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Chi c’è dietro Greta? Ci risiamo con il complottismo spinto spacciato per scoop giornalistico

18 Dicembre 2019 9 min lettura

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Chi c’è dietro Greta? Ci risiamo con il complottismo spinto spacciato per scoop giornalistico

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Ciclicamente ritornano. Ieri Libero ha pubblicato un articolo dal titolo "Greta Thunberg, la clamorosa inchiesta del geopolitico americano: 'Investimenti milionari, chi la sfrutta'". È l'ennesima versione del filone di articoli del genere "Chi c'è dietro Greta?" secondo i quali la sedicenne attivista svedese non sarebbe altro che la marionetta senza fili di una rete internazionale che fa business sfruttando l'allarme mondiale che da ormai 5 anni è scattato sul riscaldamento globale e sulle conseguenze del cambiamento climatico. Un'operazione studiata a tavolino da un gruppo di politici, magnati finanziari e investitori, che avrebbe in Al Gore e nel suo Climate Reality Project (l'organizzazione no-profit, da lui stesso diretta, dedita all'educazione e alla diffusione della consapevolezza sui cambiamenti climatica) uno dei centri nevralgici e avrebbe trovato in figure come Greta Thunberg e Alexandria Ocasio-Cortez e il suo Green New Deal nuovi potenti volti della propaganda climatica. Potevano poi mancare Soros e l'Open Society Foundation? Ovviamente no!

Libero scrive che un'inchiesta (ripresa dal sito canadese Global Research) di un analista geopolitico americano, William Engdahl, "citando nomi e fatti precisi, sostiene una tesi clamorosa": la grande finanza mondiale, "alleata per l'occasione con l'Onu e l'Unione europea, si starebbe servendo di Greta Thunberg come icona mediatica per creare allarmismo sul riscaldamento climatico provocato dall'uomo (una fake news, sostiene Engdahl), e innescare di conseguenza il business più redditizio dei prossimi decenni, il cosiddetto Green New Deal, la rivoluzione dell'economia verde", per un giro di investimenti di oltre 100 trilioni di dollari.

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L'articolo di Libero riprende a sua volta un pezzo di Tino Oldani su Italia Oggi che di fatto riporta punto per punto quanto scritto da Engdahl e riportato da Global Research.

Secondo la ricostruzione di Engdahl, l'attuale "agenda verde mondiale" non sarebbe altro che un'operazione pianificata da tempo e che coinvolgerebbe banche, istituti finanziari e gruppi di assicurazioni. Gli strateghi sarebbero il banchiere inglese Mark Carney, capo uscente della Banca d'Inghilterra, e l'ex vicepresidente USA Al Gore, che terrebbero i fili di una rete che va da Goldman Sachs a JpMorgan Chase, da Bank of America a Merril Lynch.

A fine 2015, scrive Engdahl, il Financial Stability Board della Banca dei regolamenti internazionali (BRI), presieduto da Carney, ha creato una task force sulla divulgazione finanziaria legata al clima (Tcfd) – formata da 31 banchieri e presieduta dal finanziere Michael Bloomberg, insieme alla City of London Corporation e al governo del Regno Unito – per "offrire consulenza a investitori, finanziatori e assicurazioni sui rischi legati al clima". Nel 2016 questa task force ha avviato la Green Finance Initiative con l'obiettivo di incanalare migliaia di miliardi di dollari in investimenti verdi. Successivamente Goldman Sachs ha diffuso il primo indice globale dei titoli ambientali di alto livello quotati a Wall Street, condiviso da tutte le maggiori banche d'affari e tra cui investitori c'è Alphabet (che possiede Google, Microsoft, Philips, Danone), "per attirare fondi d'investimento e sistemi pensionistici statali".

È a questo punto che si inserirebbero le figure di Greta Thunberg e Alexandria Ocasio Cortez. La candidatura di Ocasio Cortez – tra le ideatrici del Green New Deal negli Stati Uniti, un programma massiccio di investimenti in professioni e infrastrutture di energia pulita destinati a trasformare non solo il settore energetico, ma l'intera economia – nasce all'interno di "Brand New Congress" e il movimento Justice Democrats, tra cui co-fondatori c'è Zack Exley, un Open Society Fellow, che ha ottenuto in passato fondi da Open Society Foundations e Ford Foundation per creare un gruppo che ha preceduto l'esperienza di Justice Democrats. Greta Thunberg, invece, farebbe parte di una rete ben collegata all'ONG diretta da Al Gore. L'attivista svedese sarebbe stata inserita nel board di “We Do not Have Time”, una start-up di proprietà di esperto di marketing, Ingmar Rentzhog, membro a sua volta del Climate Reality Project di Al Gore e della Task Force per la politica climatica europea.

