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Cosa pensate del green pass? Argomenti pro, contro e dubbi su una delle misure più divisive contro il contagio. Ne abbiamo discusso con la nostra community

24 Novembre 2021 25 min lettura

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Cosa pensate del green pass? Argomenti pro, contro e dubbi su una delle misure più divisive contro il contagio. Ne abbiamo discusso con la nostra community

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“Ci piacerebbe avere qui con voi una discussione confronto su green pass e su green pass sul lavoro. Cosa ne pensate? Qual è la vostra posizione?” 

È nata così nel gruppo Facebook “Valigia Blu Community” (aperto a chi partecipa al crowdfunding) una discussione su uno dei temi più spinosi e su cui più si è divisa l’opinione pubblica rispetto alle misure di contenimento contro la pandemia: il green pass e la sua adozione nell’ambiente del lavoro. L'obbligo del green pass nei luoghi di lavoro è in scadenza al 31 dicembre 2021. In quella stessa data è prevista anche la fine dello stato di emergenza. Il Governo sta riflettendo se (e fino a quando) prorogare sia lo stato d'emergenza che l'obbligo del green pass.

La discussione è stata molto partecipata (oltre 600 commenti), a testimonianza di quanto l’argomento sia sentito e di quanta voglia ci fosse di parlarne, meglio se in un ambiente “sicuro” dove ci si confronta con rispetto e gentilezza.

Ci è sembrata una esperienza importante nel metodo (sono possibili discussioni e confronti su posizioni anche molto diverse, ma portate avanti con serenità e reale interesse reciproco e non per imporre la propria visione) e nel merito (ragionamenti e argomentazioni con cui vale la pena misurarsi) e abbiamo deciso di valorizzarla, estrapolando alcune questioni emerse in modo ricorrente, e condividerla (con l'autorizzazione dei partecipanti a cui è stata garantito l'anonimato) al di fuori del gruppo. Per lo più, la maggior parte degli interventi, pur notando incongruenze e criticità, è stata a favore del green pass, considerato anche che ci troviamo in una situazione emergenziale e che l'alternativa dell'obbligo vaccinale non è facilmente percorribile. Abbiamo individuato quattro macro argomenti, nei quali sono stati accorpati commenti isolati o che rispondevano alla stessa domanda ma sotto thread diversi:

Che tipo di strumento è il green pass?
Come si è arrivati a questa situazione?
Cosa si sarebbe potuto fare?
Fino a quando sarà accettabile questo tipo di strumento?

Che tipo di strumento è il green pass?

La discussione è partita chiedendosi a quali esigenze potesse rispondere il green pass. Innanzitutto, è stata individuata una questione di responsabilità sociale: minimizzare il rischio di contagi dovrebbe far parte delle tutele della sicurezza sul lavoro.

Come ha spiegato AF:

Trovo sia un necessario atto di educazione civica, quello di assicurare agli altri che si è fatto il possibile per minimizzare il rischio di essere contagiosi, e non vedo ragione per considerare meno valevole di tutela questo aspetto della sicurezza sul lavoro rispetto a tutti gli altri. (...)Trattandosi di una malattia contagiosa, il focus deve essere non sul sé, ma sugli altri da sé. Non si tratta di lasciare che ognuno si protegga per come vuole, ma di assicurarsi che nessuno metta inutilmente a rischio gli altri.

In che modo? Nel corso della discussione, rispondendo ad altri commenti FA ha esplicitato ulteriormente il suo pensiero:

Il virus muterà se continuerà a circolare, e se continuerà a circolare prima o poi emergerà una variante capace di superare la barriera del vaccino, riportandoci di colpo al 2020. Per questo è importante bloccarne la diffusione, e per farlo dobbiamo vaccinarci innanzitutto, indossare mascherine in secondo luogo, e in estrema ratio almeno effettuare un test ogni poche ore per assicurarsi di non essere contagiosi.

AF individua una serie di azioni preventive per evitare che focolai di contagi divampino di nuovo come accaduto negli ultimi due anni, ormai: vaccinarsi, continuare ad avere precauzioni (mascherine, lavarsi le mani, ecc…) e fare i tamponi. La domanda, a questo punto, è stata: se l’obiettivo è minimizzare il rischio di contagi e garantire la sicurezza sul lavoro, il green pass è la risposta? Che tipo di strumento è il green pass?

Qui si sono aperti più thread di commenti contemporaneamente e via via, partendo dall’idea (e anche dall’esperienza) personale, c’è stato un confronto tra le diverse opinioni in merito. C’è stato chi ha visto nel green pass un escamotage escogitato dallo Stato per evitare di imporre l’obbligo vaccinale, chi ha parlato invece di “spinte gentili” per aumentare le vaccinazioni, chi lo ha interpretato come uno strumento di controllo in emergenza sanitaria per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro.

