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Tra manganelli e pressioni politiche il giornalismo d’inchiesta in Grecia è sempre più sotto attacco

3 Agosto 2021 11 min lettura

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Tra manganelli e pressioni politiche il giornalismo d’inchiesta in Grecia è sempre più sotto attacco

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di Daniele Curci

Un giornalista ucciso ad aprile. Altri hanno subito pestaggi, intimidazioni e arresti da parte della polizia. Mentre il governo viene criticato per le limitazioni alla libertà di stampa. In Grecia fare giornalismo è sempre più difficile. Lo conferma anche Reporter Senza Frontiere (RSF) che ha declassato il paese dal sessantacinquesimo posto al settantesimo per la libertà di stampa. In Grecia esiste un problema legato “alla violenza delle forze dell’ordine sui giornalisti e in generale al comportamento della polizia, soprattutto nei riguardi di chi si occupa di migrazioni. Per i giornalisti il contesto greco è peggiorato molto, è più simile ai Balcani che all’Europa dell’Ovest”, spiega Pavol Szalai, responsabile di RSF per l’Europa e i Balcani. 

L’attuale governo di centro-destra è presieduto da Kyriakos Mitsotakis. La sua famiglia è una sorta di dinastia che ha governato la Grecia per anni. Suo padre, Konstantinos, è stato primo ministro del paese nei primi anni Novanta; la sorella, Dora Bakoyannis, è stata ministra della Cultura e dello Sport tra il 1992 e il 1993, sindaca di Atene durante le Olimpiadi del 2004, ricoprendo poi la carica di ministra degli Esteri tra il 2006 e il 2009. L’attuale premier è stato eletto nel 2019 ed è subentrato ad Alexis Tsipras, allora primo ministro e leader del partito Syriza, nel luglio dello stesso anno. 

Dal suo insediamento il governo presieduto da Mitsotakis è stato al centro di numerose critiche e scandali. A febbraio, ad esempio, Dimitris Lignadis, ex direttore del Teatro Nazionale e frequentatore della famiglia Mitsotakis, è stato arrestato con accuse di pedofilia. C’è il sospetto che il premier e la ministra della Cultura, Linda Meloni, abbiano ritardato l’avvio delle indagini per coprire l’ex direttore del Teatro Nazionale. La vicenda è emersa nel mezzo di quello che è stato definito il metoo greco, dopo che la due volte medaglia olimpica di vela Sofia Bekatorou ha accusato un membro della federazione velica di averla molestata e stuprata. Le critiche hanno inoltre riguardato alcuni progetti di legge, tra cui la creazione di un corpo di polizia per i campus universitari a febbraio 2021. La legge ha generato un’ondata di proteste, anche perché dalla fine della dittatura dei colonnelli la polizia può entrare nei campus solo se invitata dalle autorità universitarie. 

Secondo alcune fonti citate da Politico Europe e dal Guardian, dall’arrivo di Mitsotakis sarebbero aumentate le violenze da parte della polizia. Tra gli episodi con una certa risonanza c’è stato il pestaggio di un ragazzo a marzo, nel sobborgo di Atene di Nya Smyrni. Degli agenti stavano multando alcune persone perché avrebbero violato le regole imposte dalla pandemia. Due ragazzi si sarebbero avvicinati per chiedere il motivo delle multe e dopo pochi minuti alcuni poliziotti hanno iniziato a picchiare con i manganelli uno dei due giovani, colpendolo più volte alle gambe. 

Al centro di queste vicende sono spesso anche i giornalisti. Secondo Iason Athanasiadis, giornalista freelance che ha collaborato anche per BBC, Guardian e Al Jazeera, ci sarebbe “un aumento dei casi in cui i giornalisti subiscono violenze o comunque limitazioni nello svolgimento del loro lavoro. Questo è culminato all’inizio dell’anno con il progetto di legge che avrebbe voluto limitare i movimenti dei giornalisti durante le manifestazioni”. Il provvedimento cui Athanasiadis fa riferimento è stato presentato dal ministro per la Protezione dei cittadini, Michalis Chrisochoidis, che l’ha definito una forma di protezione per i reporter. Le linee guida erano state redatte senza consultare i rappresentanti dei media e prevedevano che durante le manifestazioni i giornalisti dovessero sostare in una zona delimitata, ricevendo alcune informazioni da un ufficiale di collegamento. Le condanne dei giornalisti e di alcune associazioni hanno portato il governo a una parziale marcia indietro. In un incontro successivo il ministro ha infatti assicurato che il provvedimento sarebbe stato provvisorio e attivabile solo su richiesta della polizia.

