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Il governo del “andremo a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo” ha offerto un volo di Stato a un torturatore ricercato dalla Corte Penale Internazionale

6 Febbraio 2025 6 min lettura

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Il governo del “andremo a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo” ha offerto un volo di Stato a un torturatore ricercato dalla Corte Penale Internazionale

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La liberazione di Nijeem Osama Almasri, capo della polizia giudiziaria libica ricercato dalla Corte Penale Internazionale, ha visto il nostro governo riaccompagnare in patria un aguzzino e un torturatore, con tanto di volo di Stato. Prima il governo ha sostenuto di non essere stato informato dell’arresto. Poi il ministro Matteo Piantedosi è andato in Parlamento a riferire che Almasri è stato espulso perché “pericoloso”, versione ribadita anche mercoledì scorso. Stranamente però, i suoi profili social non hanno festeggiato l’espulsione di una così terribile minaccia, come capita invece nella nuova prassi comunicativa del ministero.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ha invece catechizzato l’opposizione per non aver “letto le carte”, ha sfoderato un latinorum manzoniano, ha spiegato che il documento della CPI in origine era arrivato in inglese, ha menzionato “errori gravi” nella prima versione del mandato di arresto internazionale (quella del 20 gennaio), dove sarebbe stata sbagliata la data che indicava il periodo in cui Almasri avrebbe commesso i reati. Per cui dobbiamo credere che un paese del G7 non ha nei suoi ministeri persone competenti in grado di capire l’inglese, e che al tempo stesso quelle stesse persone sono in grado di giudicare dall’alto verso il basso l’operato della Corte Penale Internazionale fino a invalidarne gli atti ufficiali, arrogandosi un’autorità senza precedenti. 

Oppure, come detto dal giornalista Stefano Feltri nella puntata di Revolution del 5 febbraio, possiamo limitarci a constatare l’ovvia oscenità. Nordio ha mentito al Parlamento, bugie “stratificate” su altre precedenti, dove i tecnicismi servono a occultare le responsabilità e, soprattutto, a distrarre dalle zone più opache dove evidentemente non si vuole che qualcuno ficchi troppo il naso. Il ministero, infatti, come fa notare sempre Feltri, non ha mai risposto alla Corte d’Appello di Roma che chiedeva di validare il fermo. Mentre la stessa Corte Penale Internazionale ha parlato di rilascio “senza preavviso o consultazione”. 

Mancano quindi gli atti formali che traducono la sicumera arrogante sfoggiata da Nordio di fronte al Parlamento. Manca anche la coerenza logica con quanto era stato sostenuto nei giorni e nelle settimane precedenti, a partire dallo stesso Piantedosi. Mancano le basi degli accordi che l’Italia ha con la Corte Penale Internazionale, in base allo Statuto di Roma. Come ricorda Vitalba Azzollini su Domani, infatti:

La legge del 1999 stabilisce che lo Stato, quando riceve dalla CPI un mandato di arresto, prende «immediatamente» provvedimenti per procedere all’arresto stesso. E la legge del 2012 dispone che «il ministro della Giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi».

Ma, soprattutto, lo Statuto di Roma prevede che ogni Stato parte ha il dovere di cooperare «pienamente» con la CPI («cooperate fully», articolo 86), e non di valutare se farlo, e se farlo in tutto o in parte.

A differenza dei casi di estradizione, Nordio non aveva un potere di «delibazione politica», come ha detto nell’informativa, nel dare corso o meno al mandato di arresto. Si doveva, invece, limitare alla consegna del ricercato, ai sensi delle normative citate.

Logica e decenza richiedevano il rispetto dello Statuto di Roma e quindi l’osservanza del mandato di arresto internazionale. Pacta servanda sunt, per gli amanti del latino. Ma logica e decenza sono due tratti poco condivisi nella cultura politica del nostro paese, che l’attuale governo da questo punto di vista incarna benissimo. Cambiano le versioni date di giorno in giorno, cambia il tono, rimane lo scandalo di un governo che, di fatto, ha scelto di accompagnare per mano un ricercato internazionale. Lo stesso governo che prometteva di dare la caccia agli “scafisti” per tutto il “globo terracqueo”, intestandosi la lotta ai baobab o ai capri espiatori di turno di fronte alla complessità e alla tragicità della tratta di esseri umani, delle migrazioni di massa o dei profughi. Ora sappiamo che per i capi torturatori c’è il volo di Stato per fuggire in patria.