DL: Rispondo subito perché è argomento che cerco di affrontare con chiunque serenamente e con onestà, ma alla fine si va sempre sulle barricate. Io comincerei dicendo che il green pass non è uno strumento, un modo per limitare la diffusione del virus ma un modo subdolo per costringere le persone a vaccinarsi. Funziona? Si, perché se hai una urgente necessità di lavorare costringe chi aveva dei dubbi o ansie riguardo il vaccino a farlo ugualmente.

CA: Perché subdolo? Rientra nelle cd 'spinte gentili'... Quello che è mancata secondo me è una vera campagna informativa vaccinale con obiettivo avvicinare gli esitanti. E quindi così si è fatta largo percezione misura imposta in modo autoritario etc etc.

SP: Ma no. È uno strumento di controllo per una condizione, anzi due, per tentare di superare l'emergenza sanitaria. Non importa niente che sia stato creato per un altro motivo: in linea teorica in Italia avremmo potuto fare il lasciapassare verde diverso da quello europeo. Abbiamo scelto quello solo per comodità ed interoperabilità.

Il commento di FA sintetizza bene le diverse interpretazioni del green pass emerse dagli scambi nella discussione. Il green pass – ha commentato FA – è stato “lo strumento più semplice per perseguire gli scopi di prevenzione sanitaria, ripresa economica e incentivazione al vaccino” di fronte all’impossibilità di introdurre l’obbligo vaccinale.

A un certo punto ci si è trovati davanti alla scelta di riaprire o meno determinate attività, parlo di quelle al chiuso, quelle che erano a rischio e quindi chiuse prima dell'estate scorsa. Ristoranti, cinema, teatri, concerti, etc. etc. Le possibilità erano 3: chiusura ad oltranza, riapertura solo ai vaccinati, riapertura a tutti a prescindere dal vaccino. Le indicazioni che vengono dagli studi scientifici dicono che i vaccinati trasmettono meno, si infettano meno e, soprattutto, se si infettano non si ammalano o si ammalano con conseguenze molto lievi nella stragrande maggioranza dei casi. Di qui la decisione, direi quindi economico/sanitaria, di riaprire le suddette attività solo per i vaccinati e per chi si è sottoposto a tampone da poche ore. Ovviamente serviva uno strumento per distinguerli e si è adottato il green pass, che era lo strumento adottato in sede europea per consentire gli spostamenti tra Stati membri senza quarantene (direi per le stesse identiche motivazioni economico/sanitarie).
Visto che ha funzionato, l'Italia ha deciso di estendere l'applicazione del green pass ad altri ambiti. Treni a lunga percorrenza e, soprattutto, luoghi di lavoro. Qui direi che la decisione è stata dettata dalla volontà di ridare vigore alla campagna vaccinale. È un provvedimento contraddittorio, ovviamente, perché senza green pass posso prendere una metro affollata, un treno regionale e un autobus, ma non posso entrare in ufficio, dove magari sto in una stanza da solo.
La discriminante tra attività permesse e non permesse non è più di ordine sanitario, ma di ordine pratico: sono vietate tutte le attività che è possibile sottoporre a controllo, sono permesse quelle che è impossibile controllare. Questi controlli, per giunta, sono stati affidati non alle forze dell'ordine, ma agli esercenti che si trovano in evidente conflitto di interessi.
Ora veniamo all'obbligo.
Nessun paese al mondo lo ha adottato in maniera assoluta. Alcuni hanno stabilito che fosse indispensabile per alcune categorie (lo ha fatto anche l'Italia) e, anche qui, la decisione è dettata più dal senso pratico che da ragioni di ordine sanitario. Sono stati obbligati per lo più dipendenti pubblici, facilmente controllabili, e operatori sanitari, per ovvi motivi. Se l'Italia avesse introdotto l'obbligo vaccinale indiscriminato, chessò, a settembre, avrebbe messo improvvisamente “fuori legge” alcuni milioni di persone contemporaneamente. A questi milioni di cittadini lo Stato avrebbe dapprima dovuto mandare un avvertimento (ti devi vaccinare entro tale data) e, in caso di inottemperanza, comminare una sanzione di tipo pecuniario, che poi avrebbe dovuto riscuotere, preparandosi a ricevere ricorsi a raffica da quelli determinati a non pagare. Parliamo di un'operazione burocratica di dimensioni immani, che avrebbe completamente distrutto Asl, Comuni, Regioni e Uffici giudiziari.
Tra tutte le soluzioni possibili, quella dell'obbligo vaccinale è sicuramente la più impraticabile di tutte. Quindi, il mio pensiero è: il green pass è molto molto imperfetto e discutibile, ma è l'unico strumento che praticamente consente di perseguire gli scopi di prevenzione sanitaria, ripresa economica e incentivazione al vaccino.

In molti hanno evidenziato le imperfezioni dello strumento e segnalato contraddizioni nella sua applicazione.

Innanzitutto, alcuni hanno avuto la percezione che il green pass abbia dato una sensazione di falsa sicurezza che ha portato ad allentare le misure di protezione.

CE: Il GP sta facendo allentare numerose misure di sicurezza, soprattutto nel lavoro privato (mascherine, distanziamento) e nel pubblico (rientro in massa) elevando il rischio di contagio e creazioni di variabili. 