Nonostante la legge non sia in vigore, le forze di sicurezza cercherebbero comunque di limitare i movimenti dei giornalisti durante le manifestazioni, talvolta anche ricorrendo alla violenza. Al riguardo Tony Rigopoulos, giornalista del quotidiano a diffusione nazionale di sinistra Documento, racconta a Valigia Blu di aver visto la polizia cercare di intimidire e limitare l’attività dei giornalisti durante le manifestazioni. Una fonte interna a ERT, l’emittente nazionale greca, che ha chiesto l’anonimato, sostiene che “la libertà di parola è minacciata in Grecia, anche se non abbiamo le restrizioni [della legge] mentre lavoriamo per strada, ci sono comunque arresti e cariche [della polizia]. Ho visto alcuni colleghi che durante le manifestazioni sono stati picchiati o hanno subito violenze verbali da parte della polizia. Le forze di sicurezza non sono molto gentili con i giornalisti durante le manifestazioni”.

Perlomeno due episodi confermerebbero quanto sostenuto dalla fonte. Il 10 febbraio, di fronte all’edificio principale del Parlamento greco ad Atene, un gruppo di agenti antisommossa ha aggredito il fotoreporter Yannis Liakos, gettandolo a terra e prendendolo a calci. Liakos stava coprendo le proteste degli studenti e dei sindacati degli insegnanti contro la legge che stabilisce la creazione della forza di polizia per i campus universitari. Alla fine dello stesso mese la polizia antisommossa ha attaccato un gruppo di giornalisti che stava seguendo un corteo di solidarietà per lo sciopero della fame dell’ex terrorista Dimitris Koufontinas. Sette di loro sono rimasti feriti.

Le violenze nei confronti dei giornalisti non sarebbero però cominciate quest’anno. Come racconta ancora Tony Rigopoulos: “A novembre 2020 stavo seguendo una dimostrazione per l’anniversario del [17 novembre] 1973, che avviene legalmente ogni anno per commemorare la rivolta degli studenti di Atene contro il regime dei colonnelli. A un certo punto la polizia ha iniziato a disperdere i manifestanti usando anche dei cannoni ad acqua. Io stavo coprendo alcuni arresti quando un poliziotto è venuto verso di me urlandomi di smettere di filmare. Quando è arrivato ha gettato violentemente la mia camera per terra, dicendomi che sarei stato multato perché portavo una maschera antigas. Gli ho dato il tesserino per fargli vedere che sono un giornalista, ma lui si è rifiutato di guardarlo e mi ha portato alla stazione di polizia. Lì mi ha costretto, con violenza, a sedermi su una sedia urlando con rabbia di fronte al mio viso cose sgradevoli”. 

Il 15 luglio 2020 gli agenti dell’antisommossa avrebbe spintonato con gli scudi tre fotoreporter che stavano coprendo una dimostrazione antifascista ad Atene. Secondo l’Associazione Ellenica dei Fotogiornalisti (EFE) i poliziotti avrebbero cercato di ostacolare il lavoro dei reporter. 

Il 9 agosto i giornalisti turco-curdi Çağdaş Kaplan e Bercem Mordeniz sono stati arrestati, picchiati e trattenuti per circa 8 ore dalla polizia dopo che stavano documentando l’arresto di un giovane a piazza Syntagma, la piazza di Atene in cui ha sede il parlamento, simbolo delle proteste contro le misure imposte dall’Europa nel 2015. 

Le limitazioni sembrano estendersi anche alle isole in cui si trovano i campi profughi, dove il governo cercherebbe di restringere l’accesso dei giornalisti almeno dall’incendio che il 9 settembre 2020 ha devastato il campo di Moria. “Noi giornalisti possiamo stare al di fuori dei campi, ma entrare è difficile. Ottenere il permesso dipende da molti fattori: la struttura del campo, il tuo nome, per chi lavori. Ma generalmente è difficile”, sostiene sempre la fonte anonima dell’emittente nazionale consultata da Valigia Blu. Secondo Pavol Szalai, di RSF, le limitazioni sperimentate da diversi giornalisti sono da collegare al tentativo del governo di limitare la consapevolezza di quel che accade all’interno dei campi. Anche il giornalista freelance Iason Athanasiadis parla di difficoltà crescenti per ottenere i permessi, ma aggiunge anche che “è difficile anche per le persone che sono dentro poter uscire. Generalmente viene loro concesso un solo permesso durante la settimana”. 