Ma sappiamo anche i motivi per il rimpatrio di Almasri, l’italiano schietto dietro il latinorum, l’arroganza, le bugie e le contraddizioni. Lo ha detto Riccardo Formigli: Almasri è stato rimpatriato perché “serve all’Italia”. Serve agli accordi scellerati tra Italia e Libia che vanno avanti almeno dal governo Gentiloni: non è un caso che proprio in questi giorni l’ex ministro Marco Minniti abbia difeso l’operato del governo. Parte del mondo dell’informazione, dell’attivismo e della politica ha sempre denunciato la natura di questi accordi e il suo costo in termini di vite umane e perdita di civiltà, opponendosi con i mezzi a disposizione. Come Valigia Blu non abbiamo mai fatto sconti a nessun governo su questo tema, proprio perché avevamo ben presente cosa accade e cosa accade nei lager libici, cosa nascondono le retoriche e i castelli di menzogne impostati sullo “Stop invasione” e sul finto buon senso del “non possiamo accoglierli tutti”. 

A suo modo anche Bruno Vespa conferma quanto detto da Formigli. La differenza è che lo rivendica come una forma di realismo, di maturità politica e intelligenza. “In ogni Stato si fanno delle cose sporchissime, anche trattando con i torturatori, per la sicurezza nazionale”. Dando così l’ennesima prova di cosa sia per lui giornalismo: stendere tappeti sulla polvere dei potenti di turno, o magnificare la polvere quando, come nel caso della liberazione di Almasri, è impossibile nasconderla. Tutto purché quella polvere non venga interrogata dai giudici della Corte Penale Internazionale, dando quindi dettagli, circostanze e complicità.

Ora l’Italia, per la seconda volta in poche settimane, grazie al governo Meloni alimenta un conflitto con la Corte Penale Internazionale, che proprio sull'operato del governo nel caso Almasri ha aperto un fascicolo per possibile "ostacolo all'amministrazione della giustizia ai sensi dell'articolo 70 dello Statuto di Roma". In ciò vediamo e di conseguenza denunciamo una pericolosa coerenza. Dalla Libia ci siamo nel frattempo allargati, esternalizzando la disumanità grazie ad accordi con paesi disposti a fare il lavoro sporco per noi. Tunisia, e ovviamente Albania. Poiché questi accordi non reggono al vaglio delle regole che il nostro stesso paese si è dato, quando aveva un’idea di umanità più alta e nobile, e chi è chiamato ad applicarle si limita semplicemente a registrare tale divario, il governo ha imparato a reagire in due modi: sottrarsi alle proprie responsabilità politiche e fare guerra ai magistrati, creando un conflitto tra poteri dello Stato che è la negazione di ogni bilanciamento. 

Lo abbiamo visto con il discorso di Meloni sull’avviso di garanzia. Quando non si trovano le “toghe rosse” contro cui imbastire campagne di delegittimazione, bisogna inventarsele, e così l’ex missino Lo Voi diventa “ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi conosciuto per avere difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi”. Un copione possibile perché parte del mondo dell’informazione a coadiuvare la propaganda di governo, per cui ora arriverà (è già arrivata) la fase dell’irrinunciabile complotto contro il governo, e quindi, secondo logica nazionalista, contro l’Italia. L’alternativa, del resto, sarebbe ammettere che la politica dei “porti chiusi” è una favola nera che non produce alcun beneficio, ma solo complicità in orrori che non si ha nemmeno il coraggio di nominare. Le deportazioni in Albania, per il ministro degli Esteri Tajani, alla fine sono soggiorni paragonabili ad hotel a 3 stelle

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Perciò, oltre alla verità, rimangono fuori da questa idea di nazione le vittime degli aguzzini libici e le persone che hanno offerto assistenza, ascolto e rappresentanza a loro e ai loro familiari. Resta fuori chi, nonostante tutto, ricorda con il proprio operato che lo Stato di diritto non è un beneficio concesso dall’alto, ma una promessa da mantenere e far rispettare. Apparteniamo a questo gruppo con orgoglio e realismo: sappiamo perciò che il caso Almasri non produrrà dimissioni di ministri incompetenti e corresponsabili di aver aperto le gabbie per i mostri che il nostro paese ha contribuito a creare. E, nel saperlo, rivendichiamo il diritto di non essere complici.

(Immagine anteprima via YouTube)

 

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