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La copertura delle notizie sul suicidio continua a violare le raccomandazioni internazionali

10 Settembre 2024 7 min lettura

La copertura delle notizie sul suicidio continua a violare le raccomandazioni internazionali

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Se hai amici o conoscenti con pensieri suicidi o se conosci qualcuno che ha perso una persona cara per un suicidio, i Samaritans possono aiutarti a Imparare a leggere i segnali.

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La copertura mediatica delle notizie sui suicidi è in grado di influenzare il rischio di comportamenti suicidari nella popolazione e la riesposizione al trauma delle persone che hanno perduto tragicamente una persona cara per suicidio. Anno dopo anno, sui nostri media la situazione rimane problematica e non esistono linee guida specifiche che adottino le raccomandazioni del 2017 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

I primi dati italiani relativi alla qualità dei contenuti delle notizie di suicidi pubblicate sui quotidiani Corriere della sera, Repubblica e La Stampa dimostrano una totale violazione delle raccomandazioni dell’OMS. Negli articoli selezionati per il periodo compreso da giugno 2019 a maggio 2020, l’analisi condotta da Scaioli e collaboratori all’Università di Torino ha rilevato la costante assenza di riferimenti ai servizi di aiuto come le linee telefoniche così come, in ogni articolo, la mancanza di incoraggiamento alla ricerca di aiuto e di informazioni mirate a incrementare la consapevolezza sui segnali d’attenzione ai comportamenti suicidari.

Per converso, già nei titoli si legge la parola suicidio e gli articoli vagliati contengono dettagli sulla persona, sul luogo e sul metodo del suicidio, descrivono il suicidio come dovuto a una singola causa o speculano su una presunta unica causa. Tuttavia, come precisano Scaioli e collaboratori, “i suicidi non sono mai il risultato di una singola causa o evento ma sono il risultato di complesse interazioni nel tempo tra molteplici fattori che comprendono fattori di rischio psichiatrici, socio-economici e culturali”. “Speculare sulle cause non solo è irrispettoso nei confronti della persona defunta” concludono gli autori “ma può anche avere effetti dannosi sia per il lutto delle persone care che per i lettori e le lettrici”. Soprattutto, se un evento viene considerato implicitamente come causa del suicidio, i lettori che si trovano in una situazione simile possono identificarsi eccessivamente con la persona defunta, diventare più esposti al rischio di contagio e quindi manifestare comportamenti suicidari.

Come i media dovrebbero coprire le notizie di suicidio

 

Come la ricerca scientifica sul tema ha dimostrato, scrivere responsabilmente la notizia di un suicidio e riportare notizie positive su come le persone sono in grado di affrontare i periodi avversi della vita sono due azioni che contribuiscono alla prevenzione dei suicidi. Al contrario, il sensazionalismo, le supposizioni e le affermazioni prive di fondamento possono aumentare il rischio potenziale di suicidio nella popolazione.

Questi fenomeni diventano ancor più critici in periodi emergenziali come quello che abbiamo vissuto durante la pandemia da COVID-19. Lisa Marzano e collaboratori hanno analizzato le previsioni sensazionalistiche sull’incremento dei suicidi contenute negli articoli pubblicati sulla stampa britannica dalla settimana prima dell'entrata in vigore del primo lockdown nazionale nel Regno Unito (il 23 marzo 2020) al 17 maggio 2021.

Quello che hanno rilevato, attingendo all’aggiornato database di monitoraggio dell’organizzazione di aiuto Samaritans, è che un’alta percentuale di articoli (39,2%), compresi i titoli (41,4%), faceva riferimento a un aumento dei suicidi da attribuire alla pandemia e i toni utilizzati erano spesso sensazionalistici parlando di un "aumento vertiginoso", nonostante non ci fossero prove ufficiali a sostegno di tali affermazioni. Questo porta a constatare che, in un momento in cui non sono ancora disponibili informazioni sufficienti, le speculazioni anche da parte di alcuni esperti sull'aumento dei suicidi e i commenti allarmistici sul declino della salute mentale della popolazione possono amplificare le narrazioni mediatiche irresponsabili sull'aumento dei suicidi. Marzano e collaboratori evidenziano come, negli articoli analizzati, vi sia stata un’attenzione sproporzionata al suicidio di bambini e adolescenti e, considerando che i tassi di suicidio in questa fascia di età sono in aumento da oltre 10 anni (pur rimanendo inferiori rispetto a qualsiasi altra fascia di età), manifestano preoccupazione per una copertura distorta proprio perché i più giovani sono particolarmente sensibili all'influenza delle notizie sui comportamenti autolesivi.

I toni sensazionalistici sono stati gradualmente attenuati man mano che venivano pubblicati i dati effettivi provenienti da diversi paesi che hanno smentito le previsioni di un aumento dei suicidi nel periodo della pandemia. Proprio con l’arrivo di questi dati è gradualmente migliorata la copertura mediatica nel tempo.Questo cambiamento è stato più evidente, rilevano ancora Marzano e colleghi, nelle notizie online rispetto alla carta stampata per la maggiore presenza di messaggi positivi, orientati alla prevenzione e di indicazioni sulle fonti di supporto.

I nostri media non sono stati immuni da un eccesso di attenzione ai comportamenti suicidari nei più giovani e, a partire dai commenti e dalle percentuali arbitrarie sui suicidi attribuiti alla pandemia lanciati a ripetizione da alcuni esperti molto popolari, hanno generato un’ondata di disinformazione, ignara dell'elevato rischio di contagio sociale e mai scalfita da correzioni. Sfruttata in modo strumentale, la persistente distorsione del discorso pubblico riguardo i più giovani continua a prestarsi ad alimentare il panico morale verso i dispositivi digitali e i social, ritenuti impropriamente come uniche cause di disagio, psicopatologia, comportamenti autolesivi.

