Dalla GKN di Firenze alla Caterpillar di Jesi lavoratori in lotta ‘senza tregua’
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Jesi e Campi Bisenzio, la prima nella valle bassa del fiume Esino, in provincia di Ancona, e la seconda situata nell’area metropolitana di Firenze, sono città per certi aspetti simili. Contano tra 40 e i 45 mila abitanti e distano entrambe una trentina di km dai rispettivi capoluoghi di regione. Tutte e due, poi, si iscrivono in un tessuto territoriale da metropoli diffusa, caratterizzato da una grande coesione tra le realtà cittadine. Queste e altre analogie sono emerse nel corso dell’assemblea durante il presidio del 5 febbraio davanti ai cancelli della Caterpillar in via Roncaglia, a Jesi, da venticinque anni produttrice di cilindri dinamici per le macchine movimento terra, ma che un tempo si chiamava SIMA e riforniva la FIAT. Proprio come la sede della GKN Driveline, a Campi Bisenzio.
Quanto accaduto nell’azienda toscana è oramai noto. Il 9 luglio scorso, il fondo di investimenti britannico Melrose ha annunciato il licenziamento di tutti i 422 lavoratori, 500 compresi i precari, con una mail e senza un confronto preventivo con i sindacati. Una decisione motivata da logiche finanziarie, del tutto slegate dallo stato dello stabilimento fiorentino, all’avanguardia nella produzione di componenti per auto e semiassi. E, come nel caso della Caterpillar, affatto giustificata da un calo di produzione. “Qui si è lavorato pure durante la pandemia”, raccontano al collettivo di fabbrica GKN gli operai jesini, per spiegare lo stato eccellente del sito produttivo marchigiano. A dicembre, scrive Mario Di Vito, che ha coperto la vicenda per Il Manifesto, “nella relazione semestrale discussa in Confindustria la dirigenza si era vantata dei propri alti livelli di produttività e del fatto di aver dovuto addirittura ricorrere agli straordinari”.
Ma ciò non ha impedito che il 10 dicembre scorso, nel giorno in cui le RSU si aspettavano la stabilizzazione di alcuni interinali, il nuovo direttore di stabilimento della Caterpillar di Jesi, Jean Mathieu Chatain, comunicasse il licenziamento di tutti i dipendenti, 169 lavoratori a tempo indeterminato e 67 interinali. Munito di megafono si è poi avvicinato al centinaio di operai che, scossi da quanto appreso, avevano deciso di bloccare la produzione e uscire dalla fabbrica. Dopo aver spiegato le “ragioni di mercato” dietro alla scelta della multinazionale, Chatain è fuggito in macchina inseguito dagli insulti e dal lancio di oggetti degli operai, scortato da guardie personali.
In risposta a tali ragioni - pare che spostare la produzione implicherebbe un risparmio fino al 25% del costo finale – i lavoratori hanno istituito sin da subito un presidio permanente, a celebrare il passato di una fabbrica operativa dagli anni Venti e teatro di gloriose lotte operaie che hanno visto la mobilitazione congiunta di operai, forze sindacali e cittadinanza. Il primo passo per reagire a questo nuovo e inatteso momento critico è stato, quindi, coinvolgere il più possibile la comunità. Il giorno seguente, centinaia di persone sono scese in piazza e poi ci sono ritornate, questa volta oltre duemila, il 23 dicembre. Natale e Capodanno passati davanti ai cancelli di fabbrica. “L’unica soluzione è ritirare la procedura di mobilità”, ripeteva a chi lo intervistava Diego Capomagi, Rsu FIOM.
Ma la Caterpillar ha sin da subito fatto muro. Le difficoltà di aprire una trattativa vera con la dirigenza sono state motivate anche dal fatto che la multinazionale non avesse ricevuto iniezioni di soldi pubblici – a differenza, ad esempio, della stessa GKN e della multinazionale di Fabriano leader di cappe da cucina Elica spa, che dopo mesi di trattative si è dichiarata disponibile a sospendere il piano di delocalizzazione in Polonia e il consequenziale licenziamento di 400 persone. Al tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) del 21 gennaio, la Caterpillar ha negato la richiesta di proroga del termine ultimo del 23 febbraio dopo il quale procederà con i licenziamenti e ha proposto quello che i presenti – lo stesso Ministero, il presidente della regione Marche Francesco Acquaroli, l’assessore Stefano Aguzzi e i sindacati – hanno definito un “accordicchio”: la disponibilità a 12 mesi di ammortizzatori sociali, al termine dei quali resterebbe la possibilità di licenziare chi non verrebbe assunto da eventuali acquirenti.
E ora si cerca un privato interessato all’intero sito produttivo. Il primo, la lombarda Duplomatic Motion, ha fatto visita allo stabilimento di via Roncaglia qualche giorno prima che la vertenza arrivasse al MISE. «Ma non è stato ancora presentato alcun piano industriale», spiega a Valigia Blu Davide Fiordelmondo, da 25 anni in Caterpillar e delegato Rsu Fiom-Cgil. Il collettivo di fabbrica attende che quanto prima il Ministero riveli i nomi di altri due possibili acquirenti, entrambi marchigiani. E nella peggiore delle ipotesi? «In quel caso bisognerà occupare la fabbrica», afferma. «Noi siamo pronti». Durante l’assemblea dello scorso sabato i portavoce del collettivo di fabbrica GKN hanno tirato in ballo lo scenario che potrebbe palesarsi per l’azienda di Jesi fra poco più di due settimane, e hanno aggiunto: “Quello che state vivendo oggi, noi lo abbiamo passato prima di voi. Staremo al vostro fianco”.