RC: In mancanza di idee migliori, sono a favore del green pass (anche sul luogo di lavoro). La mia sensazione però è che metta in secondo piano le altre prassi di prevenzione (distanziamento, mascherine)... per non parlare del fatto che dopo alcuni mesi dal vaccino gli anticorpi scendono e il green pass rimane valido per un anno. Inoltre si stanno anche allentando i protocolli di quarantena e il tracciamento dei casi, che non c'è mai stato e continua a non esserci. Insomma, sembra una scorciatoia per dire "liberi tutti" e questo alla lunga potrebbe essere controproducente.
Rispetto all’applicazione c’è stato chi ha fatto notare le contraddizioni sull’obbligatorietà del green pass sui luoghi di lavoro e non sui mezzi pubblici o per entrare in un supermercato o nei bar. 

DL: È ricca di contraddizioni. Ce ne sono due che girano in rete ma sono specchio della realtà: una è quella della commessa di un supermercato che senza gp non può entrare e quindi lavorare. Ma la stessa può entrare come cliente nello stesso locale. L’altra è quello del camionista che non può entrare in un magazzino a scaricare perché sprovvisto del gp ma può entrare a caricare nello stesso magazzino come cliente. Come non dimenticare che entrare in chiesa è possibile entrare senza gp.

PS:  Altro limite del green pass è la strana distinzione tra luoghi in cui viene richiesto e dove no: sui mezzi pubblici locali no. Sui treni regionali, strapieni di pendolari lavoratori e studenti no. Ora, è iniquo ed ingiusto che venga richiesto per lavorare e non per arrivare al lavoro, o per studiare e non per arrivare all’università, quando è evidente che le possibilità di contagio sui mezzi sono esponenzialmente più alte. I controlli poi sono scarsissimi fuori dai luoghi di lavoro e quindi l’efficacia dello strumento è ulteriormente inficiata: sui treni ad alta velocità spesso non viene controllato, nei ristoranti anche. Sui mezzi spesso ci sono persone senza mascherina addirittura, ma nessun controllo né intervento in merito. Alla fine, benché io abbia il greenpass, non sia affatto contraria al green pass e lo usi regolarmente, mi rendo conto dei limiti di questo strumento e continuo a pensare che la migliore copertura, la più efficace tutela e il modo migliore per evitare rischi e limitare le polemiche e i dubbi (che ci saranno sempre comunque), sarebbe l’obbligo vaccinale.

Alcuni hanno raccontato le difficoltà incontrate e i disagi vissuti sul luogo di lavoro. Come LM e GS.

LM: Ho letto tutti i vostri commenti. Almeno quelli arrivati finora e ci tengo a ringraziarvi per aver aperto il confronto e per la profondità e la rara pacatezza dei toni. Non trovo corretto che vi sia in vigore l’obbligo del green pass per lavorare. Provo a portarvi il punto di vista da datore di lavoro di una piccola agenzia di comunicazione con due sedi che si è trovata nella necessità di mettere in smart working tutti per evitare di dover demansionare qualcuno e fargli fare il controllo del green pass dei suoi colleghi o, peggio, doverlo fare io. Oggi abbiamo deciso di condividere la decisione con il nostro team e alla fine abbiamo deciso di dare a tutti la delega al controllo dei colleghi, ma mi chiedo se questo abbia senso? Noi siamo in 20 e non possiamo permetterci una persona che faccia il controllo all’ingresso. Siamo sempre stati contrari ai badge e ai controlli e crediamo nella responsabilità individuale delle persone, diamo loro la possibilità di entrare e uscire dai nostri uffici quando vogliono. Questo controllo ci risulta davvero complicato, oltre che costoso. 

GS: Dico la mia velocemente, riportando l'esperienza di un operaio in quel del Trentino. Attualmente lavoro su due turni, ad inizio lavoro, adesso, stabilito per motivi che non conosco dalla mia azienda, il controllo avviene prima della timbratura, a partire da 14 minuti prima dell'inizio dell'orario di lavoro, se metto a vidimare il mio green pass cartaceo, stampato dal PDF fornitomi dal ministero un paio di mesi fa, dopo essermelo scaricato previa comunicazione da SMS, non viene letto, presumo perché non essendo luminosa la carta e lo smartphone del preposto sopra la carta fa ombra, e il sensore della fotocamera stenta a mettere a fuoco il quadrato (QR-code), dà problemi, tuttavia essendomi salvato il PDF sullo smartphone, con questo nessun problema, lettura veloce e consueta e conseguente timbratura per l'accesso allo stabilimento. Se per qualche motivo non funziona la scannerizzazione, indipendentemente che sia lo smartphone del preposto o il mio, vengo calcolato ingiustificato come non possessore del green pass, nonostante sia vaccinato con due dosi, la terza aspetto lo scaglione dedicato, penso come l'altra volta, per gruppi di età. Ai bar, per adesso a me nessuno controlla, qualcuno, barista o gestore, chiede se lo possiedo, e nulla più, questa è la discrepanza lavorativa-sociale.