A settembre 2020, Athanasiadis è rimasto vittima delle violenze da parte delle forze dell’ordine mentre tentava di documentare l’arresto di alcune persone sull’isola di Lesbo, come testimonia un video. “Mi hanno portato alla stazione di polizia dove hanno tentato di intimidirmi. Mi hanno rilasciato solo dopo che gli ho detto che esisteva un video dell’accaduto. Sono stato fortunato perché accadono molti episodi violenti, ma non ci sono video che li provino”, racconta il giornalista freelance. 

Nel 2020, inoltre, i vertici di ERT, l’emittente nazionale greca, avrebbero cercato di limitare la diffusione di notizie relative alle proteste contro i migranti e agli scontri tra gli abitanti di Lesbo e la polizia. Secondo Reporter Senza Frontiere a un giornalista sarebbe stato chiesto di rimuovere un approfondimento, mentre altri avrebbero testimoniato che, nonostante l’autonomia di cui godevano in precedenza, prima di poter fare servizi sull’isola avrebbero dovuto ricevere l’autorizzazione da parte dei vertici. Non è la prima volta che episodi simili accadono a ERT. A febbraio, mentre la Grecia era in lockdown, è diventato virale un video che mostra il primo ministro Mitsotakis partecipare a un pranzo con diversi invitati nell’isola di Ikaria. Alcuni giornalisti di ERT hanno affermato di aver ricevuto la richiesta di non coprire la storia. Non si tratterebbe, comunque, dell’unico caso in cui una notizia riguardante il governo non viene coperta o è trattata in maniera parziale. A marzo, ad esempio, un veicolo della scorta di Dora Bakoyannis è rimasto coinvolto in un incidente in cui è rimasto ucciso un motociclista di 23 anni. Se non fosse stato per un video rilanciato sui social media probabilmente la vicenda sarebbe stata insabbiata. Il video, oltre a dimostrare la responsabilità dell’autista della scorta, mostra anche alcuni agenti della polizia stradale minacciare di assegnare una multa a un altro motociclista che avrebbe assistito alla scena, intimandogli di andarsene. ERT, come altri media filo governativi, ha dato poco spazio alla vicenda. “Il panorama dei media in Grecia è molto povero. Tutti dicono quasi le stesse cose e sono per la maggior parte allineati alle posizioni del governo. L’emittente censura le notizie che potrebbero danneggiare il governo”, spiega la fonte interna. Per rafforzare questo controllo il governo avrebbe tentato di far approvare una legge nel 2019 per porre sotto la diretta supervisione del primo ministro l’emittente nazionale, ma la Corte Suprema greca ha giudicato incostituzionale il provvedimento nell’ottobre 2020. 

E dalle pressioni e dalle violenze della polizia non sono esentati anche i quotidiani di opposizione Efimerida ton Sintakton e Documento. A marzo i due giornali hanno pubblicato la storia di Aris Papazacharoudakis, militante del collettivo anarchico Masowka di Nea Smyrni, un sobborgo di Atene. Arrestato in maniera arbitraria nei pressi del collettivo, Papazacharoudakis è stato condotto nel dipartimento di polizia dove è stato picchiato e minacciato più volte da alcuni agenti che gli hanno inoltre impedito ogni forma di comunicazione con la famiglia e il proprio avvocato. Dopo la pubblicazione della storia i ventidue agenti coinvolti negli abusi hanno inviato una lettera di smentita ai due giornali. Documento, come previsto dalla legge, ha pubblicato il testo della lettera, compresi i nomi dei ventidue poliziotti firmatari. Gli agenti hanno quindi presentato denuncia perché la pubblicazione dei nomi avrebbe violato il diritto alla privacy. Pertanto il 20 marzo è stato emesso un mandato di arresto nei confronti del direttore di Documento Kostas Vaxevanis – il mandato non è stato eseguito, ma la denuncia è ancora in corso. 