Jessica Hamilton – professoressa di psicologia a capo di un laboratorio per lo studio dei fattori di rischio e di protezione di depressione, pensieri suicidari e comportamenti autolesivi tra gli adolescenti – sta conducendo ricerche mirate ad approfondire le modalità d’uso dei social media nei ragazzi e nelle ragazze. In uno degli studi pubblicati quest’anno, 60 adolescenti di età compresa tra 14 e 17 anni (49% ragazze, 62% LGBTQ+) sono stati monitorati per otto settimane con brevi interviste quotidiane mirate a conoscere le esperienze positive e negative vissute sui social media e la frequenza di pensieri suicidari.

I risultati hanno dimostrato un’irrilevanza del tempo trascorso sugli schermi e un effetto delle esperienze individuali: nel giorno in cui gli adolescenti vivevano esperienze negative sui social media con più frequenza del solito, erano più propensi a riportare pensieri suicidari, mentre nel giorno in cui avevano più esperienze positive del solito riferivano con minore probabilità pensieri suicidari. Questo dimostra come sia importante conoscere le esperienze che gli adolescenti fanno sui social per intervenire riducendo quelle negative e aumentando quelle positive in un approccio effettivamente mirato a favorire una buona salute mentale e a prevenire i comportamenti autolesivi. Vietare l’uso dello smartphone oppure limitare il tempo che il proprio figlio o la propria figlia trascorrono sui social sono misure non efficaci benché semplici da attuare e di successo in un approccio autoritario.

Anche in un contesto clinico, le domande riguardanti il tipo di esperienze vissute sui social media dovrebbero integrare l’iter di valutazione e di presa in cura in modo da aiutare gli e le adolescenti a sviluppare strategie di regolazione delle emozioni per gestire le esperienze negative, come il confronto sociale, e da poter incoraggiare le esperienze positive che promuovono la connessione sociale.

Da quanto finora riportato consegue che, se l’analisi di dati effettivi e l’approfondimento dei fenomeni che possono avere un ruolo nell’attivare comportamenti suicidari costituiscono gli strumenti in mano agli esperti che intervengono sui media, la copertura responsabile e il riferimento alle opzioni di aiuto costituiscono l’attrezzatura di base di giornaliste e giornaliste per trattare responsabilmente il suicidio nel discorso pubblico.

Strumenti e attrezzature che diventano fondamentali anche nel trattare i suicidi nelle carceri italiane. A dicembre 2023, la pubblicazione di una ricerca condotta all’Università di Camerino metteva in evidenza, oltre alla difficoltà di raccolta dei dati nelle carceri, che il tasso di suicidio dei detenuti in Italia (74 nel 2022 calcolati incrociando diverse fonti) fosse circa 20 volte superiore a quello della popolazione non carceraria con uno dei differenziali più alti in Europa. Gli autori, Paolo Bailo, Filippo Gibelli e colleghi, esplorando le caratteristiche delle persone morte per suicidio nelle carceri italiane tra il 2010 e il 2020, hanno messo in secondo piano il sovraffollamento – sebbene sia causa di disagio per le persone detenute - rispetto ad altri fattori di rischio carcerari come le variazioni stagionali (probabilmente legate a una minore presenza di personale carcerario ad esempio nei mesi estivi), i primi sei mesi di detenzione, una condanna per omicidio con lunga detenzione, il periodo notturno, l’accesso a oggetti e fattori di rischio individuali come il genere maschile, l’età intorno ai quarant’anni, la presenza di disturbi psichiatrici. Nello studio in questione, la facilitazione dei legami sociali emerge come fattore protettivo e altre misure di prevenzione sono rappresentate da “un'osservazione più attenta delle persone detenute fin dall'inizio, la visita medica, la vigilanza durante i periodi ad alto rischio e la registrazione sistematica delle informazioni su tutti gli eventi” come indicate dal Consiglio d'Europa in un documento del 2018.

Ripensare il modello penitenziario: cosa fare (e non fare) per contrastare la tragedia dei suicidi nelle carceri italiane

L’accesso a dati sistematici e verificati rappresenta il primo riferimento per la sensibilizzazione della popolazione sul suicidio e sulla sua prevenzione. Tale pratica deve essere incentivata con la registrazione di dati a livello nazionale. A partire dai dati effettivi disponibili, la copertura responsabile delle notizie di un suicidio sui media rappresenta uno degli interventi chiave per prevenire i comportamenti suicidari che non può essere ancora disatteso.

Considerato l’attuale stato di violazione delle raccomandazioni disponibili, un sostanziale cambiamento nelle pratiche giornalistiche e di comunicazione potrebbe essere raggiunto attenendosi all’elenco di semplici azioni da fare e da non fare che continuiamo a diffondere.

 

Risorse utili:

Samaritans

Telefono Amico

La prevenzione del suicidio: guida per insegnanti e operatori scolastici, OMS (2000)

Rapporto sul suicidio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (in inglese)

International Association for Suicide Prevention

Per i professionisti e le professioniste della comunicazione:

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Preventing suicide: a resource for media professionals, OMS (2017, in inglese)

Best practices and recommendations for reporting on suicide, Reporting on suicide (in inglese)

Come parlarne, Papageno.News

Immagine in anteprima via who.it

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