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Il piano, conclude l'analista geopolitico statunitense, prevederebbe la finanziarizzazione dell'intera economia mondiale "usando il panico generato da uno scenario da fine del mondo per raggiungere obiettivi arbitrari come le emissioni zero di gas serra" e Thunberg e Ocasio-Cortez non sarebbero altro che volti della propaganda climatica per fare allarmismo sul clima e fare pressione poi sui governi mondiali.

In questa ricostruzione si sposta l'analisi di un fenomeno complesso come il riscaldamento globale e il cambiamento climatico su un piano esclusivamente geopolitico, spogliato da ogni aspetto di carattere scientifico.

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Tanto è vero che, nel riportare le argomentazioni di Engdahl riprese da Global Research, Oldani su Italia Oggi definisce "studi contrari al mainstream mediatico sulla cosiddetta emergenza climatica", tesi che in realtà non hanno alcuna evidenza scientifica e che ripropongono miti sul cambiamento climatico ormai smontati da tempo, e relega il consenso scientifico sul riscaldamento globale "a mainstream mediatico".

In questa cornice, il cambiamento climatico non è un fenomeno che si sta verificando e in costante divenire, non è la conseguenza dell'accelerazione del riscaldamento del pianeta dagli anni '70 ad oggi in seguito all'attività antropica, ma sarebbe un allarme costruito a tavolino per giustificare un'operazione finanziaria ultra-miliardaria "a favore delle nuove imprese climatiche" e "degli istituti finanziari che hanno sposato questo business" e "ovviamente a scapito dei settori dell'economia «colpevoli» di inquinare, e con duri sacrifici per milioni di lavoratori e consumatori", come scrive Oldani sempre nel suo pezzo su Italia Oggi. La fitta rete di rimandi tra i protagonisti di questo network finanziario è così auto-evidente e auto-esplicativa da essere sufficiente per avverare la realtà che l'inchiesta racconta senza, però, mai entrare nel dettaglio e provare quanto descritto.

Lanciati come uno scoop, gli articoli di Libero e Italia Oggi sono stati poi condivisi nella galassia della contro-informazione fino a essere ripresi, senza essere verificati, in serata anche da Dagospia.

Ma, in realtà, di scoop non si tratta. L'articolo di Global Research, cui fanno riferimento le due testate giornalistiche, infatti, riprende parola per parola un vecchio post pubblicato proprio da Engdahl sul suo blog a fine settembre e rilanciato in Italia, a ottobre, da Il Giornale che scriveva:

"In una scrupolosa e ben documentata analisi pubblicata su New Eastern Outlook, lo studioso F. William Engdahl, consulente e docente di rischio strategico, va al cuore del fenomeno Greta. Engdahl cita The Manufacturing of Greta Thunberg, libro pubblicato dall'attivista per il clima canadese Cory Morningstar, che prova a smascherare il "bluff" del climaticamente corretto. L'attivismo di Greta è legato - forse inconsapevolmente - ad Al Gore, presidente del gruppo Generation Investment. Il partner di Gore, David Blood, ex funzionario di Goldman Sachs, è membro della Task Force sul clima presieduta dal miliardario Micheal Bloomberg. Greta Thunberg e la sua amica diciassettenne americana, Jamie Margolin, sono state entrambe nominate come "consiglieri speciali" della Ong svedese We Don't Have Time, fondata dal suo Ceo Ingmar Rentzhog, l'esperto di marketing e pubblicità che per primo ha diffuso sui social gli scioperi di Greta. Rentzhog è membro dei leader dell'Organizzazione per la realtà climatica di Al Gore e fa parte della Task Force per la politica climatica europea. Il Climate Reality Project di Al Gore è partner di We don't have time."

Nulla di nuovo, insomma. E nulla di nuovo anche nella ricostruzione di Engdahl a proposito di Greta Thunberg, alla quale l'analista statunitense dedica poche righe riesumando i post e le tesi di Cori Mongistar che avevamo già analizzato e smontato in questo articolo.

