Giovani, impegno e tecnologie: storie di piccole grandi battaglie
6 min letturadi Donata Columbro, giornalista e media campaigner per Change.org Italia
Quelle di Alessandro, Sarah, Adrien, German e Laura sono storie che non hanno geografia. Però hanno un tempo, il nostro: quello di internet in tasca, i video verticali, l’estinzione degli sms e i titoli sulla “rivoluzione dei social media”. Hanno dai 16 ai 23 anni, fanno parte della Generazione Z (quella che viene dopo i Millennials, nati tra gli anni ‘80 e la metà degli anni ‘90) o iGeneration.
Se i Millennials in Italia sono stati etichettati come “la generazione mille euro”, i “bamboccioni” o i giovani “che non vogliono lavorare”, i pregiudizi su una generazione, che non è ancora uscita dalle scuole superiori e sta per essere accolta dagli adulti nel peggiore dei modi, sono tutti concentrati a sottolineare quella "i" di iGeneration, dell’io, dominante, a metà tra l’ossessione per la tecnologia e il sé.
Alessandro, Sarah, Adrien, German e Laura ci raccontano però tutta un'altra storia che va in direzione contraria rispetto a luoghi comuni e i pregiudizi. Le loro sono storie di chi, impegnandosi in prima persona, anche grazie all'aiuto di internet e delle tecnologie, è riuscito a cambiare la propria realtà e quella degli altri.
"Le nuove generazioni sono arroganti e narcisiste"
Alessandro Bello ha 19 anni, vive a Napoli e studia economia. Quando ha lanciato la sua prima petizione frequentava le scuole superiori e Pino Daniele era scomparso da pochi giorni. Per Alessandro, Napoli avrebbe dovuto assolutamente onorare l’artista con una via dedicata al cantautore. Su Facebook un gruppo di ragazzi aveva avuto la stessa idea. Così Alessandro gli ha scritto, perché l’unione fa la forza, e ha cercato di prendere contatti con il sindaco Luigi De Magistris. «A un certo punto ho anche preso l'elenco del telefono e ho cominciato a chiamare le persone convincendole a firmare», mi racconta. L’entusiasmo di Alessandro ha portato il sindaco ad accogliere la sua richiesta: a otto mesi dalla morte del cantante a Napoli si è inaugurata via Pino Daniele, vicino alla sua casa natale.
Intanto Alessandro fa l'esame di maturità. Lo passa e pensa al suo futuro, ma anche a quello della sua città. In piazza Gerolomini, in pieno centro storico, c'è un murale realizzato da Banksy, artista riconosciuto a livello mondiale. Alessandro ha paura che quell'opera d'arte, la “Madonna con la pistola”, possa venir rovinata dal tempo – si trova su un muro di un palazzo che già cade a pezzi – e dalle persone, come l’altra opera di Banksy in via Benedetto Croce, cancellata da un altro writer. Se con Pino Daniele una petizione ha funzionato, perché non riprovarci? Scrive un appello e da lì trova i contatti con l'associazione Inward, osservatorio di arte urbana. La mobilitazione di Alessandro funziona di nuovo. L'opera di Bansky ora è coperta da una lastra di vetro, in attesa di un vero e proprio restauro promesso dal Comune.
«È stato un po’ deprimente rapportarsi singolarmente con i giornali», confessa Alessandro. «Una questione non è percepita come importante se a farsene portavoce è un ragazzo, soprattutto se minorenne. Non mi consideravano per niente».
"Sono solo interessati alle sfide a breve termine"
German aveva 21 anni quando ha subito il suo primo trapianto di fegato, nel 2008:
Ho pensato che con il fegato nuovo la mia vita sarebbe tornata alla normalità. Non mi ero reso conto che in realtà i controlli e le visite mediche a cui si deve sottoporre un paziente trapiantato sono moltissimi. Ero salvo grazie al dono di una famiglia che aveva perso una figlia di 15 anni in un incidente stradale, ma rischiavo di non poter godere di quel dono a causa della mancanza del riconoscimento della mia condizione. Della condizione di tutte le persone che hanno subito trapianti: in Argentina, il paese in cui vivo, non c’è alcuna legge che garantisca l’assistenza sanitaria per i trapiantati.
Il ragazzo scrive la sua storia su Change.org. Dopo otto mesi passati in ospedale, German lotta per un anno per fare in modo che ai pazienti che hanno subito un trapianto vengano coperte le cure successive all’operazione – dai costi per i medicinali ai viaggi per incontrare medici specializzati –. Con il sostegno di altre 65mila persone German incontra i politici, dai governatori locali al presidente della Camera dei Deputati Julian Dominguez.
Nel novembre del 2013 la legge arriva in Parlamento. Poi, la vittoria: il 4 dicembre 2013 il senato conferma il voto positivo della Camera e la #LeyTrasplantados diventa realtà. La vita di German e quella di altri 18mila pazienti ha più speranza di continuare serena dopo il trapianto.
