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GPA reato universale, ma non per il diritto UE. Tutti i motivi di contrasto con i principi e le norme dell’Unione

4 Marzo 2025 7 min lettura

GPA reato universale, ma non per il diritto UE. Tutti i motivi di contrasto con i principi e le norme dell’Unione

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Sin dai lavori preparatori, avevamo rilevato una serie di criticità in punto di diritto in merito alla legge che qualifica la surrogazione di maternità come reato universale, sanzionandola anche se commessa all’estero da cittadini italiani (legge n. 169/2024). Tali criticità erano state confermate da diversi giuristi nel corso delle audizioni in Parlamento, e ne avevamo dato puntualmente conto.

Ora che la legge è in vigore da diversi mesi, nuovi dubbi si affacciano sulla compatibilità della stessa con il diritto dell’Unione Europea. Si tratta di dubbi che i cittadini potrebbero portare all’attenzione delle istituzioni europee, con gli strumenti loro consentiti (petizione al Parlamento europeo; denuncia alla Commissione Ue di una violazione del diritto dell'Unione europea da parte di un'autorità nazionale), affinché sia valutata la conformità della normativa interna con quella dell’UE; o che i tribunali nazionali potrebbero sollevare dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea in sede pregiudiziale, per stabilire se la normativa nazionale sia compatibile con il diritto dell’Unione.

Il divieto di surrogazione di maternità

L’articolo 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, dispone che «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti, embrioni o la surrogazione di maternità, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600.000 a un milione di euro». Lo scorso novembre, la legge che ha configurato la gestazione per altri (GPA) come reato universale ha aggiunto un paragrafo: «Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all'estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana».

Avevamo spiegato che, nel nostro ordinamento, la punibilità di azioni compiute al di fuori del territorio nazionale è possibile soltanto in casi specifici, sostanzialmente riconducibili a un comune denominatore: la tutela di interessi di riconosciuto valore universale. Ma la GPA non può essere considerata una condotta universalmente condannata per il suo disvalore. Alcuni Paesi nel mondo ammettono il ricorso a tale pratica anche per fini commerciali, altri la consentono solo a fini solidaristici e a certe condizioni, nessuno sanziona il cosiddetto turismo procreativo, pur essendo palese che esso costituisca uno strumento di elusione delle normative nazionali che vietano la GPA. La surrogazione di maternità non è inclusa in trattati o convenzioni che contemplano crimini a livello internazionale - ad esempio, lo Statuto di Roma, che prevede tra gli altri i crimini contro l’umanità - né può essere ad essi assimilata. Inoltre, la Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla vendita e lo sfruttamento sessuale dei bambini ha invitato a regolamentare la GPA, e non solo nella forma cosiddetta altruistica.

La surrogazione di maternità e l’Unione Europea

Nemmeno nell’ambito dell’Unione europea la surrogazione di maternità è considerata una condotta genericamente connotata da disvalore. Ciò risulta evidente non solo dalla circostanza che la GPA è consentita in alcuni Paesi europei, come Belgio, Grecia, Portogallo, ma anche da una serie di indicatori normativi. A quest’ultimo riguardo, nella proposta di regolamento della Commissione europea in tema di reciproco riconoscimento della filiazione all’interno dell’Ue, esso non è escluso in caso di ricorso alla GPA, evidentemente perché quest’ultima non contrasta nella sostanza con i diritti fondamentali applicabili nel quadro dell’Unione. Inoltre, la revisione della Direttiva anti-tratta 2011/36/Ue, entrata in vigore nel luglio scorso, tra le forme di sfruttamento prevede solo la surrogazione di maternità “forzata”, in quanto lesiva dei diritti umani, e non invece quella “solidale”, che quindi non è ritenuta costituire una minaccia per un bene fondamentale.

Stabilito questo, si pone il problema di verificare se la normativa italiana che vieta la surrogazione di maternità effettuata all’estero, quindi anche nei Paesi dell’Unione Europea ove essa è regolamentata, sia conforme a principi sanciti a livello europeo o determini una restrizione a libertà fondamentali nell’Ue.

La libera circolazione nel mercato unico

Il divieto di GPA anche in Stati europei ove essa è legittimamente praticata va considerato, innanzitutto, in relazione alla libertà di circolazione in Unione europea. Tale divieto è stato motivato dal legislatore nazionale con la garanzia dell’ordine pubblico, inteso in particolare come tutela della dignità della donna. 

Premesso che non si vede come l’ordine pubblico di uno Stato membro possa essere scalfito dal riconoscimento della filiazione stabilita lecitamente in un altro Stato membro, non basta che un paese dell’Unione richiami la tutela dell’ordine pubblico a fondamento di una propria normativa per poter limitare libertà sancite a livello Ue. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che «la nozione di “ordine pubblico”, in quanto giustificazione di una deroga a una libertà fondamentale, dev’essere intesa in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione». Ciò significa che il concetto di ordine pubblico, pur identificando un nucleo di valori scelti discrezionalmente dal legislatore nazionale, non può non tenere conto di libertà e diritti posti a base dell’Unione. Tali libertà e diritti, afferma la Corte Ue possono essere limitati solo in presenza di «una minaccia reale e sufficientemente grave che colpisce un interesse fondamentale della società». Ma, da un lato, l’Unione europea non ritiene che la GPA costituisca una tale minaccia, come detto; dall’altro lato, anche in caso di minaccia, il valore protetto dalla normativa interna dev’essere comunque bilanciato con i valori della stessa Unione.

