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Samaras, Nea Dimokratia: è in ballo la nostra esistenza come Nazione #Grecia2012

16 Giugno 2012 6 min lettura

Samaras, Nea Dimokratia: è in ballo la nostra esistenza come Nazione #Grecia2012

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Leonardo Bianchi

@valigiablu- riproduzione riservata

L’albero sotto cui il 4 aprile scorso Dimitris Christoulas si è suicidato con un colpo di pistola è a circa dieci metri dal palco blu allestito in piazza Syntagma per il comizio conclusivo di Antonis Samaras, il leader conservatore di Nea Dimokratia. Due lapidi commemorative sono appoggiate per terra, in mezzo a due grossi peluche. Sul tronco sono attaccati fogli e pezzi di carta scritti a mano. Un piccolo striscione, poco sopra un mazzo di fiori, recita in italiano: “Il gesto di Dimitris per la crisi non deve più ripetersi per il futuro. Non ti dimenticheremo MAI!” Il pensionato 77enne ha lasciato un biglietto d’addio in cui ha scritto: “Credo che i giovani senza futuro prima o poi prenderanno le armi e impiccheranno i traditori di questo Paese in Piazza Syntagma, proprio come hanno fatto gli italiani con Mussolini nel 1945”.

“E la Grecia? Non è dentro?” 

Di giovani ce ne sono davvero pochi, verso le otto di sera del 15 giugno. I militanti e gli elettori di ND sono perlopiù persone di mezza età o anziani. Emergono dalle scalinate della metro avvolti nelle loro bandiere greche, confluiscono nello stradone centrale impugnando le trombette da stadio e scendono dalla scalinata centrale di fronte al Parlamento reggendo cartelloni e vessilli (rari) del partito. Una musica vagamente epica fuoriesce a gran volume dagli altoparlanti che sovrastano la piazza, intervallata da slogan piuttosto battaglieri: “No alle migliaia di clandestini nei nostri quartieri”; “no a quelli che si identificano con i koukoulofori [“incappucciati”, termine usato da polizia e media per indicare anarchici e manifestanti violenti, nda].

Il maxischermo alla sinistra del palco rialzato trasmette in loop l’ultimo video elettorale di Nea Dimokratia, che ha suscitato diverse polemiche per il contenuto a dir poco sensazionalista. Lo spot, ambientato in una classe di una scuola elementare, inizia con il maestro che fa scrivere alla lavagna i nomi di alcuni Paesi dell’Eurozona. Una bambina prende la parola e chiede: “E la Grecia? Non è dentro?” Stacco sul volto del maestro, tra l’angoscia e la rassegnazione. La bambina lo incalza: “Perché non c’è?” Panico. Tensione. Carrellata sugli alunni. Schermo nero: “Non giochiamo con il futuro dei nostri bambini”. Segue indicazione del voto per il 17 giugno: “Andiamo avanti con responsabilità e decisione”.

Prima della manifestazione, un amico greco mi aveva detto: “Vedrai che arriveranno con i bus da tutta la Grecia, pur di fare numero”. In realtà, la partecipazione non è così massiccia come ci si aspetterebbe a un raduno del partito che ha vinto le elezioni del 6 maggio con il 18,85% dei voti e che i sondaggi danno testa a testa con Syriza. La piazza è piena, ma le strade limitrofe sono praticamente vuote – una macchia bianca e blu interrotta a tratti dal grigio dell’asfalto e dal verde degli alberi. Fiutato il vento nazionalista, i venditori ambulanti di salsicce inforcano la bandiera greca sul carrellino. Ci sono persino degli immigrati che sventolano bandiere del partito, nonostante poco tempo fa Samaras li abbia definiti “i tiranni della società”.

I tre dilemmi di Samaras

Nei primi quaranta minuti, solo due episodi sono degni di attenzione: il primo è un principio di rissa tra alcuni passanti e un gruppo di attempati conservatori, subito sedato dalla polizia. Il secondo è l’arrivo di Kostas Karamanlis – primo ministro dal 2004 al 2009 ed ex presidente di ND – accolto calorosamente con applausi ed esortazioni: “Presidente, torni con noi!”.

Alle nove di sera un boato sale dalle folla, lo speaker cadenza ritmicamente “Hellas, Hellas, Antonis Samaras” e nel centro della piazza una decina di persone stappano una serie di fumogeni rossi da stadio. Non appena il fumo si dirada, Samaras troneggia sull’oceano di bandiere greche, pronto a iniziare il suo discorso.

La storia politica di questo economista 61enne, nato in una famiglia dell’alta borghesia e laureatosi a Harvard (dove era compagno di stanza dell’ex premier socialista George Papandreou), inizia nel 1977, quando a soli 26 anni è eletto in Parlamento. Nel 1989 è nominato Ministro delle Finanze, mentre l’anno successivo ricopre l’incarico di Ministro degli Esteri nel governo di Kostantinos Mitsotakis. Due anni dopo è costretto a dimettersi, travolto dalle critiche per la sua posizione oltranzista sul riconoscimento della nuova Repubblica di Macedonia. Nel 1993 Samaras esce da Nea Dimokratia e fonda Primavera Politica. La defezione di due deputati di ND, accasatisi nel settembre del 1993 chez Samaras, fa cadere il governo di Mitsotakis. Nel 1996 Samaras non riesce a farsi rieleggere in Parlamento, e per qualche anno sparisce dalla vita politica greca. Riemerge nel 2000, sostenendo il suo ex partito nelle elezioni di quell’anno. Nel 2004 rientra ufficialmente nei ranghi del partito, torna in parlamento nel 2007 ed infine, nel 2009, sconfigge alle primarie per la presidenza di Nea Dimokratia Dora Mitsotakis-Bakoyannis, figlia del premier che Samaras aveva fatto fuori quasi vent’anni fa.

