Il prezzo pagato dai giornalisti in Ucraina
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L’Ucraina è il secondo paese al mondo per numero di giornalisti uccisi nel 2024, superato solo dalla Palestina, secondo i dati dell'UNESCO. Dal 2022, più di 100 giornalisti sono stati vittime di violenze dirette in Ucraina, con almeno 11 reporter uccisi, 35 feriti, 12 detenuti e 2 giornalisti scomparsi, come riportato da Reporter Senza Frontiere (RSF) al secondo anniversario dell’invasione russa.
Tra questi, il giornalista bosniaco-francese Arman Soldin, collaboratore di AFP, è stato ucciso nel maggio 2023 durante un bombardamento russo vicino a Bakhmut, mentre Bohdan Bitik, fixer ucraino, è stato assassinato da un cecchino russo sul ponte Antonivka di Kherson, mentre accompagnava il giornalista di Repubblica Corrado Zunino.
In ordine di tempo, l’ultimo lavoratore dei media ucciso da bombardamenti russi è stato il safety advisor di Reuters Ryan Evans, mentre l’uccisione del giornalista russo Alexander Martemyanov del quotidiano filo-governativo Izvestia avvenuta a inizio gennaio è attribuita a un raid delle Forze armate ucraine su Donec’k.
Oltre alle vittime dell’invasione russa su larga scala, secondo il Committee to Protect Journalist (CPJ) otto lavoratori dei media sono stati uccisi nella fase calda del conflitto in Donbas tra il 2014 e il 2015, fra cui il fotoreporter italiano Andy Rocchelli e il giornalista russo Andrej Mironov, “sotto il fuoco dalla parte ucraina nei pressi di Slovjiansk”, come riporta un comunicato dell’Ordine dei Giornalisti italiano. L’indagine sull’uccisione di Rocchelli e Mironov è stata al centro di un caso internazionale dopo l’arresto del militare ucraino Vitaliy Markiv all’aeroporto di Bologna nel 2017. Markiv è stato poi assolto in Appello e Cassazione, tornando nell’esercito ucraino dopo l’invasione russa del 2022.
Oltre alle vittime ufficialmente riconosciute, ci sono altri nomi spesso esclusi dalle statistiche. Sei ucraini, un russo e due separatisti, ad esempio, sono stati uccisi mentre svolgevano attività di giornalismo militare o come combattenti, tra cui il celebre giornalista ucraino Oleksandr Makhov. Altre morti rimangono avvolte nell’incertezza, come quella di Zoreslav Zamoysky, giornalista ucraino trovato senza vita sulle strade di Bucha dopo la liberazione nell’aprile 2022. In totale, almeno sei giornalisti o operatori dei media ucraini sono stati uccisi durante l’invasione senza essere impegnati in reportage sul fronte, spesso in circostanze ambigue nelle aree occupate dai russi.
Il giornalismo in Ucraina: fra auto-censura e lotta agli abusi di potere e corruzione
L'invasione russa ha devastato il panorama mediatico ucraino: sempre secondo RSF, almeno 233 media sono stati chiusi a causa di bombardamenti, crisi economiche e repressione nelle zone occupate, mentre giornalisti come Iryna Danilovych e Dmytro Khyliuk sono rimasti vittime di detenzioni arbitrarie sul territorio russo. Il destino della giornalista freelance Viktoria Roshchyna, morta a ventisette anni lo scorso 19 settembre dopo oltre un anno di prigionia russa, è un monito perché le organizzazioni che difendono i giornalisti facciano di più per liberare i colleghi ucraini detenuti illegalmente sul territorio russo.
La guerra ha trasformato molti giornalisti locali in corrispondenti di guerra, costretti a operare sotto bombardamenti, blackout e continue minacce. Allo stesso tempo, lavorare come fixer o freelance per media internazionali è spesso più remunerativo rispetto allo svolgere incarichi equivalenti per le testate ucraine, nonostante i rischi per la sicurezza siano maggiori.
Nonostante le difficoltà pratiche, il giornalismo ucraino ha mostrato una sorprendente resilienza. RSF segnala un miglioramento nella libertà di stampa: l'Ucraina, che era al 106° posto nel 2022 (97° prima dell’invasione), è salita al 61° posto nel 2024, superando paesi europei come Cipro (65°), Ungheria (67°), Bosnia (81°), Grecia (88°), Albania (98°) e Serbia (99°).
Tuttavia, il rapporto di RSF evidenzia anche le criticità preesistenti, aggravate dal conflitto. Già prima dell’invasione, i media accusati di diffondere propaganda russa rappresentavano un grave problema, che ha però portato a un rafforzamento del controllo statale sui media. Questo fenomeno si è intensificato dopo l’invasione, con l’accentramento di numerosi media sotto il controllo del governo ucraino, come dimostra la controversa Telemaratona, accusata di promuovere una linea eccessivamente filo-Zelensky.
