La mattanza di giornalisti in Messico
5 min letturaUn giornalista è stato ucciso a colpi di arma da fuoco giovedì a Salina Cruz, in Messico. È il quinto dall'inizio dell'anno nel paese.
Heber López Vazquez, direttore del giornale online Noticias Web, sarebbe stato avvicinato mentre lasciava il suo studio di registrazione e poi colpito.
Due uomini, in possesso di armi, che viaggiavano su un furgoncino bianco sono stati fermati.
Arturo Calvo, procuratore generale di Oaxaca, ha confermato che i due presunti aggressori del giornalista sono stati arrestati.
«Anche se abbiamo catturato gli esecutori materiali, non escludiamo alcuna pista che possa portarci ai mandanti», ha detto.
Da anni Vazquez si occupava di inchieste su casi di corruzione. Nel 2019 aveva denunciato di essere stato minacciato.
“Non si uccide la verità uccidendo i giornalisti”, scandiscono le voci durante i cortei che lo scorso 25 gennaio si sono replicati in più di 30 città messicane. “Basta impunità” e “senza giornalismo non c’è democrazia”, si legge sui cartelli che accompagnano le proteste. Dopo il terzo omicidio di una giornalista dall’inizio dell’anno, la settimana scorsa si è diffuso in tutto il paese l'appello a manifestare l’indignazione e il dolore per un massacro che si riproduce da anni senza giustizia. Ma la violenza non si è fermata e una settimana dopo, il 1° febbraio, un’altra morte violenta ha scosso di nuovo il mondo della stampa: è la quarta in un mese.
Dal 2019 il Messico si è attestato su scala mondiale come il luogo più pericoloso per esercitare la professione giornalistica, secondo le statistiche raccolte dalla organizzazione per la difesa della libertà d’espressione Artículo 19: dal 2000 ad oggi sono stati uccisi 149 giornalisti, inclusi gli ultimi quattro.
Il 10 gennaio è stato pugnalato a morte José Luis Gamboa, direttore della pagina di informazione regionale Inforegio, in cui denunciava i legami tra il crimine organizzato e la élite politica di Veracruz, Stato dove si trova uno dei principali porti internazionali del Messico e che registra il più alto numero di giornalisti uccisi (sono 31 negli ultimi due decenni, il doppio degli omicidi registrati nello Stato di Guerrero, che si trova al secondo posto).
Il 17 gennaio è stato ucciso il fotografo Alfonso Margarito Martínez Esquivel a Tijuana, la principale città sulla frontiera con gli Stati Uniti. Specializzato in cronaca e questioni legate alla criminalità organizzata, stava andando a coprire la notizia di un omicidio quando è stato ferito a morte da due colpi di pistola. “Aveva avuto sempre problemi con la polizia per i temi che trattava” ha spiegato a Reporteros Sin Fronteras Adela Navarro Bello, direttrice del settimanale Zeta per cui Margarito Martínez lavorava.
Sempre a Tijuana è avvenuto il terzo omicidio pochi giorni dopo, il 23 gennaio. La vittima, la giornalista Lourdes Maldonado López, aveva vinto la settimana prima una causa per licenziamento ingiustificato in corso da nove anni contro un canale di una Tv locale di proprietà dell’ex governatore dello Stato di Tijuana Jaime Bonilla. Lourdes Maldonado aveva chiesto aiuto direttamente al presidente López Obrador già nel 2019, durante una conferenza stampa, dichiarando che temeva per la propria vita. La giornalista era finalmente entrata nel Meccanismo per la Protezione dei Difensori dei Diritti umani e dei Giornalisti quasi un anno fa, ma la sicurezza che le hanno offerto non è stata sufficiente a salvarla. Anche Margarito Martínez aveva richiesto la protezione delle istituzioni, ma non l’aveva ancora ottenuta.
Lunedì 1 febbraio, mentre da una settimana si protestava in tutto il Messico per la libertà d'espressione, è stato ucciso appena fuori dal suo ufficio Roberto Toledo, nello stato di Michoacan. Lavorava per uno studio di avvocati e si occupava di casi di corruzione politica come collaboratore per il giornale Monitor Michoacan.
Di fronte ai primi due omicidi ravvicinati che hanno aperto il 2022, il presidente López Obrador si è messo sulla difensiva. Il 18 gennaio, durante la conferenza stampa che tiene tutte le mattine, in risposta alla domanda di una reporter sulle garanzie che può dare il governo di fronte alla vulnerabilità del giornalismo in Messico, il presidente ha accusato i suoi nemici politici di approfittare degli omicidi per attaccarlo, mentre le voci che stanno chiedendo giustizia sono in realtà quelle di chi lavora nel campo della comunicazione.