La discussione sull’uso del green pass nei luoghi di lavoro ha introdotto un ulteriore elemento di dibattito. Il green pass è uno strumento coercitivo?

LR: Personalmente sono molto scettico sul green pass sui luoghi di lavoro. È ovvio che si tratti di una misura estremamente efficace nel contrasto alla pandemia e alle conseguenze più gravi che sappiamo può (ancora) avere, ma è stridente il contrasto tra la perentorietà con cui si chiede ai lavoratori di accertare di non nuocere e la carezza che abbiamo rivolto agli imprenditori che non hanno garantito luoghi di lavoro salubri, e il contrasto tra il dovere costituzionale di lavorare e la facoltatività del vaccino, e in generale la facoltatività del non nuocere agli altri. Capirei una misura così stringente al massimo con un termine di ricontrollo perentorio, basato sui dati dell'avanzamento del virus, e solo con riferimento alle incertezze dei mesi autunnali e invernali. Trovo personalmente molto meschino che la misura punitiva sia il blocco dello stipendio: il fatto che si agisca sui soldi che riguardano un rapporto terzo rispetto allo Stato per me è incredibile, anche se mi rendo perfettamente conto di quanto sarebbe nella sostanza impossibile, per esempio, una deducibilità fiscale collegata al vaccino. Preferirei che lo Stato si assumesse l'iniziativa dell'obbligo vaccinale, non come assunzione di responsabilità in caso di reazioni avverse (la ha già) ma proprio come un indirizzo di fondo.

In un commento CR spiega la sua contrarietà all’utilizzo del green pass nei luoghi di lavoro ricostruendo come nel tempo è mutata la sua applicazione. E così, se all’inizio poteva essere paragonabile alla patente, applicandosi solo ai luoghi ricreativi, successivamente, applicandosi al lavoro, è diventato, secondo lei, uno strumento punitivo.

Il green pass non è un vaccino, è una certificazione, lo specchio burocratico di un trattamento medico. Quando quest'estate è stato previsto per l'esercizio di attività ricreative e di assistenza, ero dubbiosa sul suo impatto concettuale sul diritto, ma non eccessivamente preoccupata. Non vedevo particolari rischi, se non appunto concettuali (quindi più gravi, certo, ma non immediati) perché si era scelto di dare libertà vaccinale e, di contro, si ponevano dei limiti a libertà in ottica di diminuzione dei rischi ma, soprattutto, promozionale: non c'è lesione dei diritti nell'impedire a qualcuno di andare al cinema, e siccome nei cinema c'è l'obbligo di mascherina (e all'epoca c'era ancora il distanziamento e la capienza ridotta), era evidente che la ragione non fosse (solo) ridurre le occasioni di contagio, ma soprattutto spingere la popolazione a vaccinarsi, con una "pressione gentile". È un metodo normativo piuttosto moderno che mi sembra molto interessante ma che forse non avrei applicato in ambito sanitario. Per dire, il cashback utilizzava simili meccanismi premiali non per dare soldi a chi usasse pagamenti elettronici, ma per educare la popolazione all'uso dei pagamenti elettronici (e tracciabili). Io molto semplicemente non sono convinta che la libertà individualistica sia applicabile in ambito medico, specie nel corso di una pandemia. La salute, lo afferma la Costituzione, si definisce come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", come spesso accade è una definizione duplice, in ottica di singolo e di comunità. La libertà è un annacquamento di entrambe queste definizioni, uno spirito di comunità trasformato in una dinamica di club. Ma queste, mi dicevo, sono sottigliezze di politica del diritto, se una spinta ricreativa può servire ad aumentare la copertura vaccinale, ben venga. 

In estate arriva la proposta del green pass negli ambienti di lavoro. E, secondo CR: 

Il meccanismo premiale (se hai il green pass puoi andare alle sagre) si è trasformato in meccanismo punitivo (se non hai il green pass non puoi lavorare). (...) Non credo ci sia nel nostro ordinamento tema più profondo e complesso del lavoro. Il lavoro è un diritto di libertà rispetto alla scelta dell'attività da svolgere, un diritto sociale rispetto al poter svolgere tale attività e alla retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire una vita dignitosa, un dovere sociale di partecipazione alla comunità e, solo infine, un rapporto privato tra datore di lavoro e lavoratore. Esiste insomma un (complessissimo) diritto al lavoro, che non è paragonabile alla libertà di andare al cinema o al parco acquatico col green pass. Il green pass è una certificazione dell'esercizio di una libertà, quella vaccinale, che quindi può avere impatto sul "di più", sulla fruizione di servizi non essenziali, ma che non può limitare un diritto essenziale come quello al lavoro.
A me questa sembra una ragione sufficiente per dichiararmi, da vaccinata, convinta della necessità dei vaccini, contraria al green pass sui luoghi di lavoro e dubbiosa rispetto alla libertà vaccinale di cui il green pass è espressione. Ma molti potrebbero obiettare che, in pandemia, questi sono ampollosi discorsi teorici. Io trovo invece che la questione sia molto pratica.