In questi mesi gli operai del sito di Campi Bisenzio, che hanno partecipato a quella che Alberto Prunetti ha definito “la lotta operaia più forte degli ultimi decenni”, hanno fatto scuola: presidio permanente, manifestazioni memorabili – oltre ventimila persone il 18 settembre a Firenze – assemblee su assemblee. E anche la stesura, assieme ai Giuristi democratici, di un piano in otto punti di una legge che miri davvero a fermare le delocalizzazioni e nella cui introduzione si legge: “Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti [..] costituisce [..] un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione”. A dicembre il governo Draghi ha varato una versione totalmente svuotata e ridotta a un articolo del maxi-emendamento alla legge di bilancio. Le misure si limitano a un aumento delle multe e a una estensione dei tempi di comunicazione e discussione per le aziende che non presentano il piano per la delocalizzazione. Un impatto economico minimo per le società inadempienti e lungi da scoraggiare decisioni del genere.
Grazie alla lotta del collettivo di fabbrica GKN e alla custodia del sito produttivo, a dicembre la fabbrica è stata acquistata nella sua totalità dal QF (gruppo Borromeo). Ma ciò non comporterà un logoramento della vertenza, spiega durante l’assemblea Dario Salvetti, Rsu della GKN e portavoce del collettivo di fabbrica. La comunanza di intenti va oltre i singoli casi. “Non si tratta solo di fermane le delocalizzazioni”, precisa, “un termine, tra l’altro, che dal punto di vista giuridico non esiste nemmeno”. “Non serve che sia un giudice di provincia a dirvi che i licenziamenti sono inefficaci se un’azienda non è in una situazione di crisi. Voi avete una legittimità sociale di fermare quei licenziamenti”. Il passaggio di un privato qualsiasi, che sceglie di fermarsi e acquistare, è poca cosa. E di certo non garantisce la sicurezza del posto di lavoro.
Quindi “non si smobilita”. Il collettivo GKN mira a promuovere il contagio della mobilitazione e la creazione di un fronte comune di lotta. “Abbiamo sentito la nostra canzone cantata nelle piazze romane, e ancora a Napoli, da collettivi studenteschi, da unioni sindacali e da operai”. Con questo spirito è partito l’Insorgiamo Tour, che nella sua tappa jesina ha incontrato lo slogan “Senza tregua”: due motti partigiani che intendono rammentare una storia antica, fatta di lotte solidali e bisogno di resistere. “Quaggiù alberga la dignità, fugge l'individualismo, si costruisce comunità. Quaggiù tra brindisi disperati e allegri, volti stanchi e tirati, congiuntivi sbagliati e inflessioni dialettali, proprio qua, c'è classe dirigente vera”, si legge nella loro pagina Facebook.
Il 5 febbraio, partiti di mattina presto in cinquanta, gli operai della GKN hanno condiviso la loro esperienza davanti ai cancelli dello stabilimento di via Roncaglia, con parole cariche di significato, ma pure a suon di tamburi, e con fumogeni e cori. E hanno ricordato il 26 marzo a Firenze, una data che accomunerà le istanze di lotta contro i licenziamenti e le delocalizzazioni.
«Anche nella nostra fabbrica – racconta a Valigia Blu Davide Fiordelmondo durante il presidio – è emersa una parte minoritaria che ragiona in maniera individualista, ma culturalmente c’è sempre stata la tradizione sindacale, trasmessa da una generazione con la quinta elementare ma con una enorme coscienza di classe. Era gente che leggeva giornali per tutto il giorno, preparata sia politicamente che sindacalmente».
Il contesto attuale non aiuta a mostrare solidarietà. «La pandemia divide», ci dice Roberto Ramazzotti, addetto alla produzione alla Caterpillar da 27 anni, quando ancora era Sima. «Dopo un mese da quando sono entrato c’è stato il passaggio da Sima a Hydropro, che poi ha venduto ancora a Caterpillar». Non ha partecipato alle proteste di quegli anni, ma lavorava a fianco di chi le aveva organizzate. «Malgrado alla dirigenza vada riconosciuta una certa regolarità dei pagamenti e quant’altro, ci sono stati altri motivi di scontro». E anche in quelle occasioni, «se qualcuno alzava la mano e diceva “usciamo” – spingendo, insomma, per una protesta immediata – si usciva».
Dopo le vacanze di Natale la fabbrica di via Roncaglia è tornata in produzione. «Entriamo al lavoro, facciamo quello che dobbiamo fare e poi usciamo», continua Roberto. «Certo, c’è tutto un altro clima. Ormai sappiamo che questa realtà, la Caterpillar, non esiste più».
Immagini in anteprima e nell'articolo: Vittoria Mazzieri