Un aspetto particolarmente preoccupante è il ruolo dei servizi segreti ucraini (SBU), accusati di sorvegliare a lungo testate critiche verso il governo, pur non filorusse. Bihus.info, ad esempio, è stato oggetto di intercettazioni e monitoraggi per oltre un anno, anche nella sfera privata degli impiegati.
Yevhenii Shulhat, giornalista del quotidiano investigativo Slidstvo.info, ha ricevuto una lettera di coscrizione militare mentre indagava su episodi di corruzione proprio all’interno dell’SBU. Questo episodio illustra come la coscrizione militare sia stata strumentalizzata dalle autorità politiche e militari per intimidire e ostacolare il lavoro giornalistico indipendente.
Ciò non ha però frenato molti giornalisti ucraini dal mettere in luce scandali di corruzione e abusi di potere, molte volte risultati in dimissioni di alto livello e indagini penali. Anche l’inevitabile fenomeno dell’autocensura “patriottica” è venuto gradualmente meno, soprattutto dopo la realizzazione dei fallimenti militari tra la fine del 2023 e il 2024, che ha rimesso in discussione Zelensky e il potere politico-militare ucraino, intoccabile nei primi mesi dell’invasione.
La morte del giornalismo indipendente in Russia, tra esili e persecuzioni
Mentre l'Ucraina resiste sotto i bombardamenti, in Russia e nei territori occupati come Crimea e Donbas il giornalismo indipendente è stato sistematicamente smantellato. Tra i giornalisti locali delle aree occupate che sono stati arrestati per essersi rifiutati di collaborare con i media pro-Cremlino è celebre il caso di Stanislav Aseyev, corrispondente dell'emittente statunitense Radio Free Europe. Dopo il suo rapimento a Donec’k nel 2017, Aseyev è stato detenuto e torturato per quasi due anni con l’accusa di “spionaggio” nella prigione di Izolyatsia, finché non è stato rilasciato nell'ambito di uno scambio di prigionieri nel 2019. Per scappare a questo destino, molti media locali come Realna Gazeta hanno lasciato le repubbliche separatiste di Donec’k e Luhans’k già nel 2014, trasferendo le proprie redazione in Ucraina.
Sul territorio della Federazione Russa l’accusa di spionaggio è stata usata anche contro giornalisti internazionali. È il caso di Evan Gershkovich, giornalista americano di origine russe del Wall Street Journal, liberato la scorsa estate in uno scambio di prigionieri fra Washington e Mosca dopo un anno e mezzo di detenzione nella prigione di Lefortovo.
Insieme a Gershkovich è stata rilasciata anche la giornalista di Radio Free Europe Alsu Kurmasheva, condannata a sei anni e mezzo per non essersi registrata come “agente straniera”, un’etichetta inventata dal governo russo per marchiare i giornalisti con l’accusa “sostegno estero” e che in realtà serve a silenziare i giornalisti indesiderati dal Cremlino.
La Russia, che nell’indice di RSF del 2024 è al 162° posto, ha recentemente “celebrato” il proprio Giorno della Stampa lo scorso 13 gennaio, mentre almeno 27 giornalisti erano in carcere con lunghe condanne, il numero più alto d’Europa. Una ricorrenza amaramente ironica, in un paese in cui 268 giornalisti e media sono stati bollati come “agenti stranieri” dal Cremlino, e oltre 18mila siti sono stati bloccati in relazione alla copertura dell’invasione in Ucraina, secondo i dati del CPJ.
La “guerra contro i giornalisti” di Putin, intensificata dopo l’invasione su larga scala del 2022, ha determinato l’esilio sia di singoli giornalisti che di intere redazioni come quelle di Tv Rain (conosciuta in russo come Dozhd) e Meduza, spesso in paesi limitrofi come Lettonia ed Estonia.
Altre testate, come Novaja Gazeta, diretta dal premio Nobel Dmitry Muratov, hanno attraversato un percorso graduale di censura: prima il blocco del sito online, poi la revoca della licenza e infine l’etichetta di agente straniero e organizzazione indesiderata, oltre ai sospetti avvelenamenti verso giornaliste come Elena Kostjuchenko. Novaja Gazeta ha così aperto delle redazioni in Lettonia, e poi in Francia e Germania, per poter operare liberamente.
Il destino del giornalismo indipendente russo negli ultimi anni è peraltro un’anticipazione di ciò che potrebbe accadere, e già da tre anni accade (dieci in Crimea e Donbas), nei territori dell’Ucraina occupati dall’esercito di Mosca, qualora un eventuale congelamento del conflitto legalizzasse de facto la giurisdizione del Cremlino sul resto del sud-est ucraino. Informazioni filtrate, detenzioni sommarie e minacce di violenza renderebbero queste aree grigie ancora più inaccessibili rispetto a ciò che sono già oggi, isolandole definitivamente dal resto dell’Ucraina e del mondo.
Immagine in anteprima via Safety of Journalism Platform