontato dai loro familiari. Il personale dell'intelligence militare siriana ha arrestato i due uomini mentre si avvicinavano alla linea di controllo tra Aleppo e Idlib, insieme ad altre due persone che viaggiavano con loro; questo è quanto i familiari hanno appreso in un secondo momento dai contrabbandieri. Le famiglie non conoscono i motivi dell'arresto: i contrabbandieri hanno detto che stanno negoziando il rilascio. Un parente dei due uomini ha raccontato di una richiesta di pagamento pari a 1000 dollari per persona.

Un ricercatore siriano di Sweida ha documentato quattro arresti da parte dell'intelligence militare nel mese di ottobre. Un uomo è stato trattenuto al valico di frontiera di Jdeidet Yabous; secondo la sua famiglia l'arresto è legato alla sua partecipazione alle proteste antigovernative del 2023 a Sweida. Altre tre persone sono state arrestati e a un posto di blocco dell'intelligence militare nella campagna di Damasco, apparentemente in relazione al servizio militare.

Noor al-Khatib, ricercatore del Syrian Network for Human Rights, sostiene che il suo gruppo ha le prove di 26 arresti dalla fine di settembre; inoltre il governo siriano ha istituito nuovi posti di blocco lungo le comuni rotte di viaggio dal Libano.

A maggio, prima dell'escalation delle ostilità in Libano, i servizi segreti dell'esercito libanese hanno arrestato Abedullah al-Zohouri, un ex capitano dell'esercito siriano che aveva disertato ed era fuggito in Libano nel 2013. Lo ha raccontato a Human Rights Watch Mohammed Sablouh, avvocato di al-Zohouri. Due settimane dopo, il fratello di al-Zohouri ha detto di aver ricevuto una telefonata da un ufficiale dell'esercito: l'ex capitano era stato consegnato alle autorità siriane.

La sua famiglia, assistita dal Cedar Center for Legal Studies, ha presentato una denuncia di sparizione forzata e ha appreso solo da fonti non ufficiali che l'uomo è detenuto presso la Sezione 235 dell'intelligence militare siriana, una prigione nota anche come “Sezione Palestina” (Far' Falastin), a Damasco. La sua situazione rimane sconosciuta, come quella di Raafat al-Faleh, un altro disertore dell'esercito espulso con la forza a gennaio.

Morti sospette durante la detenzione

Nei primi anni successivi alla violenta repressione della rivolta del 2011, Human Rights Watch e altre organizzazioni hanno ampiamente documentato la detenzione arbitraria e la tortura di decine di migliaia di persone da parte delle forze governative siriane, in quelli che si configurano come crimini contro l'umanità. Nel 2013, un disertore militare con il nome in codice Caesar ha fatto uscire dalla Siria delle foto che forniscono prove inconfutabili di torture, inedia e abusi sistematici nelle strutture di detenzione del governo siriano.

Nonostante l'ordine della Corte Internazionale di Giustizia di impedire la tortura sponsorizzata dallo Stato, gli abusi continuano. Un rapporto delle Nazioni Unite di settembre ha confermato il persistere delle torture nelle strutture di detenzione governative, anche nei confronti di siriani espulsi e di militari evasori. I detenuti restano a rischio di sparizione forzata, morte per tortura e condizioni di prigionia atroci.

Human Rights Watch e altri gruppi per i diritti umani hanno documentato due morti di uomini siriani deportati dal Libano e dalla Turchia in Siria dal 2023 in circostanze sospette.

Ahmad Nemer al-Halli, deportato dal Libano a maggio, è stato arrestato e tenuto in isolamento per circa 15 giorni presso la Sezione 235 prima di essere trasferito in un ospedale di Damasco, dove i suoi genitori hanno finalmente potuto fargli visita. Al-Halli è morto il 6 luglio, circa un mese dopo. Secondo ilSirian Network for Human Rights e il Syria Justice and Accountability Centre l'uomo è stato torturato durante la detenzione.

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Nel 2023, le autorità turche hanno deportato Abdulghani Mounir, un ingegnere siriano di 33 anni, ad Azaz, nel nord della Siria, separandolo dalla moglie e dai due figli. Dopo aver trascorso cinque mesi lì, dove non aveva legami significativi, ha cercato di tornare nella sua città natale, ad Aleppo, controllata dal governo.

La sua famiglia si era informata presso diversi servizi di sicurezza e, rassicurata dalle recenti amnistie, riteneva che il ritorno fosse sicuro. Questo è quanto ha dichiarato un attivista per i diritti che rappresenta la famiglia di Mounir in Turchia.

Mentre stava rientrando, le autorità siriane hanno arrestato Mounir a un posto di blocco militare e lo hanno portato in una località sconosciuta. Ventiquattro giorni dopo, hanno notificato la morte dell'uomo alla famiglia che si trovava ad Aleppo, fornendo istruzioni per recuperare il corpo. Non è stata fornita alcuna spiegazione, ma l'attivista sentito da Human Rights Watch ha dichiarato che il corpo recava segni di elettrocuzione.Oltre ai casi documentati da Human Rights Watch, ad agosto i media locali hanno riferito che un altro deportato siriano dalla Turchia, Abdullah Hussein al-Akhras, è morto in detenzione in seguito alle torture subite nella famigerata prigione di Sednaya, a nord di Damasco. 

(Immagine anteprima: frame via YouTube)

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