"Non sono umili abbastanza da trasformare le informazioni in conoscenza"
Sarah Kavanagh vive in Mississippi, ha 19 anni e ama lo sport. Pratica la pallavolo e come molti atleti reintegra i sali minerali con bevande apposite, per esempio quelle prodotte dalla Gatorade, distribuite tra l’altro anche in molte manifestazioni sportive. Ma Sarah è anche una persona curiosa e un giorno ha deciso di cercare su Google un ingrediente della bibita di cui non conosceva l’origine: l’olio bromurato vegetale, un additivo derivante da soia o mais che contiene atomi di bromo, un “ritardante di fiamma” usato per esempio anche nei contenitori di plastica e nei cavi per ridurre la loro infiammabilità. Una sostanza che può causare effetti nocivi alla salute dell'uomo.
In Europa e in Giappone l’uso dei bromurati è vietato da tempo, mentre negli Stati Uniti per la Food and Drug Administration si tratta di ingredienti “sicuri” e aziende come Gatorade o Coca Cola lo impiegano nelle loro ricette. Almeno fino alla lotta intrapresa da Sarah nel 2012, quando aveva solo 15 anni. Davide contro Golia: così Today Show su NbcNews ha definito la sua battaglia. In questo caso Davide, Sarah, ha vinto, con l’aiuto di 200mila persone che in meno di due settimane hanno firmato la sua petizione e Gatorade è stato costretta a rispondere e promettere di smettere di usare il bromurato nei suoi prodotti. Sarah poi ha lanciato un’altra petizione rivolta a Powerade. La Coca-cola, produttrice della bevanda, ha dovuto fare altrettanto.
“Le nuove generazioni possono cambiare la storia?”
Adrien Sergent oggi ha 22 anni e vive in Francia, a Marsiglia. È un game designer e nel 2009 ha fondato la sua prima startup. Ma oltre alla tecnologia, il suo interesse è la politica che, scrive sul suo blog, apprezza per «il suo formidabile modo di cambiare le cose attraverso l’energia dell’azione pubblica». Nel 2013 ha usato questa “energia” per convincere la ministra del Commercio e dell’Artigianato francese, Sylvia Pinel, a ritirare una proposta di legge che avrebbe aumentato le tasse per i lavoratori autonomi.
Con il movimento Poussins, i Pulcini, due anni fa ha lanciato un appello su Change.org: «Pinel ha annunciato la morte programmata degli imprenditori», scriveva sulla petizione. «Abbiamo scelto l’immagine dei pulcini perché sono di piccola taglia ma diventeranno dei galli, rappresentano la crescita di domani». Adrien e gli altri “pulcini” hanno organizzato diverse manifestazioni di piazza e dopo il raggiungimento di 141mila firme hanno convinto la ministra dell'Economia a modificare la sua proposta.
Laura Zornoza ha 23 anni, viene dalla Spagna. Nel 2013 è stata dichiarata da El Pais “cittadina dell’anno” perché nel novembre dello stesso anno ha raccolto più di 200mila firme in quattro giorni per convincere il ministero della Pubblica Istruzione a non tagliare le borse Erasmus per l’anno scolastico successivo. Una decisione che avrebbe potuto impedire agli studenti spagnoli di studiare in un altro paese europeo. Laura sarebbe dovuta partire per Amburgo, in Germania, ma senza borsa probabilmente avrebbe dovuto rinunciare e, come lei, altre migliaia di altri universitari.
La mobilitazione è stata così massiccia che per un mese la giovane universitaria ha dovuto dividersi tra la sua vita da studentessa e quella da attivista, con interviste ai giornali, incontri con politici e consegna delle firme. È riuscita a incontrare anche Federico Morán, segretario generale delle università di Spagna, e, infine, a far tornare sui suoi passi il ministro dell’istruzione José Ignacio Wert: «Ascoltare la conferenza stampa in streaming e sentirlo annunciare il ritiro è stato il momento più bello della campagna».
Si tratta, dunque, di ragazzi concentrati solo sui propri bisogni?
C'è una storia ancora aperta. Luca Lucibello ha 17 anni e non può ancora raccontare la vittoria della sua petizione. Da grande vuole fare il “campaigner”, occuparsi di diritti umani, magari per le Nazioni Unite. La sua preoccupazione sono i migranti. No, non vuole “cacciarli dal nostro paese”. È preoccupato per le condizioni di vita dei campi profughi e secondo lui sarebbe meglio creare delle “Oasi della speranza” che funzionino come “bolle di sicurezza”, costruite in punti predefiniti più sicuri dei loro territori in modo da permettere a queste persone di non essere costrette a fuggire dal proprio paese. Ha anche scritto un piano di cinque punti e telefonato al vescovo di Aleppo, in Siria, per avere il suo sostegno. Ha raccolto più di 1800 firme, il suo impegno in nome della solidarietà continua.