A CR risponde GP: ammesso che ci fosse l’obbligo vaccinale, non ci sarebbe bisogno comunque di uno strumento di controllo? 

CR mi piace il suo punto di vista e la ringrazio, anche se in fondo continuo a non essere d'accordo. Per esempio il fatto che ci siano persone in attesa di esenzione vaccinale e che questa attesa sia allungata da problemi burocratici ed altro, non è un motivo per invalidare uno strumento di controllo. Se il vaccino fosse reso obbligatorio (come è già stato fatto per altri in precedenza) quale sarebbe lo strumento di controllo? Come si potrebbe impedire a persone non vaccinate e potenzialmente altamente contagiose di spargere il virus nei confronti di altri colleghi di lavoro? L'eventuale creazione di uffici/ghetto no-vax, non mi parrebbe una soluzione percorribile neanche in pratica poiché nessun ufficio è isolabile all'interno di una organizzazione aziendale.
Come dice qualcuno non è che il virus cambi il proprio comportamento perché c'è un comma di qualche legge che dice che "non si può fare". La gerarchia la fa il virus almeno finché non si riesce a ridurlo a più miti consigli. Fino all'avverarsi di quell' “almeno” deve essere possibile, se collettivamente utile, che anche alcuni diritti vengano per così dire “compressi”.
L'utilità in questo caso la indica la scienza, la scelta poi la fa la politica. Questo naturalmente vale finché vige un certo tasso di fiducia in chi ci governa perché (non è naturalmente riferito a Lei) se iniziamo con i complottismi allora vale tutto e il suo contrario.

CR risponde a questo commento dicendo che lo strumento di controllo sarebbe sempre il green pass, però un conto è controllare un obbligo, un altro è controllare una libertà:

Fino a quest'estate, il green pass era l'equivalente della patente: per guidare è obbligatorio avere la patente, ma guidare non è obbligatorio o comunque necessario, esistono alternative percorribili, che vanno dai mezzi pubblici alla bici all'andare a piedi. Se non intendo guidare un'auto, non ho alcun obbligo di avere ed esibire la patente. Il discorso cambia quando l'attività cui si lega l'obbligo di una certificazione facoltativa non ha alternative, come nel caso del lavoro. Si dirà, giustamente, che esistono le vaccinazioni obbligatorie per diverse professioni (l'antitetanica per i metalmeccanici e molti altri settori, l'antipertosse per chi lavora negli asili nido, eccetera). Ma, per l'appunto, sono obblighi normativi, in linea con l'art. 32 della Costituzione che prevede una riserva di legge per i trattamenti sanitari: ovviamente il controllo avviene tramite certificato vaccinale, ma non è che è obbligatorio avere un certificato, è obbligatorio fare la vaccinazione. La vaccinazione non è presentata come una facoltà rimessa alla libera scelta dell'individuo, ma come un trattamento obbligatorio per legge, violando il quale si incorre nelle sanzioni disciplinari anche nel rapporto di lavoro.

Nei commenti viene postato un articolo di Vitalba Azzollini su Domani sul rapporto costi-benefici del green pass: 

“Lo strumento è stato costruito in funzione dell’obiettivo – indurre alle vaccinazioni – così che fare un tampone per ottenere il pass, pur costituendo un’opzione legittima, fosse più gravoso rispetto al vaccino. Tuttavia, il “disegno” dello strumento è carente. Innanzitutto, non è stato stabilito un indicatore quantitativo di risultato: in particolare, il numero minimo di vaccinazioni aggiuntive che si stimava di ottenere con l’introduzione del “green pass” nei luoghi di lavoro. Non si può presumere a priori che ogni vaccinazione in più valga i costi della misura. Altrimenti, si vanifica ogni valutazione preventiva, giustificando qualunque strumento, anche il più gravoso o inefficiente. Né è stato fissato il traguardo raggiunto nel quale la misura sarebbe decaduta, per esempio il raggiungimento di una certa percentuale di vaccinati. Riguardo ai costi, non sono stati preventivamente stimati quelli che la misura avrebbe comportato, per esempio gli oneri per i datori di lavoro privati e pubblici, quindi anche per i contribuenti, a causa dei controlli dei pass; oppure i disagi alle attività economiche, produttive ecc. derivanti dalla sospensione dal lavoro dei “no-green pass” irriducibili. Sul piano della fattibilità, inoltre, non è stata preventivamente valutata la capacità effettiva delle strutture sanitarie di processare il maggiore numero di tamponi necessari per ottenere la certificazione verde da parte dei lavoratori non vaccinati. A tutto questo serve l’analisi di impatto ex ante, cui il governo è tenuto anche quando si occupa della salute collettiva. Non esistono diritti “tiranni”, e il bilanciamento tra quelli costituzionalmente garantiti passa anche attraverso un’analisi di costi e benefici”.