“Le elezioni di domenica non sono elezioni normali. Quello che c’è in ballo è la nostra esistenza come Nazione”. Il tono di voce è aspro, roccioso. Il presidente di ND mette subito in chiaro il significato di questo 17 giugno. “Ci troviamo di fronte a tre dilemmi”, dice Samaras. “Il primo: euro o dracma. Sappiamo che ci sono persone che ci vogliono fuori dall’euro, che ci vogliono far diventare una pecora nera. Noi non faremo loro questo favore”. Il secondo: “Memorandum o disastro”. Nel 2010 Samaras si era opposto al primo Memorandum, salvo poi votare il secondo nello scorso febbraio. Ora vuole cambiarlo. Come riportato da Athens News, il progetto è “chiedere alla Troika termini più flessibili, specialmente sull’estensione da due a quattro anni dell’orizzonte temporale necessario per realizzare gli aggiustamenti fiscali”. Terzo dilemma: “lavoro o disoccupazione”. Nel primo trimestre del 2012 il tasso di disoccupazione ha raggiunto la cifra record di 22,6%, anche se è probabile che il tasso reale si aggiri intorno al 30%. Molte aziende, infatti, non pagano da diversi mesi (alcune addirittura da due anni) gli stipendi dei dipendenti, che dunque figurano come “occupati” solo ed esclusivamente per beneficiare dell’assicurazione sanitaria.

Samaras sta sempre fermo e raramente muove le braccia, se non per sistemare gli occhiali. “Queste elezioni riguardano la Grecia intera, il futuro dei nostri figli. Questa è una battaglia dura”. In realtà la battaglia è solo ed esclusivamente contro Syriza, considerato l’unico rivale serio. Nelle scorse settimane, infatti, Samaras ha accusato il partito di Tsipras di far parte di una “lobby della dracma”, di essere dietro a tutti gli scontri di piazza dal 2008 fino a oggi, di proteggere i terroristi di “17 Novembre”, di voler lasciare la Nato e di usare gli immigrati clandestini per terrorizzare il popolo greco. Accuse ripetute in serie anche durante il comizio di ieri sera, quando “Syriza” ritornava ossessivamente ogni cinque parole.

L’altro tema ricorrente è l’immigrazione clandestina, problema che Samaras propone di risolvere con “allontanamenti di massa” e “rifiuto della naturalizzazione”. Scambio due parole sotto il palco con un fotogiornalista greco, elettore moderato di Nea Dimokratia. Non è assolutamente d’accordo con la radicalizzazione della campagna elettorale di ND sull’immigrazione: “Samaras sta cercando di sottrarre voti al LAOS [partito di estrema destra fondata nel 2000 da Georgios Karatzaferis, un fuoriuscito di ND, nda] e Alba Dorata, e per questo si mette sul loro stesso piano. Non mi piace per nulla, è una tattica pericolosa”. Ma che effettivamente potrebbe pagare. Nelle elezioni del 6 maggio, infatti, i partiti che avevano una posizione intransigente nei confronti dell’immigrazione hanno raccolto il 22,63% dei voti (Greci Indipendenti 10.61%, LAOS 2,90%, Dimiourgia Xana 2,15%, Alba Dorata 6,97%). Un bacino elettorale enorme, estremamente appetibile.

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Il memoriale di Dimitris Christoulas

“Auguro a tutti buone elezioni e la vittoria per domenica. Una vittoria per la nostra patria, i nostri figli, la vostra sicurezza e per il lavoro”. Il presidente di Nea Dimokratia esce dal pulpito dopo un’ora e mezza di comizio e saluta la folla sorridendo, con una gestualità ecumenico-burocratica. Riparte la musica epica – un rullo di simil-tamburi di guerra – e comincia il deflusso. Mi defilo lentamente per raggiungere la metro, calpestando i migliaia di volantini elettorali caduti per terra.Passo davanti al memoriale di Dimitris Christoulas. C’è agitazione. Una ragazza gira intorno all’albero e scatta una ventina di foto in successione con il cellulare. Una donna con i capelli biondi grida: “Fascisti, sono stati i fascisti di Nea Dimokratia!” I fiori sono sparsi per terra, una delle due lapidi è spezzata, i fogli sono stati strappati dal tronco dell’albero. Sul posto cominciano ad arrivare diverse persone, incredule per la profanazione. Mettono a posto i peluche e riattaccano i fogli sull’albero. “Non hanno più rispetto per niente…”, scuote la testa un uomo. In fondo all’altra lapide, quella rimasta integra, ci sono due versi rivoluzionari del grande compositore Mikis Theodorakis:


Inizio di nuove lotte / nuove battaglie / conduttori della speranza i primi morti
In questa Grecia polarizzata e confusa, nemmeno la morte riesce più a unire.

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