La perseguibilità della GPA effettuata all’estero da cittadini italiani va valutata con riferimento al principio di libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone nel mercato unico dell’Unione europea, spazio senza frontiere interne (art. 26 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea – TFUE). La libertà di circolazione rappresenta uno dei principi fondamentali dell’Ue, per cui sua limitazione dev’essere necessaria e proporzionata, cioè la meno restrittiva possibile fra le opzioni a disposizione. In base a tale libertà, ad esempio, ogni cittadino europeo può intraprendere attività economiche che includano la prestazione di servizi, così come può spostarsi per fruire di servizi legittimamente resi in altri Paesi. 

Invece, la legge italiana che dispone la sanzionabilità di chiunque, «in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza» la surrogazione di maternità, comprime tale libertà senza alcun bilanciamento. Da un lato, al cittadino italiano è vietato fornire servizi connessi alla GPA anche in Stati membri ove tale pratica sia legittima e regolamentata, precludendo così la mobilità aziendale e professionale all'interno dell'Ue; dall’altro lato, alle coppie cui sia vietato ricorrere alla GPA in Italia, è impedita anche la possibilità di recarsi in Stati europei ove essa è legittimamente praticata e poi fare liberamente rientro in patria, perché rischiano un’incriminazione; infine, il mancato riconoscimento in Italia del legame familiare tra il minore e il genitore di intenzione, che invece sia stato riconosciuto nel paese ove è avvenuta la GPA preclude la libera circolazione sul territorio Ue dello stesso minore con entrambi i genitori.

Il diritto alla vita familiare e il divieto di discriminazione

La normativa italiana in tema di GPA va valutata anche con riguardo al diritto alla vita familiare e al divieto di discriminazione. Il mancato riconoscimento in Italia del legame familiare tra il minore e il genitore di intenzione, legame che invece sia stato riconosciuto nel paese ove è avvenuta la GPA, non solo preclude la loro libera circolazione nel territorio Ue, come detto, ma lede anche, e conseguentemente, il diritto alla vita familiare (art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – CDFUE; art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo - Cedu) e il preminente interesse del bambino (art. 24 CDFUE). Al riguardo, giova richiamare quanto affermato dalla Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, nel discorso sullo stato dell’Unione del settembre 2020, dove si era espressa chiedendo il «mutuo riconoscimento delle relazioni familiari» all’interno dell’Unione Europea: «se sei genitore in un paese, sei genitore in ogni paese».

Peraltro, la procedura prevista dalla legge italiana per il riconoscimento del figlio da parte del genitore intenzionale - l’adozione in casi speciali – non protegge in maniera celere e adeguata i diritti di del minore, come i trattati citati imporrebbero e come la Corte costituzionale ha rilevato con la sentenza n. 33 del 2021, invitando il legislatore a porre rimedio all'attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore.

La perseguibilitàdi chi ricorra alla surrogazione di maternità in altri paesi ove essa è consentita, inoltre, solleva dubbi in termini di divieto di discriminazione (art. 14 Cedu; art. 21 CDFUE). Una coppia dello stesso sesso, specie se di uomini, sarebbe più esposta a rischi rispetto a una coppia etero, al momento della richiesta all’ufficiale di stato civile di trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato all’estero da surrogazione di maternità, con una palese penalizzazione delle famiglie arcobaleno. Dall’altro lato, qualora il ricorso alla GPA in un altro paese avvenisse da una coppia composta da un cittadino italiano e da uno straniero, solo il primo sarebbe perseguibile, con una differenziazione di trattamento in base alla nazionalità.

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La doppia incriminazione

Infine, la previsione della GPA come reato universale va valutata in termini di perseguibilità nell’Unione europea. Essa appare difficile in mancanza del requisito della doppia incriminazione, secondo cui un reato può essere punito in Italia anche se commesso in un altro paese solo quando costituisca reato pure in quest’ultimo. Alcune normative Ue consentono agli Stati membri, in taluni casi, di esercitare la giurisdizione anche se il fatto è stato commesso all’estero da un loro cittadino (ad esempio, la direttiva 2011/36/UE sulla tratta di esseri umani e la protezione delle vittime), ma non in caso di maternità surrogata. Quest’ultima, inoltre, non rientra tra i gravi reati per i quali la normativa Ue, a seguito di mandato di arresto internazionale, prevede un obbligo di cooperazione automatica. Di conseguenza, il paese in cui si trovino i genitori intenzionali italiani interessati dall’eventuale mandato d’arresto emesso dall’Italia può rifiutarsi di darvi esecuzione, se la GPA non costituisce un reato nel proprio territorio. Ciò tanto più perché gli Stati membri sono vincolati al rispetto dei diritti fondamentali protetti dall’Unione, diritti che la normativa italiana rischia di ledere.

Un’ultima considerazione. La “sovranità punitiva” dell’Italia su altri paesi dell’Unione europea rappresenta un atto di prevaricazione. Un consesso di paesi fondato sul contemperamento tra i valori fondanti dello Stato e libertà fondamentali dell’Unione non dovrebbe tollerarlo.

Immagine in anteprima: frame video Euronews via YouTube

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