Argomentazioni in parte riprese in questo articolo commento di CR:

  1. È stato fatto un piano di valutazione dell'impatto dell'obbligo di green pass sul sistema di tracciamento? L'anno scorso, per un sospetto covid in famiglia, con sintomi anche piuttosto seri, all'inizio della seconda ondata, abbiamo dovuto aspettare otto giorni per il tampone. È andata bene, ma la diagnosi tardiva sarebbe potuta essere tragica. In quel sistema in tilt non c'erano tutti quelli che devono fare tamponi per il green pass. Questa valutazione è stata fatta?

  2. Se il governo fa un passo indietro, perde credibilità. Se, dopo aver lasciato alzare a questi livelli il clima di scontro, continua con la prova di forza, senz'altro molti si vaccineranno per non perdere il lavoro, andando a ingrossare le file di coloro che non vedono nello Stato l'espressione politica della propria comunità, ma il ricattatore ente dominatore.

  3. Esiste la possibilità di esenzione dal vaccino (e quindi dal green pass). Io conosco tre persone che (potrebbero) averne diritto, e che sono in attesa della visita medica. Nel frattempo, oltre a non svolgere attività ricreative che comunque non avrebbero svolto per precauzione personale, devono farsi tamponi per ottenere green pass per svolgere un lavoro che fino a ieri svolgevano con mascherina e distanziamento.

  4. In questo entusiasmo per il salvifico certificato anticontagio, pochi hanno notato che, nel frattempo, la quarantena non è più equiparata alla malattia e quindi i giorni in cui un lavoratore, vaccinato o non vaccinato, sta a casa dopo un contatto a rischio, sono a sue spese. Quanti lavoratori se lo possono permettere? E quanti taceranno eventuali contatti, per evitare di stare a casa senza retribuzione? Per me questo è un serio rischio e non basta un QR code per star tranquilli.

Come si è arrivati a questa situazione?

Insomma, per quanto sia necessario uno strumento di controllo per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro ed evitare l’aumento dei contagi, il green pass resta uno strumento di difficile lettura. E a rendere ancora più difficile la comprensione dello strumento – è opinione pressoché condivisa – c’è l’opacità di come il Governo è arrivato a decidere di applicare il green pass ai luoghi di lavoro e la carente campagna di informazione che ha fatto percepire questa decisione come calata dall’alto senza ogni possibilità di discussione. Contribuendo così ad ampliare la spaccatura e la conflittualità presente nell’opinione pubblica.

CD: Credo che viviamo in un'epoca caratterizzata da forti spaccature nel tessuto sociale, lo vediamo periodicamente con i vari temi che caratterizzano il dibattito pubblico nel nostro paese (e su questo non siamo unici, basta uscire dai nostri confini per vedere che anche altrove è così). Il green pass e i vaccini, per svariate ragioni, toccano corde molto sensibili dell'animo umano e per questo le reazioni delle persone profondamente contrarie sono così veementi. Credo che la responsabilità di uno Stato nei confronti della cittadinanza sia quello di fare in modo che queste spaccature, questi conflitti, vengano riassorbiti nella maniera più indolore possibile e non soffiare sul fuoco delle polemiche e dividere ancora di più la società in fazioni opposte pronte a farsi la guerra. Il clima generale non era buono nemmeno prima, penso che questa vicenda lascerà segni molto pesanti su tutti noi. La questione green pass è solo un'altra sfaccettatura del problema più grande della mancanza di partecipazione attiva alla vita pubblica da parte di moltissime persone: a seconda del contesto si coniuga in maniera differente, a volte tramite l'astensionismo o il voto di protesta, a volte tramite la scarsa partecipazione alle lotte sindacali o ancora tramite il disinteresse nei confronti di temi quali riforme del lavoro, della giustizia o dei diritti civili e sociali (se usciamo dalla bolla di Valigia Blu, quanti si sono veramente informati sulla riforma Cartabia, quanti sul ddl Zan).
In conclusione, è dovere dello Stato ma anche di noi singoli cittadini tentare di ripulire il discorso pubblico, di tornare a poter dialogare in maniera costruttiva e soprattutto di fare in modo che quanti ad oggi si sono abbandonati a narrazioni tossiche basate prevalentemente su fantasie di complotto (leggete Wu Ming sul tema) non vengano abbandonati a loro stessi, perchè gli unici sfoghi che troveranno saranno in movimenti estremisti, fascisti se non addirittura eversivi.

Sempre sull’opacità della decisione da parte del Governo, c’è stato chi si è interrogato sui criteri adottati e le valutazioni fatte prima dell’introduzione del green pass nei luoghi di lavoro.