Dopo la morte di Lourdes Maldonado, López Obrador ha ribadito che durante il suo governo “non sono permesse impunità”, eppure i dati raccolti dall’organizzazione statunitense Committee to Protect Journalists (CPJ) collocano il Messico al sesto posto nel mondo per numero di casi rimasti impuniti. E i primi cinque sono paesi in guerra.
Negli ultimi 30 anni CPJ è riuscita a dimostrare solo nel 40% dei casi una relazione diretta tra la causa dell’omicidio e la professione delle vittime, ciò significa che esiste un 60% in cui la Procura non è stata in grado di confermare né di scartare la possibilità che i giornalisti vengano uccisi a causa delle loro ricerche e pubblicazioni. Jan-Albert Hoosten, rappresentante di CPJ in Messico, ha dichiarato a El País che la giustizia nel paese “è incapace di risolvere i crimini e di spiegare i fatti. Uno stato di giustizia che non chiarisce perché avvengono gli omicidi sta seminando uno dei tanti semi dell’impunità”.
Il 28 gennaio il Presidente è ritornato sulla questione per affermare che “sono molto pochi i giornalisti che compiono il nobile compito di informare” e che gli tocca stare attento a quel che scrivono i media “per vincere il dibattito e, se possibile, esporli”. La postura di ostilità del governo nei confronti della stampa non è una novità e viene denunciata da organizzazioni come Artículo 19 come un ulteriore problema poiché legittima le vessazioni da parte delle istituzioni e frena gli sforzi per ridurre la violenza verso i mezzi di informazione.
D’altra parte, il sottosegretario per i Diritti Umani, Alejandro Encinas, ha riconosciuto che, a dieci anni dalla sua istituzione, il Meccanismo per la Protezione dei Difensori dei Diritti Umani e dei Giornalisti “è risultato essere insufficiente per affrontare e contrastare questo fenomeno” della violenza. Le aggressioni e gli omicidi verso la stampa restano impuniti in più del 90% dei casi, secondo i dati forniti dalla Segreteria del Ministero degli Interni e dopo il picco di violenza di questo gennaio, il governo ha dichiarato che sottoporrà a revisione gli strumenti di protezione per migliorarne l’efficacia. Encinas ha sottolineato che bisogna intervenire “nella definizione delle competenze perché in molti casi sono le stesse autorità la causa delle aggressioni”. Nel rapporto annuale del 2020 di Artículo 19 sono state documentate 692 aggressioni a giornalisti, di cui 343 provenienti da autorità pubbliche: esponenti politici regionali e comunali, deputati e infine, in 144 casi, forze di polizia.
Da un lato, il Meccanismo di Protezione – implementato nel 2012 dopo un’ondata di proteste – non riesce a coprire le richieste che dal 2019 sono aumentate del 60%, dall’altro, per capire la vulnerabilità strutturale in cui si trova il giornalismo in Messico, è necessario osservare anche altri fattori: “Sono necessari non solo denaro, rifugi, giubbotti anti proiettili e blindati. Abbiamo bisogno anche che ci siano indagini, che si arrestino gli aggressori, perché altrimenti l’unico risultato che otteniamo è quello di trasferire i giornalisti e zittire il loro lavoro, che è ciò che vogliono i criminali”, spiega la coordinatrice di Artículo 19, Itzia Miravete, a El País.
Negli ultimi tre anni in Messico si è registrata una media annuale di 30mila omicidi, nel contesto di un conflitto tra i cartelli della droga e la repressione delle forze di sicurezza che i giornalisti cercano di registrare, esponendosi a minacce e al rischio della vita.
Secondo Artículo 19, nel 2020 è stato aggredito un giornalista ogni 13 ore, mentre il numero di omicidi è stato in costante crescita negli ultimi quattro governi messicani. Nei primi tre anni del mandato di López Obrador sono già morti 51 giornalisti, e in 25 casi è stato provato che la causa dell’omicidio era legata alla professione.
Citando l’editoriale della direttrice del settimanale di Tijuana Zeta, Adela Navarro Bello, dopo la morte del suo collaboratore Margarito Martínez, la domanda da porsi non è tanto perché si continuano a uccidere giornalisti in Messico, ma piuttosto: “Perché non si impediscono gli omicidi in Messico? E andando oltre: perché non c’è giustizia in questo paese?”
Immagine anteprima via articulo19