Secondo Engdahl (e Mongistar) la prova che dietro Thunberg ci sia la finanza mondiale sono i legami con Al Gore tramite la figura di Ingmar Rentzhog e l'ONG "We don't have time", di cui l'attivista svedese sarebbe "consigliere speciale". Ma, come già appurato in passato:

  1. "Greta Thunberg non riceve soldi e non lavora per nessuna associazione. I contatti con la società "We Do Not Have Time" di Ingmar Rentzhog sono successivi all'inizio della sua protesta e ora risultano interrotti. In un post su Facebook, Greta ha poi aggiunto di essere stata per breve tempo una consulente per i giovani nel consiglio di "We Do Not Have Time" ma di aver reciso ogni legame quando è venuta a conoscenza che un altro ramo dell’organizzazione aveva usato il suo nome.
  2. Dire che Greta Thunberg faccia catastrofismo ambientale in modo tale da creare panico sociale e favorire la pressione di tante persone sui governi mondiali e favorire gli interessi della rete finanziaria alle sue spalle è falso. Nei suoi discorsi Thunberg chiede innanzitutto alle istituzioni e ai governi di ascoltare gli scienziati, fondando le sue dichiarazioni su quanto riportato dai rapporti delle Nazioni Unite e sulla consulenza di due dei più rinomati esperti di tutto il mondo: Kevin Anderson del Tyndall Center for Climate Change Research di Manchester, e Glen Peters, direttore della ricerca del Centro Cicero di Oslo per la ricerca sul clima.

Oggi, Oldani è tornato sull'argomento con un nuovo articolo, riproponendo la tesi dei legami tra Greta Thunberg e Rentzhog e, per proprietà transitiva con Al Gore e la rete finanziaria, di cui l'ex vice-presidente USA sarebbe centro nevralgico, per sostenere che il piano verde europeo (European Green Deal) recentemente presentato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è solo l'ultimo atto di questa operazione pianificata a tavolino dai poteri forti e trova sostegno anche in Italia. A provarlo, scrive Oldani, un articolo di Giovanni Pitruzzella, pubblicato ieri dal Corriere della Sera, in cui l'ex presidente Antitrust spiega cosa prevede l'European Green Deal. Quanto basta per consentire al giornalista di Italia Oggi di dire che "il primo quotidiano d'Italia conferma di essere schierato con i poteri forti della grande finanza mondiale che stanno usando Greta Thunberg per convincere l'opinione pubblica, soprattutto i giovani, ad accettare la quarta rivoluzione industriale, quella dell'economia verde".

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Ancora una volta viene riproposta la narrazione di "Greta Thunberg pianificata a tavolino e costruita mediaticamente per favorire la quarta rivoluzione industriale dell’economia verde" che segue, in tutto e per tutto, le costruzioni narrative simili a quelle delle teorie del complotto: vengono isolati e poi cuciti tra di loro in maniera forzata e arbitraria dettagli reali per rendere credibile la tesi che Greta Thunberg è il frutto di un esperimento di ingegneria sociale da parte di grandi poteri finanziari per manipolare, condizionare e spingere le masse ad agire su scala globale.

Una teoria del complotto spacciata per giornalismo che ripropone ogni volta sotto altre forme sempre lo stesso racconto e che fonda le sue tesi sempre sullo stesso articolo rivelatosi infondato. Teoria che contribuisce a creare confusione e ad accreditare posizioni negazioniste, secondo le quali il cambiamento climatico non è reale, non è di origine antropica e non ha impatti tali da dover essere affrontato con urgenza. E che sposta l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica dalla natura e dagli impatti del cambiamento climatico e da una discussione su cosa fare per limitare l'incremento delle emissioni e del riscaldamento globale per parlare di reiterate teorie cospirazioniste che si rivelano prive di fondamento. Come accaduto ieri sera su Rai 3, quando anche Mauro Corona, ospite di Carta Bianca, si è chiesto a un certo punto chi c'è dietro Greta Thunberg che, come da lui sostenuto in altre occasioni, «vede manipolatissima».

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E così su un tema cruciale che chiama in causa il futuro della nostra società e chiede di ripensare il nostro modello di sviluppo e gli strumenti attraverso i quali misurare il benessere e la qualità della vita delle nostre società, i media contribuiscono a farsi veicolo di disinformazione, a volte perseguendo obiettivi ideologici, altre di monetizzazione dei contenuti, anziché aiutare i cittadini ad avere un'informazione consapevole e competente.

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La questione è ampia e non si riferisce strettamente solo alla quantità di gas serra che emettiamo ma riguarda come continuare a dare energia e alimentare in modo sostenibile un pianeta sempre più popolato e che richiede interventi e soluzioni differenti a seconda delle diverse aree geografiche, pur inserite all’interno di una piattaforma comune. I costi sociali, economici, professionali sono alti e mai, come in questo momento, è necessario contrastare la disinformazione.

Immagine in anteprima via voanews.com

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