MR: Il green pass in sé per sé è a mio avviso uno strumento utile per contenere la diffusione della Covid-19, proprio perché si può ottenere in diversi modi e può essere usato in molti contesti. Rispetto all'obbligo sul luogo di lavoro facevo ieri questa riflessione. Nell'ipotesi che uno degli obiettivi principali del governo nell'introdurre questa norma fosse quello di aumentare ulteriormente le adesioni alla campagna vaccinale, considerato che questo aumento sensibile pare che non ci sia stato, mi domando se siano stati fatti errori di valutazione che, nel caso, considererei piuttosto gravi. In particolare: è stata valutata correttamente la relazione tra persone non vaccinate e persone disoccupate, o con lavori "ai margini" per cui probabilmente incontrollabili? Se questa valutazione è stata fatta male, o non è stata fatta, l'introduzione del green pass non ha portato il risultato sperato e inoltre è emersa ancora meglio l'insofferenza (che non condivido ma legittima) di una parte della popolazione. In generale e a monte di tutto questo, continuo a pensare che la comunicazione istituzionale durante tutta la pandemia sia stata estremamente carente, e abbia contribuito a indebolire ancora di più il rapporto di fiducia (reciproco) tra governo e cittadini; in questo contesto, purtroppo, la misura del green pass non poteva che essere recepita, dai cittadini sfiduciati, come una forzatura.

In particolare, chi avrebbe preferito una campagna di vaccinazione obbligatoria, vede nella scelta del green pass un modo dello Stato di scaricare le proprie responsabilità sui cittadini. Anche se, come si evince in un articolo di Pagella Politica postato in uno dei commenti, “in base a quanto stabilito dalla Corte costituzionale, se lo Stato non ti obbliga ma ti invita a vaccinarti, si ha comunque diritto all’indennizzo in caso di lesioni o infermità, che portino a menomazioni permanenti, causate dal vaccino”.

DL: C’è una differenza abissale tra “prima l’obbligo vaccinale e dopo se necessario il green pass” e prima il green pass e poi se necessario l’obbligo. Nel primo caso la responsabilità è dello Stato come è corretto che sia visto che si chiama pandemia e c’è una emergenza sanitaria. Nel secondo la responsabilità è del cittadino che in teoria può decidere se fare o meno il vaccino ma in realtà non decide niente perché è obbligato alla vaccinazione attraverso il green pass.

AF: DL, lo Stato è responsabile di eventuali effetti collaterali gravi anche nel caso dei vaccini non obbligatori, ma fortemente suggeriti, che è esattamente il caso dei vaccini per la covid-19. Ci sono due sentenze della corte costituzionale a stabilirlo.

La mancata comunicazione del Governo di come ha deciso l’adozione del green pass ha fatto sì che le persone abbiano cercato di rispondere da sole ai propri dubbi. E questo ha fatto sì che si generasse sfiducia nelle istituzioni e si alimentassero ulteriori perplessità.

CA: Io sono convinta che obbligo vaccinale avrebbe scatenato anche reazioni peggiori. Nessuna misura in un contesto del genere può essere perfetta e avere approvazione universale. In democrazia è doveroso farsi carico del dissenso. Purtroppo qui è saltato tutto per ragioni diverse ma anche per responsabilità di un governo che a mio avviso ha scelto di non comunicare le ragioni di alcune decisioni e di non mettere in atto una campagna verso esitanti.

DL: Non mi è ancora chiaro se con negligenza o se per stupidità o forse per calcolo, la questione della comunicazione ufficiale è stata quella più disastrosa che ha contribuito parecchio a generare questa confusione infinita

CE: Sul discorso scarsa comunicazione non sono d’accordo. Si parla e straparla di vaccini fin troppo sui social, in Tv e giornali. Per informarsi su questioni relative alla salute si va nelle sedi opportune: il proprio medico curante. Che poi alcuni di essi siano messi peggio dei complottari della regia compagnia della cucchiara da sugo, parliamone

IR: CE, ti ricordi Conte che andava in tv e annunciava cose? Ecco, perché Draghi non è andato in tv a fare altrettanto, con poche frasi mirate ma contenenti informazioni essenziali come quelle che ci stiamo dicendo qui sopra? Io mi informo coi vari Burioni, Bucci, Viola, ecc., ma sono in minoranza rispetto alla popolazione. Serviva una comunicazione istituzionale diretta, senza fronzoli e chiara, e non c'è stata.

OS: IR per me il problema sta a monte. È dall'inizio della pandemia che il governo si è posto in chiave belligerante e militare contro il virus che, per me, con la guerra non c'entra assolutamente nulla. Il contrasto al virus è stato da subito su un piano verbalmente violento, con un conflitto aizzato da quasi ogni forma di media che prima getta alcool sul fuoco e poi se ne stupisce. Non c'è mai stato, per me, l'interesse per il bene della cittadinanza. Dalla mancata chiusura del polo bergamasco perché bisogna fatturare in avanti. Quindi anche il green pass, strutturato così com'è, potrà sì aiutare il contenimento del virus, ma nel frattempo avrà radicalizzato ed escluso persone che magari un comportamento meno da padre padrone avrebbe coinvolto e non escluso. Penso con un approccio diverso a questo punto ci sarebbe stato molto meno da controllare perché la fiducia nelle istituzioni sarebbe stata diversa.

AF: Su internet ha la voce più grossa di quella di chi dovrebbe averla per definizione: lo Stato. Non esiste una campagna informativa in atto, il tutto è demandato al personale buon senso e volontà. Quando a luglio sono stato in Portogallo, ho trovato ovunque informazioni ufficiali e univoche sul virus, su quali misure fossero necessarie, e per quale ragione lo fossero, sotto forma di manifesti ammiccanti e informazione radiotelevisiva.