Forme di pressione da parte del governo sono state esercitate anche attraverso l’uso di denaro pubblico. Durante il lockdown del 2020 il governo ha stanziato circa 20 milioni per una campagna di sensibilizzazione sui media sull’importanza di rimanere a casa evitando i contatti. Per aggirare l’obbligo di dover rendere pubbliche tutte le transazioni condotte dallo Stato, la distribuzione dei fondi è stata esternalizzata a un privato. In seguito alle proteste dei partiti di opposizione il governo ha pubblicato i nomi di chi aveva ricevuto i finanziamenti, senza però specificare le somme. Tra i nominativi figuravano anche siti web di notizie inesistenti. La notizia ha suscitato diverse critiche, pertanto all’inizio di luglio 2020 il governo ha rilasciato la “Lista Petsas” - dal nome del portavoce del governo Stelios Petsas – includendo questa volta anche le cifre stanziate. La lista ha confermato i sospetti di molti, cioè che a beneficiare dei fondi erano principalmente i media vicini al governo, anche perché “non esistevano criteri precisi, o perlomeno non sono stati resi pubblici, in base ai quali questi soldi erano assegnati se non il supporto che i media davano al governo”, sostiene la fonte interna dell’emittente nazionale sentita da Valigia Blu che ha chiesto l’anonimato. Una testimonianza confermata anche dal giornalista del quotidiano Documento Rigopolous, secondo cui Documento non avrebbe ricevuto un centesimo. “L’obiettivo era quello di colpire un giornale di sinistra non allineato con il governo”, afferma Rigopolous aggiungendo che il quotidiano sarebbe “sotto attacco” perché già nel 2019, dopo l’insediamento di Mitsotakis “chi pubblicava la pubblicità su Documento ha smesso di farlo a causa delle pressioni governative”. 

Tra le persone coinvolte nello scandalo della lista Petsas c'è anche Menios Fourthiotis, presentatore di una televisione locale, che avrebbe beneficiato dei finanziamenti. Su di lui stavano indagando il direttore di Documento, Vaxevanis, e Giorgos Karaivaz, il giornalista assassinato lo scorso aprile. Karaivaz aveva pubblicato un’inchiesta che rivelava come al conduttore televisivo fosse stata assegnata inspiegabilmente una scorta di polizia. Vaxevanis – denunciato per violazione della privacy nel 2012, dopo aver pubblicato una presunta lista di evasori fiscali tra cui figurava anche l’allora direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde e autore di diversi articoli su presunti trattamenti preferenziali da parte delle banche a favore del primo ministro Mitsotakis – ha accusato Fourthiotis di usare delle credenziali giornalistiche false. Ad aprile, in una lettera ha denunciato di essere al centro di un complotto ordito dal conduttore televisivo, di cui sarebbe venuto al corrente grazie a una fonte anonima presentatasi nella redazione di Documento. A fine aprile, Vaxevanis è stato messo sotto scorta e Fourthiotis è stato arrestato con varie accuse, tra cui quelle mosse nella denuncia del direttore di Documento

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Giorgos Karaivaz è il secondo giornalista ucciso in Grecia in dieci anni. Il primo caso risale al 2010, quando il direttore di Thema Radio e collaboratore del sito di notizie Troktiko Sokratis Giolias venne ucciso fuori dal suo appartamento ad Atene con sedici colpi sparati da una 9 millimetri. L’identità degli assassini è ancora ignota. A luglio 2020 Stefanos Chios, giornalista ed editore del tabloid Makeleio, è sopravvissuto dopo che dei killer non identificati gli hanno sparato al petto e al collo. Chios è un personaggio controverso in Grecia, accusato di diffondere fake news e di avere posizioni razziste, omofobe e antisemite. 

Sia Giolias che Karaivaz erano conosciuti per le loro inchieste che hanno svelato casi di corruzione e di abuso di potere. Nel caso di Karaivaz le inchieste si estendevano anche al mondo della criminalità organizzata. Secondo il ministro della protezione civileLefteris Economou,  proprio la criminalità organizzata sarebbe dietro l’uccisione di Karaivaz. Per Tony Rigopoulos, “i giornalisti sono stati colpiti perché stavano facendo il loro lavoro. È un assalto alla libertà di stampa. Mitsotakis ha impiegato oltre 24 ore prima di pubblicare un tweet su Karaivaz. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, lo ha fatto subito e a differenza del primo ministro ha sottolineato che l’uccisione rappresenta una minaccia alla libertà del giornalismo”. 

Immagine in anteprima: Engin_Akyurt via pixabay.com

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