Cosa si sarebbe potuto fare?

SR: Per quanto mi riguarda non amo le soluzioni burocratiche. Avrei preferito che la gente fosse andata a vaccinarsi senza necessità di questa che può essere vista come minaccia o moral suasion. Per quanto mi riguarda parto dal concetto che la vaccinazione di massa è l'unica arma per riportare le cose alla normalità. Quindi se ci sono idee migliori ben vengano. Io non le vedo, ma sono aperto ad altre soluzioni.

Oltre alla preferenza per l’obbligo vaccinale, emersa in buona parte dei commenti, come quello di SR, si è puntato l’attenzione su un maggiore coinvolgimento da parte del Governo dei cittadini attraverso una campagna di comunicazione informata e un coinvolgimento di quelle figure di prossimità, come i medici di base. Come esempio è stato fatto quello del Portogallo.

CA: Magari indagare le ragioni degli esitanti, una campagna vaccinale su territori coinvolgendo i medici di base avrebbe aiutato...

La medicina di prossimità e una comunicazione capillare avrebbe probabilmente ridotto i conflitti, portato ad ascoltare le diverse ragioni e ad accrescere l’adesione alla campagna vaccinale – è stato il ragionamento fatto in alcuni commenti.

Inoltre, c’è stato chi ha proposto il ricorso ai tamponi obbligatori come criterio per garantire la sicurezza sul posto di lavoro.

CE: Per il ritorno a lavoro avrei messo tamponi obbligatori per l’accesso ai posti di lavoro pagati dalle aziende che così non avrebbero neanche avuto la scusa di affossare il lavoro agile.

DP: Nello specifico, credo comunque che l'obbligo sul luogo di lavoro sia un controsenso senza un orizzonte di obbligo vaccinale: credo si sia deciso di usare il green pass esattamente come volano per la campagna vaccinale, una strategia che temo porti a conseguenze opposte, specialmente nelle fasce più polarizzate della popolazione. Un altro aspetto che andrebbe citato è quello dei tamponi gratuiti. Nel Regno Unito, dove mi trovo, la gestione della pandemia è stata allucinante nel complesso, ma i tamponi rapidi sono gratuiti, richiedibili in farmacia anche per chi arriva nel paese per turismo. Il messaggio non è solo di usarli per entrare in locali pubblici (dove un esito negativo viene richiesto spesso INSIEME al green pass), ma proprio un invito a testarsi periodicamente come forma di prevenzione.

Fino a quando sarà accettabile questo tipo di strumento?

Nonostante le tante criticità sollevate, in molti hanno detto di accettare il green pass fino a quando ci saranno la pandemia e lo stato d’emergenza.

LA: In linea teorica nemmeno a me l'idea del dover avere un "certificato" per poter lavorare/fare la mia vita piace, ma il GP nella pratica vuol dire "dimostrami che le possibilità che tu possa infettare qualcuno sono ridotte al minimo possibile" che nella situazione attuale mi sembra il minimo sindacale. Inoltre, per ottenere lo stesso risultato, non riesco a pensare a nessuna altra alternativa.

AL: Io sono a favore di tutte le regole, finché l'OMS non dichiarerà la fine della pandemia. Fino ad allora saremo sempre in emergenza sanitaria, inutile girarci intorno.

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LF: Lo accetto come compromesso transitorio. Non ne vorrò sapere di stabilizzazione di procedure simili, al di fuori di un'immediata emergenza o di una transizione da gestire.

DP:  il GP è senza dubbio una forma di sorveglianza (da intendersi in senso ampio, non necessariamente in senso di "controllo") burocratica, uno di quegli strumenti che sono avanzabili in circostanze emergenziali. Non credo abbia senso dirsi "a favore" del green pass, bisognerebbe orientare il discorso sulla sua "accettabilità". Il GP è per me uno strumento accettabile in emergenza e che deve necessariamente avere un orizzonte di fine che sia chiaro e non negoziabile - su questo aspetto la politica è stata molto carente. Sono le circostanze a renderlo "accettabile" (che è diverso da "giusto" o "auspicabile"). (...) Reputo assurde le posizioni entusiastiche nei confronti del GP che leggo ogni tanto sui social - "evviva mi hanno controllato il GP al bar, bravissimi!". Spero che nessuno sia felice di dover avanzare un certificato (e un documento per conferma) per entrare in un luogo pubblico. A causa della polarizzazione del discorso pubblico, anche il GP è diventato però una questione identitaria, o una medaglia da mettersi da soli. Quando in realtà dovrebbe essere comunicato come una interruzione momentanea (causa emergenza) della vita sociale per come la conosciamo, accettabile a causa delle circostanze. Poi c'è tutto il discorso sul determinismo tecnologico che è ormai egemone nel mondo liberal che accompagna qualsiasi operazione che riguardi il digitale - posizioni comunque fuori dalla realtà dal mio punto di vista.

Immagine in anteprima: Città di Parma, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

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